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7 Ottobre 2024
Ultima modifica: 7 Ottobre 2024 ore 13:16

7 ottobre, un anno dopo l'attacco di Hamas. L'Israele di Guy, in cerca di pace

Un'intervista esclusiva con Guy, attivista israeliano, che racconta la sua lotta per la pace e i diritti umani in un contesto di crescente violenza e repressione.
7 ottobre, un anno dopo l'attacco di Hamas. L'Israele di Guy, in cerca di pace
Foto di EPA/ATEF SAFADI
A un anno dall'attacco di Hamas, Guy, un attivista pacifista israeliano, offre una testimonianza toccante sulla realtà quotidiana in Israele e nei Territori Occupati. In questa intervista, esplora le radici storiche del conflitto e la necessità urgente di un intervento internazionale per porre fine al ciclo di violenza.

Il 7 ottobre 2023 verrà ricordato come un punto di svolta per la storia di Israele dei Territori palestinesi, del Medio Oriente e più in generale, del mondo intero.
C’è infatti un prima e un dopo l’attacco sferrato da Hamas, il gruppo palestinese riconosciuto come terrorista dagli Stati Uniti e dall’Unione europea (UE) oltre che da Israele, che ha ucciso 1.200 israeliani.
La risposta israeliana a queste violenze è stata implacabile e da un anno la Striscia di Gaza è al centro di operazioni militari, si stima che abbiano causato tra i 50.000 e 90.000 (il conteggio è impossibile) morti, 100.000 feriti e una catastrofe umanitaria immane.

I feriti

Secondo un’analisi dell’OMS sui tipi di ferite derivanti dal conflitto a Gaza, almeno un quarto dei feriti hanno riportato ferite invalidanti che richiedono servizi di riabilitazione ora e negli anni a venire. L’analisi ha rilevato che le lesioni gravi agli arti, stimate tra le 13.455 e le 17.550, sono il principale fattore di necessità di riabilitazione. Molti dei feriti hanno più di una lesione. Sempre secondo il rapporto, si sono verificate anche tra 3.105 e 4.050 amputazioni di arti. I grandi aumenti delle lesioni al midollo spinale, delle lesioni cerebrali traumatiche e delle grandi ustioni contribuiscono al numero complessivo di lesioni che cambiano la vita, che comprende molte migliaia di donne e bambini.

Guy, attivista isreliano per la pace

A un anno dai tragici eventi del 7 ottobre, abbiamo incontrato Guy (nome di fantasia), attivista israeliano per la Pace di Ta’ayush (convivenza), movimento dal basso che da una quindicina d’anni unisce con diverse attività nella Cisgiordania Occupata «israeliani e palestinesi che lottano insieme per porre fine all’occupazione israeliana e per raggiungere la piena uguaglianza civile attraverso un’azione diretta quotidiana nonviolenta».

Guy ha 52 anni e ha vissuto tutta la sua vita a Gerusalemme

Cominciamo dal tuo impegno quotidiano in Israele, raccontaci cosa fate.

«Il nostro lavoro consiste nell’accompagnare i pastori Palestinesi della Cisgiordania nelle loro terre, per proteggerli dagli attacchi dei coloni israeliani. Cerchiamo di portare alla luce le violenze e gli attacchi armati dei coloni, le demolizioni di case, i soprusi e tutte le violazioni dei diritti umani che commettono.
Per far emergere e denunciare tutto questo lavoriamo con altre organizzazioni, palestinesi e internazionali; attivisti come Operazione Colomba, che conosco dal 2010 e da allora siamo in relazione ottima e ci aiutiamo vicendevolmente nello scambio di informazioni e nel lavoro sul campo. Anche con i movimenti nonviolenti palestinesi delle colline a sud di Hebron abbiamo un’ottima cooperazione, ci aiutiamo vicendevolmente nello scambio di informazioni, documentazione e testimonianza delle aggressioni sul campo e cerchiamo di rispondere ai loro bisogni, quando ad esempio ci sono demolizioni di case, vengono attaccati i villaggi, viene impedito loro l’accesso alla terra. C’è bisogno di persone internazionali a difesa dei palestinesi, specialmente in questa escalation continua. I palestinesi sono gli obiettivi dei coloni e dell’esercito israeliano, noi oltre a fare interposizione diamo loro un’assistenza legale e facciamo dei report il più precisi possibile rispetto a accadimenti, incidenti e fatti in cui queste persone sono implicate cercando di riportare una ricostruzione vera dei fatti basata su testimonianze.»

«Dire che la guerra è nata il 7 ottobre, che questa rapina della terra è nata il 7 ottobre è ignoranza e ottusità»

Il 7 ottobre, un anno fa, iniziava questa – come possiamo definirla – “nuova fase” del conflitto. Possiamo considerarlo uno spartiacque?

«La pulizia etnica della Palestina è nata ancora prima della nascita dello Stato di Israele, ancora prima del 1948, e ancora prima del piano di partizione delle Nazioni Unite. Prima del nel XIX secolo la maggior parte della terra della cosiddetta Palestina storica era araba. Poi la comunità ebraica iniziò a prendere il sopravvento, il piano di partizione delle Nazioni Unite rese la situazione ancora più dura. È arrivato il 1967, il momento più brutto, in cui Israele occupa la Cisgiordania e la Striscia, una porzione di terra piccolissima, dove 2 milioni di persone sono state chiuse in un ghetto. Dunque molto prima del 7 ottobre 2023.
Molti palestinesi vivono in Cisgiordania circondati dagli insediamenti israeliani e il progetto di colonizzazione israeliana nel corso del tempo, da decenni, è cresciuto, le colonie si sono espanse e l’obiettivo di rubare sempre più terra ai palestinesi è andato avanti incessantemente. Un disegno preciso: depredare la terra per espellere i palestinesi. Per dire che la guerra è nata il 7 ottobre, che questa rapina della terra è nata il 7 ottobre è ignoranza e ottusità ed è ed è una visione completamente disconnessa dalla realtà, da quello che sta succedendo sul campo. È una beffa.»

Qual è la realtà?

«Ci sono milioni di palestinesi che stanno vivendo sotto un’occupazione brutale, senza diritti civili e senza nessuna possibilità di decidere del proprio futuro. Loro non hanno nessuna possibilità di autodeterminarsi: non hanno libertà di movimento, non hanno accesso all’acqua e all’elettricità, le autorità israeliane non li riconoscono e devono affrontare le demolizioni delle proprie case strade e villaggi.  Immaginate intere comunità vittime di ogni tipo di sopruso, che non sanno quale futuro le aspetta, non sanno dove saranno e cosa faranno la mattina successiva. Tutto dipende da altri, dai coloni, dai soldati… La pressione di questa violenza che la popolazione palestinese è costretta a subire rende la vita impossibile, insopportabile. I palestinesi sono veramente chiusi in un ghetto, non possono uscire, non possono entrare, non hanno nessun tipo di controllo sulla propria vita, che invece è controllata in ogni minimo aspetto dall’autorità israeliana, che ha su un’intera popolazione potere di vita e di morte. Era molto ovvio che una situazione di questo tipo esplodesse prima o poi.»

E purtroppo è esplosa con gli eventi del 7 ottobre…

«Personalmente non riesco proprio a spiegarmi come possa essere successa una cosa simile. È completamente fuori dalla realtà: non mi spiego come sia stato possibile che ciò sia successo, con tutte le forme di controllo che Israele aveva, con tutte le restrizioni e le possibilità di di respingimento, la capacità militare e di armi che Israele ha. È’ incredibile, io non ho davvero una spiegazione.
Posso dire però che il movimento dei coloni ha visto in questo evento l’opportunità di cambiare la realtà sul campo, di dirigerla e manipolarla per rubare ancora più terre ai palestinesi. Le restrizioni di movimento, le punizioni arbitrarie, le molestie e le violenze dei coloni sono aumentate esponenzialmente.
I coloni oggi si presentano con uniformi militari e non si riesce a distinguerli dai militari ufficiali.  Attaccano, distruggono le proprietà, in un’escalation veramente allucinante che peggiora di giorno in giorno.» 

Molti sostengono che Israele abbia il diritto di difendersi.

«La cosa assurda è che viene detto che Israele ha il diritto di difendersi ma questa non è difesa. Israele non si sta difendendo sta attaccando e abusando, sta commettendo un genocidio.
Israele è il potere che controlla ogni situazione. Non stiamo parlando di due parti in conflitto, ma di una sola parte che controlla tutta la situazione e può fare il bello e il cattivo tempo e sta abusando e rendendo vittima l’altra parte che non ha nessuna possibilità di difendersi, nessuna assistenza e aiuto e non ha soprattutto nessun diritto. Ma veramente si può dire che tutto questo è esercizio di un diritto di difesa? È ridicolo.
Oggi Gaza è tragico teatro di un massacro: stiamo parlando di più di più di 60.000 minori assassinati. Israele si difende uccidendo 60.000 bambini? Qualcuno può davvero pensarlo? Va a di là di ogni parola, di ogni immaginazione. E il mondo non dovrebbe far finita di nulla… non dovrebbe stare in silenzio e girarsi dall’altra parte.
Sappiamo tutti che è già successo, e tutti noi conosciamo l’espressione famosa “mai più, never again”, eppure sta succedendo ancora. Come è possibile?»

Ma in Israele c’è chi vede e si ribella?

«La società israeliana, gli ebrei, la maggior parte, oggi crede nella supremazia ebraica. "Siamo il popolo eletto siamo superiori. Il Signore ci ha dato questa terra”. E i palestinesi non hanno nessun diritto, e ogni tentativo di chiedere dei diritti o di provare a difendere i diritti viene ritenuto  inaccettabile, e questa visione razzista comporta da una parte chei palestinesi non siano meritevoli di diritti umani, dall’altra possiamo fare di loro quello che vogliamo. Questa mentalità cresce in modo abnorme di giorno in giorno e sta diventando sempre più estrema. Ma le persone non la vedono. In Israele c’è un lavaggio del cervello quotidiano: noi siamo le vittime, noi siamo sotto attacco. I palestinesi vogliono attaccarci, il Libano vuole attaccarci, L’Iran vuole attaccarci, tutti vogliono attaccarci e noi dobbiamo usare sempre più violenza, dobbiamo combattere fare la guerra avere più armi. Tutto questo è folle.»

«Oggi per chi crede nella Pace è molto dura. Io non ho nessuna relazione con persone che non hanno la mia visione, non vogliono avere a che fare con me. A volte sono stato minacciato».

Eppure alcuni, come te, riescono a vedere le cose diversamente.

«Io non credo nella supremazia degli ebrei, credo che le persone siano uguali e debbano avere gli stessi diritti. Credo davvero nel “mai più”. Appartengo, come molti di noi, a una famiglia di sopravvissuti all’Olocausto, e da ebreo credo che il “mai più” sia per tutti, non solo per gli ebrei. Anzi proprio per quello che abbiamo subito dovremmo difendere con forza questo “mai più”.
Purtroppo fin dall’infanzia a ogni bambino israeliano viene fatto il lavaggio del cervello, e passo dopo passo nel corso della vita questa narrazione diventa sempre più consolidata, si rafforza sempre di più man mano che tu cresci. Io sono riuscito a sottrarmi, sono riuscito a distruggere a destrutturare tutta la narrazione che volevano inculcarmi. Innanzitutto perché mio padre lavorava con i palestinesi, allora li ho conosciuti e quello che conosci ti fa molto meno paura. Mio padre anche se comunque è razzista e di destra, apprezzava i diversi palestinesi conosciuti. Io poi ho avuto un legame molto profondo con mio nonno sopravvissuto ai campi di concentramento, che ha avuto tutta la famiglia sterminata nella Shoah. Lui mi raccontava gli aneddoti, i ricordi che aveva della vita dei campi, e ho rivisto in tante storie palestinesi di oggi le storie che lui mi raccontava. Per me è scioccante e inaccettabile che chi ha subito, oggi faccia le stesse cose, abbia le stesse dinamiche.
La mia vita è cambiata quando ho partecipato alla prima manifestazione pacifista e ho fatto il mio primo viaggio nei Territori Occupati.  Ho avuto uno shock e ho pensato che non sarei mai più tornato. Invece dopo una settimana ero di nuovo lì, perché quando vedi non puoi far finta di niente. Ho sentito questo ho bisogno di giustizia, questa passione per la giustizia, un’indignazione. Ho avuto bisogno di combattere e di fare qualcosa.»

E il movimento pacifista israeliano?

«La società israeliana è profondamente malata, come detto c’è il mito del suprematismo degli ebrei e connaturato a questo suprematismo è tutto giustificato perché gli altri sono essere inferiori. I palestinesi più che mai sono esseri inferiori ma anche voi europei lo siete.
Questa narrazione che si fa è tutta una beffa, c’è il disegno sempre presente in una certa ideologia all’interno di Israele che bisogna distruggere, destabilizzare e creare il caos anche in maniera violenta perché poi da questo si aprono finestre per costruire “La grande Israele”, alimentare il mito e a questo gli avvenimenti del 7 ottobre hanno dato un impulso fortissimo.
Il movimento pacifista in Israele quasi non esiste. La maggioranza degli israeliani è addirittura contro il pacifismo, crede che noi dobbiamo stare uniti contro i palestinesi per arrivare a una vittoria completa. Non ci si fa troppe domande su che cosa sta realmente succedendo, ogni esitazione viene soffocata. Chi prova a fare delle obiezioni a questo pensiero dominante diventa il nemico Chi cerca un'altra via diventa nemico. Ogni opposizione soffocata. Oggi per chi crede nella Pace è molto dura. Io non ho nessuna relazione con persone che non hanno la mia visione, non vogliono avere a che fare con me. A volte sono stato minacciato.
Nei bus, per strada, ci sono così tante persone con armi… e i media stanno contribuendo nell’alimentare la macchina della propaganda e questa società diventa sempre più malata. Perfino se vai a ritirare i soldi al bancomat viene fuori la scritta “insieme vinceremo”. Non puoi fuggire da tutto questo disegno, è terribile. Chi fa parte del mondo pacifista è anche pericoloso perché rompe l’unità. Come attivista sul campo mi oppongo sia ai coloni che alle forze di occupazione e in molti di loro mi conoscono e non mi amano. Non mi vogliono nella loro società e non vogliono che gli israeliani vadano nei Territori a vedere con i propri occhi. C’è il movimento dei refusenik, ma sono pochi.»

Che speranza hai tu per il futuro?

«La speranza è che qualcuno possa intervenire dall’esterno per cambiare le cose. Deve intervenire la comunità internazionale. Non si può più stare in silenzio, dobbiamo chiedere che il massacro finisca. Non abbiamo imparato la lezione della seconda guerra mondiale? Noi dobbiamo applicare i valori del “mai più” a tutti, non solo agli ebrei. È successo ieri, sta succedendo ora, e succederà domani se non lo impediamo. Due milioni di persone vengono massacrate ogni giorno e noi dobbiamo fare qualsiasi cosa sia in nostro potere per impedirlo. Dobbiamo far conoscere a tutti  quello che veramente succede e chiedere giustizia. Dobbiamo credere che sia possibile un cambiamento. Nessuno aveva pensato che potesse finire l’apartheid in Sudafrica… ma c’è stato un punto di svolta ed è successo.  Io spero che ci sia anche oggi un punto di svolta. Se una gran quantità di persone in tutto il mondo si mette a ragionare e riporta al centro i diritti umani e vede davvero l’inaccettabile ingiustizia che c’è, allora le cose possono cambiare. Siamo tutti responsabili. E i diritti umani sono universali, la violazione per una persona è violazione dell’umanità di tutti.
Certo i leader potrebbero scegliere la pace, ma badano ai propri interessi. Tanti attori hanno il potere di cambiare le situazioni concretamente… ma solo se la pressione arriva dal basso, da una massa critica, lo farebbero.
A volte sembra che il grande problema sia l’antisemitismo, ma il problema è il razzismo. L’antisemitismo è solo una parte del razzismo. Dobbiamo combattere per dire no al razzismo, verso i palestinesi è razzismo.
La gente deve sapere che il vero problema è la colonizzazione dei Territori Palestinesi, questo progetto espansionistico di Israele. Oggi c’è un milione di coloni circa nei Territori Palestinesi, e vogliono una terra altrui. È un disegno espansionistico e razzista che vuole pulire ettari di terra dalla popolazione palestinese. Sono i coloni che guidano la politica di Israele. Chi li arma? Chi gli dà l’impunità? La Cisgiordania è un far west ormai. L’israeliano medio che vive a Gerusalemme Tel Aviv o Haifa appoggia i coloni, in nome della supremazia ebraica.  Forse la maggioranza non accetta le azioni dei coloni più estremi… ma nei fatti questi coloni estremi sono quelli che oggi stanno guidando il governo.»