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7 Luglio 2021
Ultima modifica: 7 Luglio 2021 ore 09:26

Carcere. Chi è il vero colpevole delle violenze?

Le violenze a Capua Vetere vanno condannate e anche chi le ha compiute. Ma il primo colpevole è il sistema politico che sul carcere ha paura di perdere i voti.
Carcere. Chi è il vero colpevole delle violenze?
Foto di Thomas
«Provo compassione per le persone che lavorano in carcere, ma il sistema è perverso e come tale genera violenza.» Dall'autore di: "Carcere. L'alternativa è possibile", che con i carcerati ci vive davvero, ogni giorno.
I fatti di violenza in carcere sono terribili. Gli agenti colpevoli vanno condannati. La costituzione è stata tradita o meglio violentata all’articolo 27 ove afferma che le pene devono tendere alla rieducazione.
Malgrado ciò, provo grande compassione per chi lavora in carcere. Spesso dico che fra i direttori, gli agenti, gli educatori ci sono persone eroiche, se non addirittura sante. Ma il sistema carcere è perverso, e come tale genera violenza. È come voler spegnere un fuoco continuando a buttare su la legna.
Un educatore di un carcere che oggi è in pensione mi disse: «Io a questi detenuti li brucerei tutti a fuoco lento». Fu la risposta alla mia domanda se credeva alla riabilitazione che svolgevo come volontario del carcere.
Ho conosciuto anche guardie che sono dominate dalla rabbia. Eppure provo solo compassione. Lavorare in carcere è davvero difficile.

L’uomo ingabbiato diventa davvero pericoloso e tutto può succedere. Spesso la paura la fa da padrone. Con la paura nel corpo, dentro il carcere non puoi né lavorare né vivere e piano piano diventi indifferente ad ogni sofferenza quando ti va bene, altrimenti rispondi al male con altro male.
Ho visto guardie con il viso sfregiato da lamette nascoste in bocca. Altre che hanno ricevuto minacce alla propria famiglia.
Sono oltre 800 all’anno gli atti di violenza all’interno del sistema carcere. Molti non sono registrati. Anche tra la polizia penitenziaria, vince spesso la voce del più prepotente e malgrado tutto è sopportata, ma tenuta al suo posto.
Quando un detenuto “rompe”, ci sono vari modi per intervenire, direttamente e indirettamente.

Cosa succede in carcere?

In questo momento in una delle nostre case (ndr: l'autore si riferisce alle CEC, Comunità Educante con i Carcerati, in cui la persona che ha un debito con la giustizia, sconta la pena attraverso un percorso di consapevolezza, di riparazione e rinascita) c’è un ragazzo che ha compiuto reati sessuali a cui qualche detenuto ha rotto le ossa.
In fondo il sistema carcere è convinto che il male si combatta con il male e senza volerlo diventa una vendetta di Stato.
Gli agenti di polizia penitenziaria respirano tutti i giorni un’aria inquinata di violenza, rabbia, morte. In questo stato gli agenti di polizia penitenziaria sono anche le prime vittime di questo sistema.
Negli ultimi anni si è assistito ad una impennata di suicidi tra le guardie: 27 in tre anni.

Pur occupandomi di carcerati tutti i giorni, non posso negare questa realtà: le guardie sono vittime di questo sistema.
Io credo che a dover essere condannato sul serio per questi fatti di violenza debba essere il sistema politico che sul carcere ha paura di perdere voti. Tutti gli esperti di settore sono a conoscenza del fallimento del sistema e conoscono le alternative ad esso. Sono stati fatti gli "stati generali" che promuovevano una riforma dell’intero sistema. La politica ha imprigionato ogni possibile riforma. Questa è colpa grave!
Lo psichiatra Vittorino Andreoli disse: «Dopo 26 anni di carcere ho capito che il carcere è una costosa inutilità». Perché i detenuti invece di elaborare il senso di colpa, nel tempo si sentono vittima del sistema carcere.

L'alternativa al carcere

L’alternativa è possibile: lo stiamo sperimentando come Comunità Papa Giovanni XXIII nelle case di accoglienza per carcerati secondo il modello CEC, 8 presenti in Italia e 2 all'estero che in questi anni abbiamo creato. Sono realtà in cui la recidiva si abbassa al 12%. Anche i costi diminuiscono dai 150 euro ai 30 euro al giorno che lo Stato ancora non riconosce. (Sic.) Dobbiamo passare da una giustizia vendicativa ad una giustizia educativa.
In Brasile geazie all’APAC (Associazione per la Protezione Assistenza Condannati) nel solo Stato del Minas Gerais sono state chiuse carceri tradizionali e aperte oltre 50 realtà APAC ove la presenza delle guardie è di 4 ogni 100 detenuti e la recidiva bassissima.
Se ci fossero leggi e finanziamenti, da domani, anche in Italia, è possibile accogliere oltre 10.000 detenuti con un abbassamento della recidiva dall’80% al 15%  e un risparmio di 225 milioni di euro l’anno.

Allora mi chiedo chi ci guadagna a tenere tutto così? Perché pensare a costruire nuove carceri quando si conoscono esperienze che funzionano anche senza sbarre?
Abbiamo bisogno di una politica con uno sguardo alto, capace di sognare il cambiamento. Confido che la Ministra Marta Cartabia, che abbiamo invitato a visitarci, colga questa occasione per dare una svolta significativa al sistema.