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27 Febbraio 2025
Ultima modifica: 27 Febbraio 2025 ore 14:01

Don Dario Donateo sfida lo spaccio: «Non possiamo più ignorare questa piaga»

Dopo la morte per overdose di un giovane del paese, il parroco di Alliste della Comunità di don Benzi, si espone in prima persona denunciando lo spaccio di droga e l'omertà che lo circonda.
Don Dario Donateo sfida lo spaccio: «Non possiamo più ignorare questa piaga»
Don Dario Donateo della Comunità Papa Giovanni XXIII, racconta cosa l'ha spinto a esporsi, le reazioni della comunità e le speranze per il futuro di Alliste.

Il 2025 si è aperto con una scia di dolore e interrogativi per la comunità di Alliste, in provincia di Lecce. La morte per overdose di un giovane di 36 anni del posto ha scosso profondamente gli animi, portando alla luce una piaga sommersa: quella dello spaccio di droga.

A rompere il muro di silenzio e omertà è stato Don Dario Donateo, parroco di Alliste, con un post su Facebook dai toni forti:

«È morto mio fratello, è morto vostro figlio. Si è spenta l’ennesima vittima di omertà raccapricciante– ha scritto –, di spacciatori confinati in finti domiciliari, di gente per bene che non vuole averci nulla a che fare, di genitori esasperati che gridano aiuto…»

Toni che sono risuonati nell'omelia appassionata del 3 febbraio durante i funerali del ragazzo, invitando la comunità a unirsi nella lotta contro gli spacciatori e a rompere il silenzio che spesso protegge chi opera nell'ombra, «pronto – dice esponendosi in prima persona - a raccogliere nomi, cognomi, indirizzo, modalità, luoghi e tempi di spaccio nel più completo anonimato».

Il telefono di don Dario ha cominciato a squillare. Le sue dichiarazioni hanno scatenato un'onda di reazioni, portando alla ribalta un problema che molti preferirebbero ignorare.

Don Dario non si è limitato a denunciare. Insieme ad altri due sacerdoti, Don Antonio Coluccia, conosciuto per il suo impegno contro la criminalità e Don Giuseppe Venneri, si è fatto promotore di una Fiaccolata della Legalità (8 febbraio 2025) per le vie del paese, che ha toccato i luoghi di spaccio, un evento simbolico per risvegliare le coscienze e dire basta allo spaccio.

8 febbraio, manifestazione contro la droga e per la legalità ad Alliste

Don Dario Donateo era vicino a Luca, il ragazzo morto; aveva 36 anni proprio come lui e ci racconta cosa l'ha spinto a esporsi in prima persona, le reazioni della comunità, le sfide incontrate e le speranze per il futuro di Alliste, un paesino di 5.000 anime, 6.000 se si contano anche le frazioni.

Ma tu lo conoscevi Luca?

«A Natale è morto lo zio di Luca, il fratello del padre, sempre per problemi legati alla droga. In quell’occasione il padre mi ha presentato suo figlio Luca. Da quel momento abbiamo iniziato a sentirci quotidianamente. Luca aveva frequentato una Comunità Terapeutica della Papa Giovanni, e ne era rimasto profondamente colpito, anche se non era riuscito a completare il percorso. Mi chiedeva spesso di poterci tornare, desiderava cambiare vita, ma da solo non riusciva a farcela.»

Cosa ti ha spinto a denunciare pubblicamente la situazione di Alliste?

«Sono qui dal 2015 e la gente da anni si lamenta del degrado che il paesino sta vivendo, pur essendo troppo piccolo per giustificare tanti giovani persi. La crescente esasperazione, le numerose denunce fatte, il senso di latitanza delle autorità che aleggia tra le gente hanno fatto sì che questo fosse il momento giusto per lavorare insieme al cambiamento.»

Quali sono state le reazioni della comunità alle tue parole?

«La reazione è stata positiva. Spontaneamente mi hanno chiesto di realizzare la fiaccolata, e molti continuano a segnalarmi situazioni da denunciare che raccolgo e poi comunico all’autorità.»

Perché non hanno il coraggio di farlo direttamente?

«Non ci sono prove per giustificare una denuncia. Nel mio caso è più un accompagnare una situazione, stare al fianco della gente. Segnaliamo piccoli movimenti, magari se un latitante rientra in Paese o c'è qualche movimento sospetto, sempre da osservatori. Non possiamo denunciare proprio perché sono bravi a non lasciarsi dietro molte tracce. Di positivo, a seguito di questa tragedia, tre famiglie mi hanno chiesto di poter aiutare i loro figli a venire fuori dalla tossicodipendenza entrando in una delle Comunità terapeutiche della Papa Giovanni XXIII

Dopo quanto è successo come si stanno muovendo le Autorità ?

«Dal giorno che ho denunciato, sono stati incrementati i controlli delle forze dell’ordine. C’è stata una retata. L’amministrazione del nostro Paese cerca di promuovere spazi pubblici e di sostenere le associazioni. Purtroppo con la denatalità e i nostri paesini che si spopolano, resta chi non ha molte prospettive per il futuro: i disperati, gli ultimi.»

Quali sono le difficoltà incontrate nel combattere lo spaccio di droga?

«La sfiducia delle persone verso le istituzioni, che dovendo supervisionare molti paesi hanno vigilato poco sul crimine, sull’illegalità nei nostri piccoli paesini. “Glielo abbiamo detto ai Carabinieri, lo sanno…” ripete la gente. E poi c’è il sospetto di corruzione anche tra le forze dell’ordine. Insomma il clima in Paese non è sano, anche alcuni ragazzini di 12 anni mi hanno detto di farmi i fatti miei.»

Cosa speri per il futuro di Alliste?

«Speranze concrete. Al Consiglio pastorale straordinario si è deciso di riavviare un’esperienza fatta dieci anni fa di doposcuola gratuito per i ragazzi in collaborazione con la scuola, laboratori, corsi per riallacciare alcune fasce di età che stiamo perdendo. Quanto è avvenuto ha provocato tra la gente, la comunità cristiana, una presa di coscienza sulla necessità di ribellarsi all'illegalità, mentre ho percepito che gli ambienti più brutti si sentono sotto pressione, sono meno sereni perché meno invisibili.»

Un impegno come Chiesa che vuole arrivare alle istituzioni.

«Saremo più presenti durante i consigli comunali. Cercheremo di riappropriarci della vita politica a largo spettro, non solamente amministrativa, ma politica in tutti i sensi. Rappropriarci del nostro territorio con maggior consapevolezza e responsabilità partendo da noi come società civile.»

Tu sei un sacerdote che ha scelto la vocazione della Comunità Papa Giovanni XXIII. Cosa significa per te?

«Significa condividere con gli ultimi, essere attento alle marginalità, alle fragilità, alla giustizia. Qui vicino c’è una casa famiglia nella parrocchia di Casarano dove vado ogni giorno per il pranzo e per condividere un po’ di vita insieme. Nella mia parrocchia vengono spesso a portare la loro testimonianza: una finestra sull’amore che se condiviso si moltiplica generando amore e giustizia.»

Non ami parlarne, ma come sacerdote è vero che hai già compiuto un atto concreto?

«Qualche giorno dopo la fiaccolata ho ricevuto la telefonata del più conosciuto tra gli “spacciatori” che mi ha chiesto di fare il padrino di Cresima. Avrei dovuto certificare dunque l’idoneità alla sua vita cristiana e far finta di niente. Ci ho pregato tanto su, ma non me la sono sentita di tenere ancora la testa sotto la sabbia. Mi sono rifiutato di mettere quella firma e non ho mai sentito il Signore così vicino, prima di allora.»