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16 Aprile 2025

Agli avvocati non piace il Decreto-legge Sicurezza

Dalla mancanza dei requisiti di urgenza alla linea punitiva: i problemi sono molti
Agli avvocati non piace il Decreto-legge Sicurezza
Foto di Klaus Hausmann
A poche ore dall'entrata in vigore del Decreto-legge Sicurezza 11 aprile, parte dell'avvocatura ha già iniziato ad esprimere il proprio dissenso, con critiche che restano uguali a quelle dell'arenato DDL Sicurezza (2024). Ecco i punti più contestati.
La firma del Presidente Mattarella ha ufficialmente approvato il nuovo decreto legge sulla sicurezza,  in vigore dal 12 aprile (Decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario”). Dall’inizio dell’attuale governo i decreti legge emanati sono stati più di 90. L’ultimo è quello in materia di sicurezza pubblica, con i suoi 39 articoli, che dal momento della firma ha 60 giorni per essere approvato dal Parlamento – mettendo così un limite temporale alle discussioni e alle modifiche che avevano arenato il disegno di legge sulla sicurezza.
Sono stati insufficienti i risultati delle proteste di varia natura che si sono opposte al decreto, come quella del professore Michele Giuli, che aveva iniziato uno sciopero della fame sedendosi in piazza Montecitorio, per essere poi trascinato via dalle forze dell’ordine, nonostante la natura pacifica della sua manifestazione. Ma il dissenso è nato tempo fa: il decreto legge ha mantenuto il testo per buona parte invariato rispetto al disegno di legge del 2024 (DDL Sicurezza), tanto contestato e criticato dalla popolazione, dalle opposizioni e talvolta dalla maggioranza stessa. Una vittoria, per lo meno, è l’esclusione dal testo dell’obbligo per università e centri di ricerca di collaborare con i servizi segreti sul rilascio di dati riservati.

Il carattere punitivo di un DDL che si è trasformato in Decreto-legge

Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, commentava così gli stessi articoli presenti nel Disegno di Legge 2024: «Scompare il principio di proporzionalità tra pena e gravità del fatto, che è un criterio che vale per tutti». Purtroppo, questo è rimasto invariato per il Decreto-legge 11 aprile 2025, che ha adottato buona parte di quel testo.
Le modifiche vanno ad ampliare pene esistenti e a modificare o inasprire altre pene, ad esempio non sarà più obbligatorio rinviare la pena per donne incinte o che hanno figli con meno di un anno, da scontare in un istituto a custodia attenuata per madri (ICAM).
«Ritengo sia un programma di riforma della giustizia che rivela nel suo complesso e nelle singole norme una matrice securitaria e punitiva, con un’impronta eccessivamente autoritaria» commenta sul testo del DDL l’avv. L. Simoncelli (responsabile del servizio Diritti umani e Giustizia della Comunità Papa Giovanni XXIII e consulente per la rappresentanza all’ONU della Comunità).

Le nuove pene per chi protesta: il ritorno degli articoli "anti-Gandhi"

«L’aggravamento di pene per le proteste passive e nonviolente non fa che rendere le nuove generazioni sempre più lontane dalla politica.», commenta l’avv. Simoncelli. Il Decreto-legge non considera che l’approccio punitivo, seppur possa limitare gli effetti di una protesta e del dissenso, non risolve le cause che li hanno generati. L’articolo 14 modifica la pena per coloro che impediscono la libera circolazione su strada (vengono aggiunte le ferrovie) con il proprio corpo: da ora sarà punito con la detenzione fino a un mese e una multa fino a 300 euro; e se sono presenti più persone, la pena è dai sei mesi ai due anni di detenzione. «Gli attivisti dovranno fare molta più attenzione e avere coscienza che muoversi senza modalità autorizzate o con proteste spontanee anche con forme passive, come sit in che possano causare intralcio alla circolazione, può costituire reato» afferma l'avv. Simoncelli.
Nell’articolo 19 invece, si modificano gli articoli 336, 337 e 339 che puniscono rispettivamente la violenza o minaccia contro un pubblico ufficiale durante e fuori il servizio. Oltre ad aumentare la pena, specifica che vi è un’aggravante se questi reati sono commessi «al fine di impedire la realizzazione di infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici.», come ad esempio la TAV o il ponte di Messina. L’avv. Simoncelli spiega che «appare piuttosto illogico il fatto che sia il tema della protesta ad aumentare la pena. Diciamo che sicuramente ed evidentemente lo scopo è quello di disincentivare certe tipologie di proteste».
Infine, gli articoli inerenti alle carceri e ai CPR (Centri di permanenza per i rimpatri) racchiudono un elemento degno di attenzione. Negli art. 26 e 27 del decreto viene introdotto il reato di rivolta con aggravante della pena per chi partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza. Il punto che ha suscitato più discussione riguarda la parte successiva, che recita: «costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva ». La resistenza passiva è considerata una forma di protesta nonviolenta e potrebbe anche essere l’occupazione pacifica di spazi comuni, spesso nata per le condizioni degradanti di questi centri detentivi, principalmente a causa del sovraffollamento. La norma lede gravemente il diritto di manifestare che tutti i cittadini hanno, compresi i detenuti e gli immigrati rinchiusi nei CPR, che sono costretti a vivere in una sottospecie di carcere nonostante non abbiano commesso reati se non quello di sbarcare sulle nostre coste. È importante ricordare però che punire un comportamento non risolve ciò che lo ha generato, e questo vale per ogni tipologia di protesta.

La reazione degli avvocati al Decreto-legge

I requisiti di urgenza per emettere un decreto sono già stati messi in dubbio, anche dagli avvocati E. Losco e M. Straini, che stanno seguendo un caso per resistenza a pubblico ufficiale, reato ora aggravato dal nuovo decreto. In un’intervista affermano che nel preambolo non viene specificato «in alcun modo quali siano le ragioni di straordinaria urgenza fattuali poste a fondamento della decretazione d’urgenza». Nel frattempo, gli avvocati penalisti aderenti all'UCPI (Unione delle Camere Penali Italiane) hanno annunciato attraverso una delibera (12 aprile) che si asterranno dal partecipare alle udienze penali dei giorni 5, 6 e 7 maggio per manifestare il loro «più ampio e profondo dissenso sia nei confronti delle singole norme, violative dei principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, offensività e tassatività, che della visione securitaria e carcerocentrica che ispirava l’intero Disegno di legge nel suo complesso». Un gesto che dovrebbe ispirare una discussione sulla legittimità del Decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, che secondo la delibera non incide «in alcun modo sul tenore di sicurezza della collettività».