L'aborto è un tema divisivo, alimentato da una comunicazione polarizzata tra pro-life e pro-choice. In mezzo la solitudine di chi si trova ad affrontare una gravidanza imprevista, tra indifferenza e condizionamenti. Attraverso un Numero Verde che aiuta le mamme in difficoltà emerge un mondo carico di sofferenza, ma anche di grande umanità.
«Ho bisogno di aiuto». Questo è uno dei messaggi ricevuti su
WhatsApp al numero 342.7457666 o al
Numero verde telefonico 800-035036 a sostegno delle donne e delle coppie in difficoltà a portare avanti la gravidanza. Una linea telefonica gratuita gestita da decine di volontarie della Comunità Papa Giovanni XXIII sparse lungo tutta la penisola. Una rete di donne che, in modo tempestivo, proprio come un servizio di pronto soccorso, si mettono al fianco di altre donne che stanno vivendo una gravidanza inattesa.
Miriam Granito, una delle volontarie del Numero Verde,
ha raccolto in un libro le testimonianze delle donne da entrambi i lati del telefono, sia di quelle che cercano aiuto, sia di quelle che si mettono al loro fianco. Storie dall'esito diverso, ma ugualmente importanti per fare luce su quelle zone d'ombra, disseminate di solitudine ed indifferenza, che circondano il tema dell'aborto.
Nel libro
La voce delle donne (Editore Sempre) - da pochi giorni nelle librerie fisiche e on line, anche in formato ebook - l'autrice parte dalla sua esperienza personale di donna che ha vissuto un aborto spontaneo. Un evento traumatico che l'ha spinta a mettersi al fianco delle donne che vogliono abortire.
La comunicazione sull'aborto è troppo spesso conflittuale
L'aborto è un argomento divisivo, polarizzato tra chi difende la libertà della donna – i
pro-choice, a favore della scelta della donna e quindi a favore dell'aborto – e chi difende il diritto del bambino a nascere – i
pro-life, a favore della vita e quindi contro l'aborto.
Nella comunicazione polarizzata l'obiettivo principale è far valere le proprie ragioni contro quelle della parte avversaria. Si tratta di
una comunicazione conflittuale che tende ad usare gli strumenti più eclatanti per urlare le proprie ragioni. Lo spazio per il dialogo e la comprensione è pressoché nullo.
A questo proposito è significativo leggere le
linee guida per gestire la comunicazione su questo tema fornite dalla più nota
organizzazione internazionale pro-choice, Planned Parenthood. In esse si suggerisce di non usare mai alcuni termini come “abortire un bambino, bambino, bambino non nato, feto morto”, in quanto non considerano il feto come un bambino. Suggeriscono poi di non parlare di “obiettori di coscienza”, altrimenti significherebbe che chi è a favore dell'aborto non ha una coscienza. Infine consigliano di non usare le parole “madre, padre e genitori” perché questo implicherebbe la presenza di un bambino.
Dall'altra parte le campagne comunicative dei pro-life mirano perlopiù ad affermare la presenza del bambino, appellandosi alla sacralità di ogni vita umana. Famose le campagne in cui si mostra la crescita intra-uterina del bambino. Questo approccio ritiene che se si comprende l’umanità dei nascituri, allora ne seguirà il conseguente imperativo morale – “uccidere un bambino è sbagliato” –, dunque le donne sceglieranno la vita per i loro bambini non ancora nati.
Il rischio di questa polarizzazione è quello di dimenticare che nel mezzo rimangono le donne che vivono una gravidanza non programmata e le creature che portano in grembo.
Una gravidanza imprevista
Nel 1998, negli Stati Uniti, fu pubblicato un articolo che suscitò un ampio dibattito,
Aborto: una mancata comunicazione. L'autore, Paul Swope, che era direttore di un'organizzazione anti-abortista, spiegò che fino ad allora la comunicazione
pro-life – nonostante la giustezza della causa e la buona fede dei protagonisti – si era concentrata solo sul bambino, non sulla madre. E questo era un errore. Alla luce delle recenti ricerche sull'intelligenza emotiva Swope spiegò che la maternità non pianificata rappresenta una minaccia così grande per le donne moderne da essere percepita come equivalente a una “morte di sé”.
Il punto centrale della questione “aborto” è
come aiutare le donne che per qualsiasi ragione si trovino a vivere una maternità imprevista, che scompiglia la loro vita – “ho già abbastanza figli”, “non abbiamo soldi” – oppure che potrebbe ipotecarne il futuro – “devo finire la scuola”, “vorrei laurearmi”, “mi serve un lavoro sicuro”, “desidero un matrimonio con l'uomo giusto”.
L'improvviso arrivo di una maternità non programmata per le donne comporta spesso una perdita di controllo sulla loro vita. In queste situazioni si possono ritrovare in una tale crisi da non vedere vie d'uscita, da sentirsi in pericolo, senza la possibilità di scegliere. Soprattutto si ritrovano sole.
«Quando scoprii la presenza di una piccola vita dentro di me, il mio mondo precipitò velocemente – racconta una donna nel libro –. Non era il momento, non adesso. Il mio unico pensiero era di eliminare quell'intruso che stava mettendo radici dentro di me, colui che mi avrebbe privato della mia tanta agognata spensieratezza».
«Quando scoprii di essere incinta ero molto felice – racconta un'altra donna –, ma questa felicità durò ben poco perché non appena il mio compagno lo seppe si tirò indietro dalle sue responsabilità, lasciandomi completamente sola. Mi crollò il mondo addosso e non vedevo speranza per il mio piccolo. Come potevo farcela da sola? Così, con il cuore spezzato e pieno di paure, l’unica cosa che mi rimaneva da fare era abortire».
«Mi stavo separando da mio marito quando ho scoperto di essere incinta: mi è crollato il mondo addosso. Cosa avrei potuto dare a questo bambino? Sono andata al consultorio e ho chiesto di abortire, richiesta subito accolta e incoraggiata».
Nel libro: le donne che aiutano le donne
Davvero nel libro di Miriam Granito si dà “voce alle donne”. Da queste testimonianze di donne che hanno vissuto una gravidanza inattesa in un momento di difficoltà emerge chiaramente che loro sanno di aspettare un bambino, sanno che con l'aborto lo eliminano. Un'altra donna racconta: «stavo pensando di stroncare una vita sul nascere, di commettere un omicidio, l'omicidio del mio bambino».
Se è così allora ci si chiede se siano davvero efficaci campagne di comunicazione in cui si dice che il feto è un bambino, come pure, sul fronte opposto, campagne che cercano di nascondere questa verità. Le donne lo sanno già.
Il punto centrale della questione aborto è quindi un altro:
come proteggere, valorizzare, dare speranza alle donne che vivono una gravidanza inattesa?
Le volontarie del Numero Verde di cui racconta Granito nel suo libro rispondono a questa domanda. E lo fanno mettendosi al loro fianco ed accompagnandole passo passo.
Trattandosi di volontarie – non retribuite –, lo fanno in qualunque momento. «
Le telefonate al Numero Verde – racconta Granito – arrivano alle ore più impensate: quando stai mettendo i figli a tavola, sabato, domenica, la sera tardi». Le ascoltano, individuano i problemi, quindi cercano, insieme, di rimuoverli o di affrontarli. Sempre vicine. Anche quando sono contattate da donne che hanno abortito e provano un dolore silenzioso, straziante e non preventivato: «Nessuno me lo aveva detto».
In questi casi, se lo chiedono, vengono accompagnate a dare una degna sepoltura al figlio non nato e cercare di elaborare il lutto.
Comprendere il bisogno profondo della mamma
Nelle prime pagine del libro l'autrice spiega bene come ha modificato il suo approccio: «Inizialmente ero presa dal salvare i bimbi che le mamme portano in grembo, poi, anche grazie alla formazione che regolarmente seguiamo, ho iniziato a sentire il “grido” di aiuto delle mamme: per poter salvare i bimbi bisogna comprendere il bisogno profondo della mamma. In pochi minuti bisogna agganciarla, perché sono prese da ansia e paura che noi cerchiamo di frenare delicatamente per iniziare un dialogo con loro».
È il metodo della “condivisione diretta” di don Oreste Benzi. Mettere la propria spalla sotto la croce delle donne. Una metodologia che il sacerdote dalla tonaca lisa impostò sin da quando iniziò – nel 1997 – la sua missione al fianco delle donne che volevano abortire e delle creature che portavano in grembo. Don Benzi era profondamente convinto che quando una mamma chiede di abortire, di fatto chiede di essere aiutata, per questo ha bisogno di incontrare qualcuno che sappia ascoltarla, accogliere le sue paure e aiutarla concretamente ad affrontare la realtà.
Stefania, una volontaria, racconta di quando ha ricevuto un SMS: «Abbiamo deciso di tenerlo. La ringrazio tanto per quel che ha fatto per me. Sono contenta di aver cambiato idea, anche mio marito è contento dell’arrivo del bimbo. Aveva ragione lei». Un messaggio che spiega come questa donna avesse solo bisogno di vedere un’altra strada, di ascoltare la voce del suo bimbo e di ritrovare il coraggio di essere madre. Aveva bisogno che qualcuno credesse in lei e le parlasse del suo bambino.
Le volontarie sanno bene che molte delle donne che incontrano decidono di abortire.
Una di loro, Paola, toscana, racconta che a distanza di mesi, nonostante la donna avesse scelto l'aborto, lei continuava a scriverle per sapere come stava.
Un'altra volontaria, Lucia dalla Puglia, non nasconde la sofferenza con cui vive questo servizio, «perché ci sono dei casi dove non puoi dire niente, oppure è chiaro che ci sono sopraffazione del partner o dei parenti che si oppongono alla gravidanza».
Silvia vive in Calabria e spiega che appena le donne capiscono che vive nella loro terra si rincuorano perché conosco bene la realtà locale. Silvia racconta gioiosa di aver ricevuto un messaggio di una mamma: «Io ancora oggi, a distanza di mesi, sono qui per renderti grazie per
Le storie: «Il tuo bambino lo chiamerai Francesco»
tutte le parole belle che mi hai detto facendomi capire ciò che nella vita conta davvero. Un figlio è tuo, solo tuo ed è un dono di Dio. Soprattutto una frase mi ha colpita più di tutte ed ancora oggi la racconto con gli occhi lucidi: “Il bimbo ti ha scelto come mamma” ed è stato proprio così: ci siamo scelti e non vedo l’ora che arrivi quel giorno per poterla stringere forte a me. Sarò sempre grata alla vita per questo bellissimo dono!»
Nel 1999 don Oreste Benzi iniziò a proporre la preghiera davanti agli ospedali nel giorno in cui si praticavano gli aborti. «La preghiera riesce a smuovere il cuore dei fratelli» ripeteva.
A questo proposito
nel libro di Miriam Granito viene riportato un episodio che vide protagonista proprio don Benzi. Una giovane donna, mentre si stava recando all'ospedale di Rimini per abortire, vide un gruppo di persone che pregava per tutte le mamme. Scoppiò a piangere perché combattuta, in realtà non avrebbe voluto abortire ma la giovanissima età e la conseguente precarietà la condizionava. Fu in quel momento che si presentò un sacerdote. «Sono don Oreste». La guardò sorridendo, le mise la mano sulla pancia e le disse: «Il tuo bambino lo chiamerai Francesco, il figlio del sole, sarà la tua felicità». Quel bambino nacque, un maschietto, i genitori lo chiamarono Francesco. Venne alla luce il 2 aprile, il giorno di San Francesco di Paola.
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Se desideri invitare l'autrice per incontri pubblici e testimonianze, scrivi a semprecommunity@apg23.org.