Papà, mamma e 4 figli. Fuggiti dalla Siria, hanno trovato in Sicilia una rete di solidarietà disposta ad accoglierli e accompagnarli verso l'autonomia. Ma partire non è stata una libera scelta.
Una famiglia siriana - i genitori e quattro figli in età di scuola materna - ha cominciato un cammino di speranza, lontano dagli orrori della guerra, in un angolo della Sicilia orientale. Hanno trovato ospitalità a
Santa Venerina, un piccolo centro di ottomila abitanti in provincia di Catania, diocesi di Acireale.
Zeyd, Aidha e i loro quattro figli sono arrivati in Italia grazie ai corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio. Sono stati accolti a Santa Venerina grazie ad
una rete di solidarietà e di accoglienza che ha coinvolto la Comunità Papa Giovanni XXIII, le parrocchie, la Caritas diocesana, l’Azione Cattolica, con l'appoggio del
Consiglio Comunale all'unanimità. Insieme alla famiglia destinata a Santa Venerina, sono giunte in Italia nello stesso giorno altre sessanta persone: tutte sono state accolte in territori dove si è formata un’analoga rete di solidarietà.
Accolti nonostante il terremoto
«Due anni fa – racconta
Marco Lovato, responsabile della casa famiglia di Santa Venerina assieme alla moglie Laura – tramite i volontari dell’Operazione Colomba abbiamo sentito parlare dei corridoi umanitari. Abbiamo pensato di coinvolgere per l’accoglienza le nostre parrocchie. In realtà eravamo un po’ titubanti, perché erano state duramente colpite dal terremoto del Natale 2018. I dubbi sono scomparsi quando una signora ha esclamato: "
Ma se non li capiamo noi, chi altri lì può capire?"».
E da quel momento è scattata la formazione della rete di accoglienza. Tutto è rimasto bloccato per un po’ di tempo a causa della pandemia e dei cavilli burocratici che sempre bisogna superare quando si decide di fare qualcosa.
Poi,
nella serata del 29 novembre la famiglia è arrivata a Santa Venerina, proveniente da un campo profughi del nord del Libano, dove era rifugiata a causa della guerra che da anni imperversa in Siria. Le condizioni di vita nel campo profughi, che normalmente non sono certo confortevoli, erano ulteriormente peggiorate anche in conseguenza della grave crisi economica che sta attraversando il Libano.
I corridoio umanitari
I
corridoi umanitari sono una modalità legale e sicura per arrivare in Italia: si fa il viaggio in aereo e una volta arrivati c’è la possibilità di chiedere l’asilo per motivi umanitari. Tutto diverso dagli arrivi via mare sui barconi.
«Tre anni fa - ha raccontato
Michela, dell’Operazione Colomba, che ha conosciuto la famiglia nel campo profughi - sono saliti su un barcone dalle coste libanesi, con la speranza di arrivare in Grecia e quindi in Europa e salvarsi dalla vita morta che hanno avuto in Libano. Sono partiti con le bimbe, ma durante il viaggio il barcone si è rotto e loro hanno rischiato di morirci sotto. Zeyd ci racconta che da quella volta non si avvicinano al mare, che gli piace guardarlo solo da lontano».
La rete di accoglienza
L’arrivo in Italia è sicuro ma non ci sono fondi pubblici che possano aiutare un processo di integrazione. Tutto è affidato alla rete di accoglienza che si forma nel territorio che ospita la famiglia.
«
La famiglia - racconta Lovato - ora sta facendo la dovuta quarantena nei locali del nostro Centro Diurno. Poi sarà ospitata in un appartamento al cui affitto provvedono le donazioni di chi si è coinvolto nel progetto». I bambini saranno inseriti nella scuola materna della parrocchia. Il capofamiglia, Zeyd, comincerà presto a lavorare nella cooperativa sociale Rò La Formichina, della Comunità Papa Giovanni XXIII: la diocesi di Acireale finanzia l’inserimento con una borsa-lavoro.
Un percorso verso l'autonomia
«Il progetto – spiega Marco Lovato -
prevede l’accompagnamento della famiglia fino all'autonomia, ed ha una durata di circa due anni. Accogliere la famiglia significa dare loro una casa e accompagnarla quotidianamente: nella conoscenza del territorio, nell’imparare la lingua italiana, nel percorso scolastico, nell’inserimento socio-lavorativo, con attenzione ai bisogni di tutti i componenti. Significa sostenerla fino a quando non avrà tutti gli strumenti per essere completamente autonoma».
È un percorso in cui la famiglia siriana non sarà sola, potrà sempre contare sull’aiuto delle persone che si sono coinvolte nella rete di accoglienza.
Partire non è una libera scelta
Ciò potrà in qualche modo alleviare l’ingiustizia di cui sono stati vittima. Commenta
Michela, la volontaria dell’Operazione Colomba: «Sono stata in Libano diversi mesi, in un campo profughi, condividendo la loro vita e assistendo alla violenza a cui i siriani sono costretti quotidianamente. Per questo motivo vedere la gente partire mi solleva, almeno qualcuno riesce a salvarsi. Allo stesso tempo i corridoi umanitari mi fanno un altro effetto: vedere queste persone andare via conferma il fatto che la guerra in Siria ha vinto nelle loro scelte e nelle loro vite.
Arrivare in Italia non sempre è una scelta libera. Mi sembra che faccia parte della violenza che subiscono e a volte, quando li vedo partire, una parte di me vorrebbe dirgli che mi dispiace, che loro non dovrebbero essere qui ma tornare a casa loro, in Siria, e poter essere liberi lì, poter essere rimasti».