Adelina era stata rapita a Durazzo. Venduta come merce in Italia come prostituta. Aveva denunciato i suoi sfruttatori e sognava di diventare cittadina italiana. Un sogno infranto che l'ha portata alla morte.
«Ho trovato dei poliziotti, quelli di Varese, che venivano sulla strada e ci spiegavano tutto, come si spiega ai bambini: dall'art.18 alla possibilità di studiare, di avere il permesso. Ci hanno detto che ci sarebbero stati vicini e io mi sono fidata.»
È uscita di scena in maniera drammatica. La disperazione ha sopraffatto la sua voglia di lottare soffocata dalla burocrazia del nostro Paese. Adelina Sejdini, per tutti Adelina, albanese di Durazzo, che aveva lottato instancabilmente contro il racket della prostituzione di cui era stata vittima nel 1996, sabato 6 novembre è morta sulla strada da cui era fuggita, gettandosi da un cavalcavia a Roma.
Adelina: il video postato prima della morte. Inascoltati i suoi appelli
Adelina soffriva e noi non l'abbiamo ascoltata.
Con l’operazione denominata Acheronte, dopo 14 mesi di indagini, grazie alle sue dichiarazioni furono arrestati dalla squadra mobile di Varese 40 dei suoi sfruttatori, e 80 denunciati, appartenenti alla mafia albanese che controllava il mercato della prostituzione in Italia.
Credeva nel nostro Paese, soprattutto nelle Forze dell’Ordine che l’avevano salvata e che lei chiamava «I miei angeli».
Una ex prostituta che aveva fatto della lotta contro la violenza la sua bandiera perché lei di violenza, fatta di crudeltà inimmaginabile, ne aveva subita tanta.
L’avevo conosciuta in occasione dell’uscita del suo libro Libera dal racket della prostituzione. Era stata anche a casa mia, nella mia città dove l’avevo invitata a parlare. Era generosa anche se le ferite del passato erano un’arma tagliente conficcata nell’anima. Negli occhi neri c’era il dramma che riaffiorava ogni volta che si apprestava a raccontare. Rapita dal suo Paese quando aveva 20 anni. Venduta e rivenduta come merce. Abbandonata anche dalla famiglia che si considerava disonorata. «Facevo tutto quello che mi dicevano i miei sfruttatori - mi raccontò -. Pensavo che non ci sarebbe mai stato nessuno ad aiutarmi. Per fortuna mi sbagliavo. Oggi so che questa possibilità c’è.» Parole che oggi suonano amare.
Per sdebitarsi con me dell'accoglienza aveva voluto a tutti i costi farmi un regalo lasciandomi un pendaglio a forma di foglia lavorata in fili sottili dorati. Una foglia fragile ma forte, come voleva essere lei.
Adelina paladina contro le violenze
Adelina aveva deciso di non stare zitta nella speranza di poter salvare altre donne che come lei avevano subito lo stesso trattamento.
Negli anni si era spesa in giro per l’Italia a parlare a convegni e persino al Senato del fenomeno della prostituzione.
Si era illusa, denunciando i suoi sfruttatori, di poter ottenere la tanto promessa cittadinanza italiana, invece nessun premio di riconoscimento.
Gli intoppi burocratici le hanno reso la vita complicata. Poi ci si è messo di mezzo anche un cancro che la costringeva a ricoveri frequenti all’ospedale San Matteo di Pavia, città dove risiedeva. Più volte ha fatto sentire i suoi accorati appelli sui social, in Tv.
Il 28 ottobre, il primo segnale di disperazione dandosi fuoco davanti al palazzo del Viminale a Roma,dove era andata a far sentire la sua voce, rimasta inascoltata, dopo che dal suo permesso di soggiorno rilasciato dalla questura di Pavia, era stato rimosso lo stato di apolide, indicando la cittadinanza albanese, che lei rifiutava fermamente.
«Il dirigente dell’ufficio stranieri - raccontava Adelina in ospedale - ha scritto nel permesso che lavoro. Di conseguenza non posso più avere i sussidi e la pensione d’invalidità che mi serve per vivere» e lei, che in seguito al cancro aveva ottenuto l’invalidità al 100%, non riusciva a lavorare.
La situazione personale era sempre più difficile. In seguito al nuovo documento, la speranza di ottenere una casa popolare era svanita.«Non posso accettare la cittadinanza albanese, dal momento in cui me l’hanno scritto ho gli incubi. Mi ammazzo piuttosto».
Poi l’ultimo appello il 3 novembre in collegamento su La7 a L’aria che tira. Il volto era stanco e scavato, in compenso i capelli le erano ricresciuti.
Alla conduttrice aveva detto: «Io se torno in Albania sono una donna morta, ho paura di essere ammazzata da quelli che ho fatto arrestare».
Adelina è morta con in tasca un provvedimento di allontanamento dal Comune di Roma e il divieto di farvi ritorno per un anno dopo aver chiesto disperatamente che qualcuno lassù, al Viminale, la ascoltasse.
Se ne è andata a modo suo. E noi tutti ne siamo responsabili
Adelina con le battaglie di don Benzi contro la prostituzione
Adelina negli anni aveva aderito alle battaglie contro la prostituzione portate avanti da don Oreste Benzi. Nel 2005 aveva aderito alla Campagna Stop alla tratta, libera la vita promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. Quando l’ho conosciuta non smetteva mai di ringraziare «padre don Benzi» per quello che diceva e per quello che faceva per salvare le vittime del traffico della prostituzione. Lei, vittima innocente lo è stata per molti anni.
Ne aveva meno di 20 quando la rapirono nella sua terra, l’Albania. Era l’inizio degli anni ’90 e il popolo albanese, dopo il crollo del regime comunista di Hoxha, sembrava impazzito. Il tentativo di apertura al pluralismo politico e al mercato aveva creato la smania, in alcuni, di arricchirsi velocemente percorrendo la strada criminale.
Chi è Adelina?
Adelina, così piccola e gracile, provata nel corpo e nella mente, aveva avuto però il coraggio di spezzare la catena di soprusi che era costretta a vivere, ritrovando la sua dignità di donna.
Aveva raccontato tutto nel suo libro: Libera dal racket della prostituzione, editore Iuculano.
Ecco che cosa ci aveva detto Adelinao in un'intervista a Sempre nel febbraio del 2006 quando ancora aveva fiducia nel futuro.
Perché raccontare tutto quello che ti è successo?
«Per tutte quelle Adeline che vengono sequestrate e sfruttate, perché attraverso la mia esperienza, le mie sofferenze, voglio aiutare le altre ragazze a ribellarsi e far capire a tutti i cittadini che la schiavitù esiste.»
Com’era la vita al tuo Paese?
«Non ho un granché di ricordi. Si faceva la fame, c’era il regime comunista. Non ho studiato molto perché i miei genitori erano dell’idea che dovevo aiutarli. Nell’età più delicata, dove una ragazza comincia a svilupparsi, sono stata sequestrata e violentata.»
Adelina rapita e portata in Italia
Cos’è successo?
«Sono stata avvicinata da dei ragazzi. Mi hanno presa e portata in un bunker, dove delle persone che non riesco a definire tali, bestie neanche degne di essere animali perché gli animali sono buoni, mi hanno ripetutamente violentata. Se dovessi raccontare tutti i tipi di torture che ho passato ci sarebbe da piangere. Mi hanno fatto un taglio sulla gamba e messo del sale dentro. Poi le bruciature di sigaretta sul seno… Sai cosa significa? Sono passata di padrone in padrone. Sono stata venduta destinazione prostituzione in Italia. In gommone ho fatto più di 30 viaggi.»
Venduta e rivenduta come merce…
«Essendo clandestina, ogni volta che le Forze dell’Ordine mi prendevano mi rimpatriavano. Ma non riuscivo mai ad arrivare a casa mia perché la polizia stessa di Durazzo mi rivendeva.»
La tua famiglia?
«Quando la polizia albanese ha chiamato i miei genitori perché mi riconoscessero, non l’hanno voluto fare. Li avevo disonorati perché avevo detto che anche dei nostri parenti mi avevano fatto del male. Così, quella sera al Commissariato, i poliziotti mi hanno insultata e violentata.»
Per strada le ragazze dicono sempre la stessa cosa: di non lavorare per nessuno, di essere libere. Anche tu?
«Facevo tutto quello che mi dicevano i miei sfruttatori. Pensavo che non ci sarebbe mai stato nessuno ad aiutarmi. Per fortuna mi sbagliavo. Oggi so che questa possibilità c’è.»
Adelina denuncia il racket della prostituzione albanese
Come l’hai scoperta?
«Io ho trovato dei poliziotti, quelli di Varese, che venivano sulla strada e ci spiegavano tutto, come si spiega ai bambini: dall’art.18 alla possibilità di studiare, di avere il permesso. Ci hanno detto che ci sarebbero stati vicini e io mi sono fidata.»
La svolta?
«Una sera stavo male. Avevo le mestruazioni e la febbre. Non me la sentivo di andare in strada. Per convincermi il mio sfruttatore mi ha picchiata per bene. Allora ho finto di andare a lavorare, ma quando sono arrivata al solito posto ho infilato la mano nella fessura del muro dove avevo nascosto il bigliettino che i poliziotti ci avevano lasciato, ed ho chiamato il 113.»
Poi?
«Avevo troppa paura. Così tornai al mio posto di lavoro. Mentre aspettavo arrivò un cliente che era venuto ancora da me e che qualche volta mi aveva invitato anche a mangiare una pizza. Lui mi ha accompagnata alla questura di Varese. Ero martoriata psicologicamente. Non mi rendevo conto della situazione nemmeno quando sono entrata in Commissariato a fare la denuncia. Eppure ne ho mandata dentro un bel po’ di gente del racket della prostituzione albanese.»
Adelina sognando la legalità
Hai paura delle ritorsioni?
«Se ti dicessi che non ho paura di niente, mentirei. Io voglio vivere la vita, perché ancora non ho vissuto niente. Se dovesse succedermi qualcosa, spero che il mio sacrificio, almeno, sia servito a salvare tante altre ragazze.»
«I miei angeli», così chiami i poliziotti che ti hanno liberata. Non ti sembra un po’ esagerato?
«Per me sono la mia famiglia. Loro mi hanno salvata. Qualcuno può pensare che sia pazza, ma io non finirò mai di ringraziarli. Uno di loro è stato mio padrino al battesimo, nel 2000.»
Perché la scelta di farti cristiana?
«Io ero musulmana, ma nessuno mi aveva mai spiegato niente. In Italia, nella comunità dove sono stata accolta, ho avuto modo di conoscere persone che pregavano. Subito la cosa non mi è piaciuta, poi ho iniziato ad appassionarmi e ho voluto credere alle parole dolci della Bibbia.»
Ti sei sposata. L’amore che hai incontrato ha rimarginato le tue ferite?
«Le mie ferite non può rimarginarle nessuno. Ci vuole tempo.»
Vai spesso in televisione a raccontare la tua storia…
«Lo faccio per aiutare le altre ragazze. Le schiave esistono. I personaggi che intervengono alle trasmissioni ne parlano 5 minuti senza entrare dentro al problema e poi se ne dimenticano. Invece bisogna far capire alla gente che ci sono delle persone per strada che soffrono e che bisogna fare qualcosa, non si può pensare solo a se stessi.»
Oggi le informazioni girano più velocemente e molte cose è difficile non saperle. Molti mettono in dubbio che le ragazze che si vedono sulla strada siano veramente schiave. Cosa ne pensi?
«Anche oggi le ragazze sono sequestrate. Può succedere anche che alcuni promettano un facile guadagno alle ragazze, per convincerle a venire in Italia. Poi quel qualcuno prende la sua parte e anche quella della ragazza. La riempie di botte, la minaccia, la distrugge psicologicamente. A quel punto la ragazza diventa la sua schiava.»
L'amore secondo Adelina. Il rispetto della persona
La tua vita adesso com’è?
«Io sono una ragazza piena di energia. Amo la vita, la mia e quella degli altri. Anche se ci sono dei momenti di difficoltà voglio vivere per me stessa e fare qualcosa per gli altri.»
Hai un lavoro?
«Faccio un po’ di pulizie. Non ho mai voluto approfittare delle comparse televisive per parlare dei miei problemi economici e trarne vantaggi personali. Non mi sembra giusto. Se lo facessi il mio impegno sociale potrebbe essere frainteso.»
Qualcosa da dire ai clienti?
«Se hanno un cuore, una coscienza, li supplico di non andare con queste ragazze! In ognuna di loro c’è un dramma. Anche se sorridono a tutti gli uomini che passano, dentro soffrono tantissimo. Lo so perché queste cose le ho vissute in prima persona. Sei privata della tua dignità. Hai paura di sognare, di sperare. Agli uomini dico di non andare in cerca del sesso a pagamento, ma di seguire la via dell’amore.»
Cos’è l’amore per te?
«L’amore per me... – e qui Adelina non riesce a trattenere le lacrime – ...deve essere l’amore vero, dove c’è il rispetto della persona, allora è la cosa più bella del mondo! È come stare in paradiso.»