Tiziana è mamma di un bambino autistico e ama la fotografia. Unendo le due passioni, inventa un percorso che ci fa entrare in punta di piedi in un mondo sconosciuto, ricco di umanità e tenerezza.
Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo. Un disturbo del neuro-sviluppo che coinvolge soprattutto l'area della comunicazione e delle relazioni. Se il termine è ormai entrato nell'uso comune, meno conosciuta è la quotidianità di chi vive l'autismo direttamente. Tiziana Selva, riminese, madre di un bambino autistico di 9 anni, ha deciso di colmare questo gap raccontando quello che si vive nelle famiglie che hanno un figlio autistico. Ha scelto di farlo non solo con le parole ma con le immagini, grazie alla sua passione per la fotografia.
Un percorso che ora viene offerto al pubblico nella mostra Nello spettro - storie di famiglie e autismo, curata da Silvia Tampucci, visitabile a Rimini, presso il Museo della Città, via Tonini 1, fino al 10 aprile, e a Palazzo Soleri, via Ducale 1, fino al 28 Aprile. Contenuti che saranno disponibili anche in un libro con lo stesso titolo della mostra, che verrà presentato in occasione dell'inaugurazione, domenica 2 aprile, alle ore 11, presso il Museo della città (info e prenotazioni: editoria@prostampa.net).
Tiziana, come è nato questo progetto?
«Nasce circa due anni fa, dal desiderio di conoscere e far conoscere la realtà dell’autismo, in cui io mi sono trovata immersa dopo che a mio figlio è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. Si stima che quasi il 2% della popolazione italiana presenti questa condizione, eppure è una realtà ancora poco conosciuta. Ne ho voluto parlare attraverso un linguaggio a me caro, il linguaggio fotografico, partendo dalla quotidianità di alcune famiglie con figli autistici. Da qui è nata la mostra fotografica Nello spettro – storie di famiglie e autismo, a cura di Silvia Tampucci, e l’omonimo libro, una narrazione visiva sull’autismo a cui ho voluto aggiungere alcune testimonianze di famiglie e di professionisti.»
Come hai scelto le famiglie?
«Ho cercato di dare una visione il più possibile ampia della realtà dell’autismo. I disturbi dello spettro autistico infatti, pur avendo un nucleo centrale comune, possono presentare caratteristiche anche molto diverse fra loro. Nel libro ci sono genitori e ci sono figli, alcuni ancora bambini, altri già adulti, con storie e vite diverse. Fra le testimonianze c’è anche quella di una famiglia in cui tutti i membri sono autistici e la madre, anche lei autistica, racconta di questa condizione in prima persona.»
Non dev'essere stato facile raccontare un mondo che, per definizione, ha difficoltà proprio nell'aspetto delle relazioni e della comunicazione. Come ci sei riuscita?
«Volevo un progetto che parlasse di momenti di vita ordinari, di chi vive ogni giorno l’autismo, e ho chiesto ad alcune famiglie di poter condividere con me un po’ delle loro giornate. Così mi è capitato di aspettare all’uscita di scuola o attendere la fine delle sessioni terapeutiche, di andare al parco o nei luoghi dove i ragazzi lavorano o praticano sport. Alcuni, in grado di parlare, mi hanno raccontato dei loro sogni e dei loro progetti. Altri, per i quali la comunicazione era più difficoltosa, mi hanno fatto comprendere che ero diventata una persona conosciuta e accettata. Ho passato parecchio tempo anche a casa loro, e tutto questo è servito a costruire un rapporto di famigliarità. È da questo rapporto che hanno preso forma la mostra e il libro.»
Bimbo autistico
Foto di Tiziana Selva
La città disegnata da un bambino autistico
Foto di Tiziana Selva
Foto di Tiziana Selva
Foto di Tiziana Selva
Ad un certo punto, però, un fotografo deve decidere quando e come scattare. Come scegli l’inquadratura e cosa vuoi evidenziare?
«Sinceramente non penso molto quando scatto, cerco di “entrare nella scena”, diventarne parte, entrare in sintonia, e ad un certo punto scatto. Ma in realtà non penso, scatto e basta. Ti posso dire che nella maggior parte delle foto io sono fisicamente molto vicina al soggetto che sto fotografando, ma faccio fatica a dirti perché. Probabilmente è un mio desiderio di voler far entrare nella scena chi guarda. Di farlo essere uno che partecipa, che vive la scena, e non un semplice spettatore.»
Da anni si parla di autismo. Cosa è migliorato e quali sono i passi ancora da fare, in base alla tua esperienza?
«Bisognerebbe scrivere un libro solo su questo! Nelle testimonianze che ho raccolto i genitori e i professionisti ne parlano in varie occasioni. Negli ultimi anni la situazione è migliorata, ma tanto c’è ancora da fare. A questo si aggiunge il fatto che la situazione in Italia è estremamente variegata e diversificata, a seconda delle regioni e delle Asl di appartenenza, quindi è difficile parlarne in maniera unitaria. In linea generale è importante un intervento precoce ed intensivo, per aumentare da subito le capacità di comunicazione del bambino. In alcuni casi è possibile riconoscere i primi segnali di autismo già all’età di sei mesi, e a questo proposito è importante la formazione dei pediatri e degli insegnati della scuola dell’infanzia affinché sappiano riconoscere questi segnali.»
Anche le famiglie, immagino, hanno bisogno di un supporto.
«Sì e serve anche per loro una formazione specifica, sia subito dopo la diagnosi che in altri momenti significativi. Come pure gli insegnanti e gli educatori di bambini o ragazzi autistici dovrebbero avere una formazione specifica. Sembra incredibile, ma si può fare l’insegnante di sostegno o l’educatore di un bambino con autismo senza avere una preparazione mirata per questo tipo di problematica che, per le sue caratteristiche, richiede competenze molto particolari. Bisognerebbe inoltre evitare il più possibile che queste figure di riferimento cambino da un anno all’altro.»
E dopo la scuola?
«Terminata la frequenza scolastica, è necessario attivare percorsi individualizzati in cui favorire il raggiungimento di obiettivi specifici e lo sviluppo della maggior autonomia possibile. È fondamentale, poi, passare dal concetto di integrazione a quello di inclusione.»
Cioè?
«Non è il ragazzo con bisogni specifici che si deve adattare all’ambiente e al gruppo attraverso strategie pensate appositamente per lui, ma sono l’ambiente e le strategie che devono essere modificate affinché tutto il gruppo partecipi e sia coinvolto, e le potenzialità di ognuno vengano valorizzate al meglio. In questo modo si ha un beneficio per tutti.»
Cosa ti aspetti da questa iniziativa?
«Il libro e la mostra fanno parte di un progetto finalizzato ad aumentare la conoscenza e la consapevolezza sull’autismo, per scoprire che l’autismo non è un mondo a parte, ma è parte del mondo. Vorrei che questo progetto contribuisse a rendere la società più inclusiva ed accogliente verso ogni tipo di fragilità, e migliorare così la qualità della vita di ogni persona.»