Venerdì 6 dicembre, con il patrocinio dei Comuni di Pontremoli e Mulazzo, il sostegno della Diocesi di Massa Carrara e Pontremoli e il contributo del Rotary Lunigiana, presso "Il Pungiglione – Villaggio dell’Accoglienza" a Mulazzo, si è tenuto il convegno "Dall’esecuzione intramuraria alle misure alternative", sul tema del carcere e delle possibili vie alternative alla detenzione carceraria, organizzato su iniziativa delle Camere Penali di Massa Carrara e della Spezia.
Questo evento conclude la settimana che in Lunigiana ha visto esporre la Mostra "Dall’Amore nessuno fugge" nel Tribunale di Pontremoli e poi trasferita a Mulazzo, a testimonianza dell’esperienza APAC nata e sviluppata in Brasile e che ha contribuito alla proposta in Italia dall’Associazione Papa Giovanni XXIII.
L’evento ha sottolineato l’importanza dell’attivazione di percorsi educativi individualizzati per l’esecuzione pena, portando come esempio l’esperienza concreta che la Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) vive all’interno delle Comunità Educanti con in Carcerati (CEC).
L’incontro, che ha visto la partecipazione numerosa di circa 150 persone con la presenza in sala anche del magistrato Cosimo Ferri, si è infatti aperto con la visita ai laboratori della Cooperativa Il Pungiglione, produttore del miele biologico DOP della Lunigiana, eccellenza in Italia, in sinergia con Toscana Miele, associazione di apicoltori e il Consorzio di Tutela: un unico Villaggio che, oltre le persone in misura alternativa, accoglie in strutture contigue donne vittime di tratta legate al progetto regionale Satis e ai migranti in convenzione con la Prefettura di Massa Carrara - microcosmo multietnico che vede la presenza quotidiana di circa 80 persone e propone un modello di integrazione ed erogazione di servizi fondato su dialogo e sostenibilità produttiva ed economica come da ispirazione del suo fondatore, Don Oreste Benzi.
Come ha messo in luce l’Avv. Fabio Sommovigo – Presidente della Camera Penale della Spezia – «gli avvocati penalisti sono spesso il primo ed unico contatto umano che il condannato ha dichiaratamente, e deontologicamente, dalla propria parte: ed è quindi compito dell’avvocato comprendere esattamente quali siano le buone prassi da mettere in atto e quali gli errori da evitare per proporre alla persona un percorso di riflessione e revisione positivo e prevenire indicibili sofferenze date dall’attuale disastro delle carceri che ad oggi conta, per il 2024, 85 suicidi fra i detenuti e 7 fra i poliziotti penitenziari. Un dramma che la politica volutamente ignora».
Le camere penali tentano di salvaguardare questo spazio di umanità costruendo una rete di efficienze sul territorio, come la proposta CEC, ancora poco significative dal punto di vista numerico ma certamente fonte di speranza dal punto di vista umano.
Particolare che ha sottolineato anche il Vescovo Mario Vaccari: «Questa tematica si mantiene cruciale in quanto le carceri sono diventate sinonimo di sofferenza. Ed è importante poterne oggi parlare al Pungiglione, vera perla di questa diocesi e della Lunigiana, luogo dove si cerca di trasformare questa sofferenza in speranza».
Ed è proprio questo che si porta avanti al Villaggio dell’Accoglienza attraverso la «contrapposizione della Società del Gratuito alla società del profitto, intuizione del nostro fondatore don Oreste Benzi, la cui valenza è testimoniata dalla grande partecipazione a questo convegno», ha ribadito Marzio Gavioli – Responsabile della Zona Toscana per l’Apg23.
La figura dell’avvocato non si ferma alla fase processuale, che è quella gestita e affrontata al meglio, ma deve «accompagnare la persona anche nella fase dell’esecuzione, fase che richiede una conoscenza diretta della persona e del territorio: solo in questo modo l’avvocato può essere un prezioso tramite tra il soggetto e il Magistrato di Sorveglianza», ha detto l’Avv. Claudia Volpi – Presidente della Camera Penale di Massa Carrara – introducendo la dott.ssa Michela Mencattini, Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Genova per l’ufficio di Massa, che ha lanciato un vero grido di aiuto: «Il lavoro va avanti grazie all’esperienza e alla sinergia tra le varie figure – magistrato di sorveglianza, uepe, avvocati, operatori del carcere, serd, servizio di salute mentale, associazioni ed enti territoriali e servizi sociali, ma le risorse ormai sono poche. Non abbiamo più personale.»
Le misure alternative non devono essere soluzione al sovraffollamento delle carceri o alla mancanza di personale istituzionale ma devono esistere in quanto programmi credibili che non si riducono ad assistenzialismo sociale.
«Le misure alternative devono mantenere un carattere sanzionatorio così che la persona preservi ed accresca la sua responsabilità sociale. Ma è insieme alla persona che si deve costruire il progetto educativo individualizzato, creativo e flessibile così che, consapevole del suo reato e delle conseguenze ad esso connesse, il soggetto sia posto nelle condizioni di non voler più delinquere perché ha attivato un processo di revisione critica», ha specificato la dott.ssa Cristina Necchi dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Massa, dichiarando che bisogna fermare questa «ossessione punitiva della collettività: la punizione guarda al reato già commesso ma non è detto che eviti futuri reati. La recidiva per chi esce dal carcere è dell’80% e si abbassa al 20% per chi affronta l’esecuzione pena con le misure alternative. Il carcere ha fallito come esperienza rieducativa, soprattutto per chi vive all’interno di circuiti di emarginazione. Dobbiamo capire che il carcere non è l’unica risposta ad un reato».
Anche Bartolomeo Barberis, esponente dell’Apg23, ha parlato di «mentalità carcerocentrica come problema culturale: se l’italiano medio toccasse con mano cosa è realmente il carcere lo vedrebbe come estrema ratio e non come prima scelta. Si parla di veri e propri luoghi di tortura»; e ancora Marco Pellegrini, responsabile del CEC Rinascere a Mulazzo: «E’ possibile creare un luogo aperto che garantisca comunque sicurezza. Infatti le CEC propongono percorsi educativi personalizzati da svolgere in un circuito comunitario protetto, cercando di rispondere all’urgente bisogno di curare le ferite e creare un nuovo patto di convivenza sociale. L’auspicio è che vengano riconosciute sia istituzionalmente che amministrativamente non essendo ad oggi finanziate dallo Stato. E’ la rete di tutti i soggetti coinvolti che in modalità attiva crea sicurezza per garantire non la sola certezza della pena ma andando oltre, per arrivare alla certezza del recupero. Un reo recuperato alla onesta convivenza civile aumenta la sicurezza reale di tutti».
Nella sala si è poi vissuto purtroppo anche un momento di intesa commozione ed un minuto di silenzio a seguito della sopraggiunta notizia data dall’Avv. Volpi della morte di un ragazzo di soli 21 anni nel carcere di Genova. L’86° morto suicida all’interno delle carceri italiane nel 2024.
Un altro ragazzo che non ha retto alla solitudine e nel portare il peso interiore della colpa e della violenza a cui oggi il carcere obbliga. «Il male cresce nelle ferite del cuore dell’uomo» ha concluso Giorgio Pieri – responsabile del progetto CEC in Italia per l’APG23 – «Se un male fisico può essere curato, può esserlo anche un male interiore: gli “ospedali”, in questo caso, sono le comunità educative, concreta opportunità per una ormai obbligata alternativa al carcere».