Nulla tornerà come prima ma è urgente ricominciare a progettare il futuroTonino Cantelmi, psichiatra
C’è chi come Marco, 14 anni, è scappato di casa durante il lockdown per andarsi a comprare dei nuovi videogiochi ed è stato trovato a 60 km di distanza, il giorno dopo, giustificandosi così: «Avevo bisogno di prendere un po' d’aria e trovare nuovi giochi per la Play». Senza cellulare, ha preso un treno e non si è preoccupato di chi lo stava cercando a casa con angoscia.
E chi come Federica, 15 anni, nei pomeriggi in zona rossa, senza mascherine per farsi le canne, si è appollaiata sulla solita panchina della stazione con la sua compagnia di amici incurante di multe e richiami delle forze dell’ordine, iperconnessa a Whatsapp.
E infine, Nicola. A 17 anni è andato in tilt incerto com’era, nel suo mondo virtuale, su chi gli era davvero amico e chi invece lo derideva in chat parallele. Anche lui scappato di casa e ritrovato in piazza a vagare come uno zombi. Ha ripreso in mano la sua vita, con l’aiuto della sua famiglia — una famiglia normale e attenta — dopo esser stato ricoverato in neuropsichiatria per più di un mese.
«È tipico dell’adolescenza attivare soprattutto i processi emozionali del cervello limbico, che è rapido, immediato, risponde subito, è velocissimo. Quindi l’impulsività per esempio. E la tecnologia in questo non aiuta di certo — spiega Tonino Cantelmi, psichiatra e professore di Cyberpsicologia presso l’Università europea di Roma —. L’adolescenza è caratterizzata proprio dalla ricerca di emozioni forti anche con modalità di ribellione agli adulti. Il problema è che questa spinta all’emotività viene grandemente facilitata da una tecnologia pervasiva con una grande stimolazione percettiva. Questo favorisce lo sviluppo di alcune aree cerebrali, a discapito di quelle più riflessive. Il cervello corticale, quello più sofisticato ed evoluto, è lento: richiede tempo, consente di introdurre prospettive e valutazioni sul futuro. Dunque gli adolescenti sono degli impulsivi che dovrebbero imparare pian piano a moderare o controllare l’impulsività. Non ci sorprende che i giovani possano esagerare in abusi di socializzazione virtuale e poi desiderare con esasperazione di violare le regole per incontrarsi!».
Sembra che la pandemia abbia insegnato poco o nulla a quei teenagers poco flessibili e con la tendenza a ridurre la visione della vita ad un bianco o nero. Nelle lunghe settimane del lockdown, continua Cantelmi: «Abbiamo creato adolescenti sempre più digitalizzati e isolati, veri e propri hikikomori che faranno molta fatica ad uscire dal loro rifugio per rientrare nella normalità».
Gran parte di loro da mesi ha fatto questa vita: «Si svegliava la mattina qualche minuto prima di collegarsi per la dad, ascoltava per ore lezioni online e in contemporanea scambiava messaggi, aggiornava profili, chattava e ascoltava musica in cuffia. Nel pomeriggio videogiocava, in serata attraverso le chat di intrattenimento partecipava ad aperitivi virtuali e durante la notte ha visto tutte le serie Netflix… È anche vero che è cresciuta in loro la voglia di incontrarsi dal vivo e appena è stato possibile hanno affollato locali, piazze e si sono incontrati a volte in modo molto indisciplinato, senza alcun reale mantenimento di distanze, mascherine e accortezze. È stato un cambio di passo incredibile, velocissimo e globale. Tutti abbiamo scoperto la grande comodità della digitalizzazione universale. E tutti però abbiamo anche vissuto il desiderio reale di incontro fisico. Ora si tratta di semplicemente di aiutarli armonizzare i due processi». Per alcuni sarà difficile riaffacciarsi alla realtà; per tanti altri il rischio non è mai stato percepito come reale, vedendosi invulnerabili (perché «Tanto il virus prende di mira solo gli anziani»).
È un tempo sospeso quello degli under 14, tra presente dentro le quattro mura ed un futuro che non si conosce affatto. Anzi cupo e spaventoso come il personaggio antagonista di una favola, se si guarda alle reazioni di molti adulti di riferimento (genitori molto presi dal lavoro, nonni che rischiano di ammalarsi o non ci sono più). Gli adulti che agli adolescenti davano sicurezza ed erano di esempio, oggi non sono più come prima.
«Il tema del futuro è centrale. Nulla tornerà più come prima — avvisa lo psichiatra romano —. Quando c’è una situazione di incertezza come quella che stiamo vivendo a causa della pandemia, la prima cosa che viene a saltare è proprio la capacità di progettare il futuro, anzi di considerare tutti i futuri possibili, perché possiamo decidere verso quale futuro impegnarci».
Per ricominciare a sognare futuri, come già sottolineato anche dagli adolescenti intervistati da Unicef, bisogna prima ricominciare ad essere insieme “dal vivo”, più sereni sulla salute dei gruppi che si frequentano, nella possibilità di ridurre le distanze e ripopolare i luoghi. Oratori, centri di aggregazione, palestre chiuse non ispirano di certo esperienze positive di vita e di gruppo.
Secondo Cantelmi, intervenuto di recente ad un convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute, sugli effetti del Covid sul benessere mentale e relazionale non c’è tempo da perdere.
Se accettiamo e comprendiamo la realtà, non contrastandola, possiamo farcela: «Dovremo imparare a poggiare i piedi su punti sicuri, come se fossimo sul ghiaccio… Dovremo ampliare il nostro repertorio valoriale. Per esempio allenarci alla compassione, cogliendo il nostro dolore, il nostro disagio e quello altrui».
Altra abilità da riscoprire: «Fare scanning, cioè vedere dettagli apparentemente insignificanti e invisibili; su questi saper costruire futuri, non lasciare che la nostra testa si affolli di negatività. Chinarsi sulle realtà piccole, belle, che ci sono ancora oggi da salvare, e farle crescere per ricominciare da capo».
È un allenamento quotidiano per utilizzare il futuro, nel presente. Da non fare da soli.
«Non si tratta di ridisegnare i luoghi, ma di essere adulti attrattivi, capaci di dire una parola di senso e di significato al caos emotivo che giovani e adolescenti e ragazzi vivono. Questo è centrale: essere adulti credibili. La domanda da porsi è: ci saranno ancora adulti credibili»?