A don Oreste, Lessi lo aveva chiesto già nel 1991 quali fossero gli autori e i libri che più lo avevano influenzato. La risposta è contenuta in quel libro-intervista, Con questa tonaca lisa, che ha reso il sacerdote riminese noto al grande pubblico, affibbiandogli uno degli appellativi più ricorrenti quando ci parla di lui, il “sacerdote dalla tonaca lisa”.
Ciò che rispose all’epoca don Benzi fu interessante, ma insufficiente per comprendere quali fossero davvero i suoi punti di riferimenti, quali persone e idee fossero state in grado di influire sulla sua formazione culturale e lo sviluppo della sua opera.
«A distanza di più di trent’anni, alla luce di quanto ho scoperto sbirciando fra i suoi libri, mi rammarico di non aver insistito, di non aver chiesto maggiori approfondimenti» scrive oggi Valerio Lessi nell’introduzione del libro Alle fonti di un carisma. La biografia culturale di don Oreste Benzi (Sempre Editore, 2024). Un volume che rimedia a questa carenza con una approfondita analisi della “biblioteca” del sacerdote, da cui emerge un profilo inedito.
Solo che papa Francesco possiamo ancora interpellarlo, don Oreste no.
«Già. Così mi sono posto il problema delle fonti. Da un lato avevo il libro-intervista che ho realizzato con lui, Con questa tonaca lisa: avevamo parlato anche di questi temi, anche se però in maniera insufficiente. Allora ho pensato che, non potendo chiedere oggi a lui cosa leggeva, avrei potuto però accedere direttamente ai suoi libri, quelli che erano nelle sue stanze quando è morto, oggi custoditi presso il Centro di documentazione della Comunità Papa Giovanni XXIII.»
2600 libri sono un bel numero, per don Oreste ma anche per te che li hai dovuti analizzare, davvero li hai passati in rassegna tutti?
«Confermo. Qualcuno velocemente. Su altri, quelli dove si trovavano tracce del tempo che vi ha dedicato, con sottolineature e note, mi soffermavo. Se era un autore a me conosciuto ne prendevo atto, se sconosciuto, facevo ricerche on line per capire chi era, cosa ha fatto.»
Ad esempio?
«Aveva molti libri di un teologo tedesco, Josef Pieper. Ho scoperto che le sue lezioni erano seguite con attenzione anche dal giovane Ratzinger. Nel libro evidenzio come don Oreste avesse un buon fiuto per individuare con largo anticipo autori che poi magari sono diventati santi.»
Come si è svolto questo lavoro?
«Per un certo periodo andavo al Centro di documentazione, mi facevo portare gli scatoloni e frugavo, quando vedevo qualcosa di interessante prendevo appunti e indagavo. Poi c’è stato un lavoro di post produzione.»
In che senso?
«Sono partito dai dati grezzi ma successivamente ho cercato di organizzare il lavoro con vari criteri, per temi ma anche per data, per periodo. Per questo ho usato il termine biografia.»
Hai trovato quello che ti aspettavi o ci sono state delle sorprese?
«La mia ipotesi di lavoro era che uno come don Oreste non venisse dal nulla: lo Spirito Santo agisce ma si serve di strumenti, anche dei libri e della lettura. Questo si è confermato. È importante capire la sua formazione soprattutto negli anni giovanili, come questo pretino uscito dal seminario nel 1949 e a cui viene affidata la pastorale dei giovani, si sia subito dotato degli strumenti necessari per svolgere la sua missione, anche psicologici, in un periodo in cui certi temi erano visti ancora con sospetto.»
Nel libro evidenzi come lui leggesse di tutto, anche fuori dall’area culturale cattolica.
«Lui guardava alla sostanza, era un esploratore dell’umano in tutti gli aspetti.»
Un libro che non pensavi di trovare sugli scaffali di don Oreste.
«La sorpresa più grossa, forse anche perché io provengo da quell’ambiente, l’ho avuta nel trovare i libretti di don Giussani del 1961-62, quando ancora a Rimini non era presente Gioventù Studentesca. Evidentemente c’è stato un contatto, magari tramite l’Azione Cattolica.»
Un libro che credevi di trovare e invece non c’era
«Umanesimo integrale di Maritain. Don Oreste lo citava e lo consigliava ai suoi ragazzi.»
Come ti spieghi questa assenza?
«Don Oreste era uno che consigliava ai giovani libri da leggere, ma volte dava anche i suoi, come testimoniano vari “ragazzi” di quegli anni. Altra ipotesi è che alcuni libri siano andati smarriti nei suoi viaggi sempre più frequenti.»
Nel 1991, 33 anni fa, pubblicavi Con questa tonaca lisa, nella prima edizione con Guaraldi, poi riedito con San Paolo. Sei stato il primo giornalista a comprendere e raccontare in modo organico le potenzialità di questo personaggio che stava emergendo sulla scena ecclesiale e sociale. Come nacque questo progetto?
«In quel periodo lavoravo al Messaggero, redazione Romagna, e mi occupavo di Chiesa e questioni sociali. Don Oreste su questi temi c’era spesso. Quando lo intervistavo, magari sul tema della tossicodipendenza, lui parlava e parlava. Allora gli dicevo “Guarda che devo scrivere un articolo, non un libro”. Ma lui insisteva “Questo è importante… lo devi proprio scrivere…”. Un giorno sono andato alla Grotta Rossa, nella sua parrocchia, e gli ho proposto: “Perché non facciamo un libro-intervista così puoi esprimere organicamente la tua esperienza, il tuo pensiero?”. Ha risposto subito di sì e sono cominciati gli appuntamenti, qualche volta in parrocchia, più spesso in auto, accompagnandolo nei suoi viaggi».
Un titolo molto efficace, di chi fu l’idea?
«Viene da una sua risposta alla domanda sul perché andasse a incontrare i giovani in discoteca: “Ci vado vestito da prete, con questa tonaca lisa”. Ne parlai con l’editore e questa frase è diventata non solo il titolo del libro, ma anche uno degli appellativi più diffusi di don Oreste.»
Dopo questa nuova biografia culturale, don Oreste è ancora il prete dalla tonaca lisa, che si spende tutto per i poveri e per annunciare un Vangelo vissuto, o cambia in qualche modo il suo profilo?
«Non cambia. Si completa. Se uno pensa che don Oreste fosse un attivista sociale non si sbaglia, ma questo suo voler andare incontro ai poveri nasce, oltre che da una intensa vita di preghiera, anche da un pensiero: don Oreste vuole capire, vuole trovare le soluzioni migliori alle ingiustizie che incontra, e per questo si documenta. Anche la sua visione di Chiesa, il carisma stesso della Comunità a cui ha dato vita, sono il frutto di intuizioni ma anche di studio, di approfondimento.»
C’è qualche autore che secondo te ha influito in maniera particolare sul suo pensiero?
«Una grossa impronta l’ha ricevuta dalla lettera pastorale Essor ou declin de l’eglise? (Crescita o declino della Chiesa?) scritta nel 1947 dell’arcivescovo di Parigi, il cardinale Emmanuel Suhard. Il cardinale già allora paventava il fatto che le masse stavano abbandonando la Chiesa, che la cristianità era finita e serviva una nuova evangelizzazione. Questa influenza si vede quando lui parla, nel libro Con questa tonaca lisa, di una Chiesa assediata e disarmata, e di come sia inutile fare grandi piani pastorali ma occorra ricostruire dal basso il popolo cristiano che non c’è più. Dal punto di vista scientifico e psicologico secondo me è poi evidente l’influenza di Victor Flankl secondo il quale l’uomo non è solo istinto ma c’è una relazione con l’assoluto che, se coltivata, emerge. Tema che don Oreste approfondisce quando affronta il dramma della tossicodipendenza.»
Nel libro parli però anche di pensiero sorgivo, cosa intendi?
«Se da un lato questi e molti altri autori che cito influiscono sul pensiero di don Oreste, ci sono temi per i quali non ho trovato alcuna fonte. Il caso più clamoroso è la società del gratuito. Su questa idea il suo è un pensiero originale. La fonte è lui stesso.»
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