Il nostro corrispondente dal Libano ci racconta cosa sta succedendo in questo paese ormai al collasso.
«Povertà, bisogni medici e adesso anche la fame - racconta - sono all'ordine del giorno».
Operazione Colomba ritorna al campo profughi di Tel Abbas. «Vogliamo aiutare i fratelli profughi siriani e libanesi»
Libano. «Dopo aver lasciato Beirut dove abbiamo incontrato gli attivisti che da ottobre dell’anno scorso protestano chiedendo un rinnovamento della classe politica accusata di corruzione, ci siamo spostati nel nord-est del paese a visitare i campi profughi nella valle della Beqaa».
È la voce che ci arriva dal nostro corrispondente in Libano Alberto Capannini. Con i volontari di Operazione Colomba è in viaggio ormai da metà agosto nel paese martoriato da esplosioni e da una crisi economica che lo sta portando allo sbando.
Il passo successivo del viaggio è ritornare nel nord del Libano, al campo profughi di Tel Abbas. In questo luogo che dista solamente 5 Km dal confine con la Siria, i volontari di Operazione Colomba hanno vissuto fino a marzo di quest’anno, quando con il lockdown hanno dovuto abbandonare il campo.
Rivedere quei luoghi e reincontrare quelle persone ha portato gioia ma non è stato facile per Capannini e il suo gruppo. Hanno trovato persone molto stanche a causa del crollo economico del Paese, costrette ancora di più a vivere in una condizione di povertà e fame.
«Povertà, bisogni medici e adesso la fame – racconta – sono all’ordine del giorno». E poi bisogna fare i conti con il virus in azione. «I luoghi e le persone sono gli stessi, ma la situazione di restrizione nei rapporti sociali dovuta al Covid-19 ci chiede di modificare sia la presenza al campo che gli spostamenti nel Paese in questo momento»
Al campo profughi di Tel Abbas
Foto di Operazione Colomba
Foto di Operazione Colomba
Foto di Operazione Colomba
Come aiutare perciò in questo momento i profughi che in questi anni hanno intrecciato rapporti con Operazione Colomba? È una situazione che richiede di rivedere le modalità di intervento fino ad ora effettuate. È tutto da reinventare.
«In questo momento – racconta Alberto Capannini – non possiamo tornare a vivere al campo profughi di Tel Abbas dove siamo stati presenti come Operazione Colomba dal 2013, sarebbe pericoloso per le persone, perché quando noi arriviamo in un posto arriva un flusso di gente e questo potrebbe favorire la diffusione del Covid-19».
Per ovviare a questa situazione un prete ortodosso ha messo gentilmente a disposizione del gruppo un appartamento a Tel Abbas dove i volontari possono vivere e da lì fare visita al campo. «La domanda che ci facciamo adesso è come non ammalarci e non fare ammalare nessuno ed essere vicino alle persone del campo».
Le sparizioni senza risposta
Capannini sta facendo i conti con una realtà di cui si parla poco, la realtà di quelle persone che hanno un familiare scomparso o rapito.
«Ne abbiamo incontrato diverse – dice il referente di Colomba. In particolare sono rimasto colpito da una signora a cui gli hanno rapito il figlio. Al cellulare ci ha mostrato le foto dei suoi familiari morti. Un elenco lunghissimo di persone. Come si porta un dolore così pesante?».
Un momento molto toccante che Capannini non vuole dimenticare e che tenta di esprimere cosi: «Non c’è dolore più grande di una madre che non sa che fine abbia fatto il figlio rapito dal governo siriano, di una madre sofferente costretta a pagare da anni, proprio i responsabili di questa sparizione per avere delle informazioni su dove si trovi il figlio, senza sapere nemmeno se è ancora vivo o meno. E al dolore del figlio che non c’è più si aggiunge anche il dolore dei parenti uccisi, oltre al fatto che non si può tornare a casa in Siria rimanendo profughi in Libano. Un paese dove non c’è futuro, che sta collassando».
Cosa sarà dei libanesi? Cosa sarà dei siriani?
Sono questi gli interrogativi a cui Operazione Colomba sta cercando di dare risposte. La situazione dei libanesi sta diventando grave, quella del popolo siriano disperata.
«Di una cosa siamo certi» - dice ancora con decisione Capannini. «Noi non ci vogliamo rassegnare a raccogliere solamente il dolore di queste persone. Vogliamo far diventare il dolore una proposta politica, una proposta di cambiamento. Non ci basta piangere assieme con queste persone. Vogliamo fermare la fabbrica di questa ingiustizia che provoca solo dolore».
Dove vivono i volontari di Operazione Colomba?
Alberto, partito dall'Italia il 26 agosto 2020, ha incontrato gli altri volontari già presenti a Beirut, che si sono resi utili alla popolazione dopo l'esplosione del 4 agosto avvenuta nell'area del porto.
È dal 2013 che i volontari vivono al campo di Tel Abbas a nord del Libano, a soli 5 Km dal confine con la Siria, per assistere i profughi provenienti dalla Siria. Non è un impegno comune, anche se Capannini ne parla in maniera semplice e pacata. Qui i volontari di Operazione Colomba si mescolano con la gente, stanno con loro, vivono con loro, si occupano di loro. In che modo?
Come si viveva con i profughi al campo di Tel Abbas prima del lockdown ?
«Vivere al campo significa aiutare le persone nelle loro necessità più immediate e concrete, ad esempio avere accesso ai documenti, passare check point, aiutarli nella malattia, stare con i bambini. Favorire il dialogo tra siriani e libanesi. Organizzare corridoi umanitari e promuovere la Proposta di pace per la Siria, a cui abbiamo dato vita insieme ai rifugiati siriani per porre fine in maniera non violenta alla guerra nel loro paese e tornare alle loro case. Certo che in questo momento non sappiamo cosa troveremo».
«Di solito – racconta Capannini – andiamo per stare con i siriani. Ma con la crisi che c’è in questo momento ci sarà una grande attenzione anche ai libanesi. Andiamo per dare una mano».
I volontari a Beirut
I volontari di Operazione Colomba presenti in Libano dopo l'esplosione sui social hanno raccontato: «Siamo al fianco di ragazzi e ragazze che, organizzatisi in una rete di solidarietà, portano cibo, medicine e aiuti per la ricostruzione a centinaia di persone in difficoltà e abbandonate a se stesse».
La situazione è veramente grave. «Il Libano – continua Capannini – si è impoverito molto, ha una crisi economica fortissima con l’inflazione del 50% mensile».
I ragazzi tra le macerie del cantiere hanno incontrato un signore da Tripoli, che lavorava a Beirut dove c’era il cantiere saltato in aria. Davanti a lui solo macerie.
Non è facile in questo momento essere nel territorio con lo stile della condivisione, elemento che caratterizza Operazione Colomba. «In questi 5 mesi di lontananza – racconta Capannini – mi sono reso conto che la vita al campo con questi siriani, anche se l’ambiente è poco vivibile, è la linfa che dà senso a tutto il resto».