Accade nello stato più occidentale dello Xinjiang, dove il 45% della popolazione , 8 milioni di persone, è uigura, un’etnia turcofona di religione islamica.
«Centinaia di musulmani uiguri passano giornate in programmi di indottrinamento, sono costretti ad ascoltare letture, cantare canzoni di ringraziamento al Partito Comunista Cinese e a scrivere saggi di autocritica, con l’obiettivo di cancellare ogni devozione all’Islam nella zona», scrive il
New York Times in un articolo di fine 2018, che parla di centinaia di migliaia di persone entrate — e alcune mai uscite — in campi di rieducazione costruiti in zone desertiche.
Secondo il giornale, che ha raccolto testimonianze e documenti scritti da esperti, le persone sono controllate con
telecamere nascoste nelle case e con la presenza di spie praticamente ovunque. Nonostante le smentite ufficiali da parte del governo cinese i musulmani che vengono colti in preghiera, oppure che evitano certi cibi, entrano nei programmi di rieducazione forzata. Nei campi le testimonianze parlano di abusi fisici e verbali da parte delle guardie; chi resiste non mangia.
La testata americana non si stanca di denunciare il fenomeno, ormai ripreso dalle testate di tutto il mondo anche se ancora non arrivato all'attenzione del grande pubblico. A febbraio 2019 denuncia:
la Cina usa il DNA per tracciare le persone, anche con l'aiuto di aziende tecnologiche americane. E proprio nei giorni scorsi l'ha ripreso:
la repressione dell'Islam si sta allargando a tutta la Cina.
Nel frattempo il controllo cinese, in tutto il paese, cresce attraverso il
riconoscimento facciale impiegato in
telecamere che sono puntate sulle strisce pedonali, e grazie all’intelligenza artificiale applicata a
microfoni nascosti. Il crescente uso dei metodi di pagamenti digitali viene utilizzato dal governo
per controllare gli acquisti.