«Ci sono anche famiglie con bambini che a Kherson, dove la situazione è durissima. Hanno deciso di restare», spiega Alberto Capannini di Operazione Colomba il corpo di pace dell'associazione fondata dal riminese Don Oreste Benzi. «Per loro andare via avrebbe significato dividere marito e moglie, o genitori dai figli, per un periodo di tempo che potrebbe essere per sempre».
Proprio in questi giorni alcuni dei volontari italiani (2 ragazzi e 1 ragazza fra i 24 e i 35 anni, provenienti da Torino e da Imola) stanno facendo rientro in Italia, in attesa di essere sostituiti da altri giovani nel mese di febbraio.
Il progetto, che vedrà avviare le prime attività nelle prossime settimane, è chiamato Motanka 2; ha una durata prevista di 12 mesi ed è reso possibile grazie ai fondi messi a disposizione da AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo).
Fra gli obiettivi, quello di migliorare le condizioni di vita delle persone più vulnerabili all'interno del conflitto attraverso la distribuzione di beni di prima necessità e supporto. Verranno raggiunti circa 41.700 beneficiari negli oblast (regioni) di Mykolaiv, Kherson e Dnipropetrovsk.
Fra i beni che verranno forniti primeggia: l'acqua. I pozzi scavati nei mesi scorsi grazie all'autofinanziamento della rete Stop The War Now hanno infatti bisogno di manutenzione. Oltre 30.000 persone - si stima - potranno bere l'acqua potabile anche di 3 nuovi punti di distribuzione che verranno realizzati grazie al progetto.
E poi ci saranno: supporto agli sfollati, distribuzioni alimentari, attività di ricostruzione, avviamento di servizi sociali.
Operazione Colomba è presente a Kherson da 8 mesi, a seguire l'esperienza di affiancamento alla cittadinanza che era iniziata a Mikolaiv a poche settimane dall'inizio del conflitto. A Kherson i volontari vivono con la gente comune; aiutano nella ricostruzione della ex casa del popolo diventata ora centro di distribuzione degli aiuti umanitari. Spiega Alberto Capannini, coordinatore della presenza di Operazione Colomba: «Abbiamo lavorato molto per aiutare a sistemare questo luogo, trasportando macerie e riverniciando. Una parte della struttura non è stato possibile recuperarla, perché distrutta dall'incendio causato dalle bombe. Il resto viene utilizzato anche dalle comunità religiose evangeliche per pregare e celebrare occasioni festive».
A Kherson le persone girano poco perché c'è molta insicurezza, dovuta ai bombardamenti quotidiani. La città era abitata da 100mila persone prima del conflitto; ora ne rimangono solo 20mila. Il governo ha chiesto più volte alle famiglie con bambini di lasciare la città». Alcune persone preferiscono restare nella propria casa piuttosto che diventare profughi nell'Ovest dell'Ucraina; ovunque ci sono comunque i rischi legati al conflitto armato.
Alberto Capannini si fa portavoce di un appello per una pace costruita attraverso una scelta nonviolenta: « La guerra è il contrario dell'umanità: dove c'è guerra non c'è vita, non ci sono bambini che vanno a scuola. La guerra si divora i giovani, con centinaia di migliaia di morti da entrambe le parti. Se le istituzioni transnazionali, che dovrebbero controllare gli Stati, sono in crisi, diventano importanti le scelte personali fatte da ognuno di noi».
E continua: «Non dobbiamo dire "ci vorrebbe", "bisognerebbe" ma piuttosto: "io personalmente cosa sto facendo per la pace, qui dove mi trovo?" E le parole di ciascuno di noi devono essere conseguenza delle azioni che compiamo. Facciamo una scelta nella vita, basata sulla solidarietà umana e sulla capacità di mettere gli altri davanti a noi stessi; mettere la vita degli altri prima della nostra, è la strada per costruire la pace».