Su una popolazione di 180mila individui Rom e Sinti in Italia, ancora oggi 40mila di loro sono in uno stato di precarietà e vivono in situazioni ai margini della società. Alcuni di loro abitano nei campi-sosta, altri sono stati sgombrati e quindi vivono in uno stato di fragilità ancor più grave perché si trovano in giro senza una base di appoggio; altri ancora hanno iniziato un percorso di inclusione sociale, che per vari motivi ancora non ha portato ad una stabilità.
Oggi, con l’epidemia del coronavirus, tutte queste persone vivono una situazione di ulteriore fragilità: sia perché non c’è stata un’opera generalizzata di prevenzione e di supporto nei campi-sosta che ancora sono aperti, sia perché la prevenzione e il sostegno sono mancati anche a quelli che non vivono più nei campi, ma che comunque sono in una situazione di marginalità, che vivono cioè in giro sulle strade, nei camper.
Non abbiamo rilevato, a livello nazionale, un’azione strutturata di presa in carico dei campi-sosta. Ogni singola Asl, a propria discrezione, ha deciso se e come intervenire con proposte di prevenzione e supporto per la popolazione dei campi-sosta.
Sono a conoscenza di un caso in cui in un campo-sosta in Piemonte, pur essendo stata riscontrato il contatto con una persona positiva al Covid-19, non è stata predisposta nessuna quarantena. Non mi risulta, ad oggi, che siano state fatte opere pianificate di assistenza sanitaria, non è stato fatto nessun incontro di sensibilizzazione sia per spiegare l’emergenza in cui si stava entrando, sia per illustrare le regole che tutti eravamo tenuti a rispettare.
Chi vive nei campi-sosta ha molta paura del contagio e della malattia e si attiene alle norme di sicurezza per quanto possibile, anche se lo stile di vita comunitario del popolo Rom pregiudica la totale sicurezza e la corretta prevenzione.
Quelli che vivono per strada, quelli cioè che sono stati allontanati dai campi-sosta in seguito ad uno sgombero, sono in condizioni ancora peggiori: sono i meno tutelati, i meno visti, i meno ascoltati. Chi viveva di elemosina non ha alcun sostentamento. Ho visto persone Rom disperate, allo sbando, che non sanno proprio come fare per reperire quello che serve. Molte famiglie sopravvivevano grazie all’elemosina che la mamma andava a chiedere in giro: ora che questo non è più possibile non sanno proprio dove sbattere la testa. I Rom sono i meno tutelati, come anche altre categorie, ma i Rom sono i meno considerati, come sempre i più emarginati. Molte associazioni pro Rom in Italia hanno alzato un grido a difesa di questo popolo, ma questo grido si è sentito molto poco o non è stato ascoltato. Ci troviamo davvero in una situazione di emergenza in cui, proprio nella nostra Italia, molti di loro sono alla fame, nella precarietà e nella disperazione.
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È più giusto parlare di un unico popolo rom oppure di popoli rom? Dare una definizione non è semplice: il mondo rom è molto complesso e difficile da decifrare per chi non ha le giuste conoscenze e per acquisirle occorrono spesso tanti anni. Piuttosto che parlare di un unico popolo rom, è più corretto parlare di popoli rom, visto che le 5 comunità principali della popolazione romanì sono divise in centinaia di gruppi e sottogruppi.
Ogni sottogruppo ha una propria specificità culturale, un proprio credo religioso (anche se in realtà le linee religiose sono abbastanza definite per tutta la popolazione romanì), il proprio dialetto che appartiene alla lingua romanì, una propria etica basata su un complesso di regole morali. Infatti ognuna delle 5 comunità maggiori, e anche i sottogruppi in cui sono suddivise, hanno delle regole morali vincolanti e chi non le condivide viene estromesso. Ogni gruppo quindi rappresenta una realtà sociale, culturale, religiosa e linguistica a se stante, che non può essere confusa o assimilata a tutti gli altri.
Ogni gruppo e sottogruppo ha anche un etnonimo, cioè un nome con cui viene chiamato e che riflette il mondo e il sistema culturale specifico e culturale proprio di quel gruppo. Questo nome è la prima linea di confine tra il loro mondo e il mondo degli altri.
Non esistono criteri di classificazione antropologica uniformi: le comunità romanes si distinguono in base ai mestieri e alle attività esercitate nel passato o attualizzate e rinnovate nel presente, in base al dialetto con cui comunicano tra le famiglie, in base alle regioni in cui si insediano o da cui provengono, in base ad un patronimico, in base alla fede professata.
Bisogna sempre chiedersi di che gruppo si tratti quando si parla di Rom: le differenze tra un gruppo e l’altro sono profonde, ma generalmente si tende a confonderle e massificarle.
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Ci sono alcuni punti fermi che indicano chi è Rom e chi non lo è:
È Rom chi si riconosce in questo nome.
Chi si riconosce nel Romanès (lingua di tradizione prevalentemente orale che deriva dal sanscrito, con una miriade di dialetti)
Chi si riconosce in un’unica bandiera, che deriva dalla bandiera indiana (campo azzurro, che rappresenta il cielo; campo verde che rappresenta l’erba e la ruota del carro rossa mutuata dalla bandiera indiana).
Chi si riconosce nell’inno nazionale “Gelem gelem”
Purtroppo per essere riconosciuto come minoranza etnica di diritto, al popolo rom manca un aspetto: il territorio nazionale: a causa delle numerose diaspore, i Rom sono un popolo senza terra.
Nel 1979, in seguito al primo congresso internazionale della Romanì Union, che ha visto la rappresentanza degli esponenti di molti gruppi Rom sparsi per il mondo, l’ONU ha riconosciuto il popolo Rom come unico, a partire dai tre elementi fodamentali (bandiera, lingua, inno) e suddiviso in 5 comunità principali (Rom, Sinti, Kalè, Manouches, Romanichals), a loro volta suddivise in gruppi e sottogruppi, clan e famiglie.
Nel mondo ci sono 16 milioni di Rom (12 milioni in Europa), che si possono ricondurre a 5 comunità principali:
Rom balcanici (slavi, rumeni e bulgari) e Rom italiani
Sinti italiani
Manouches: sono i Rom del sud della Francia
Calè (o Kale): sono i Rom della Spagna, del Portogallo e del Nord Africa e in Sud America
Romanichals o Romaniche: sono Rom stanziati in Inghilterra, nord America, Australia e in Sud America.
I Rom in Italia sono 180mila (dati 2018 depositati ufficialmente in Senato dall’Associazione 21 luglio). Di questi 180mila, 100mila sono Rom di antico insediamento, cioè sono in Italia dal XV secolo (Rom italiani e Sinti)
I Sinti sono stanziati prevalentemente nell’Italia del nord, mentre i Rom italiani sono stanziati prevalentemente nell’Italia del centro-sud.( prevalentemente in Abruzzo-Molise)
Tendenzialmente i Sinti prendono il nome dalla regione in cui vivono (sinti lombardi, sinti veneti, sinti piemontesi) e in genere parlano un dialetto molto simile a quello delle popolazioni locali, anche se si notano delle influenze legate alla tradizione romanì.
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Qual è il significato di "gipsy"? Il iltermine "gipsy" è una parola inglese che tradotta in italiano significa “gitano, girovago” e quindi indica tutti i gruppi e le famiglie girovaghi, che non hanno una stabilità sul territorio. In questo termine possono anche essere compresi i Rom, anche se non sono girovaghi per cultura ma per necessità, per esercitare le proprie arti e mestieri. Il girovago può essere quindi una persona, un gruppo o una famiglia che ama viaggiare e ama la vita libera e nomade, oppure può essere il Rom che si sposta per necessità o per motivi legati a condizioni socio-politiche, oppure perché scacciato, rifiutato, emarginato.
Il termine italiano “gitano” ha le sue radici etimologiche nella parola “egiziano” e ci ricorda che nel Medioevo i Rom erano considerati da molti di etnia egiziana, perché avevano la carnagione ambrata e non si capiva bene quale fosse la loro provenienza. Da egiziano è derivato poi il termine “gitano” e anche “zingaro”.
In senso più generale, il termine “Gipsy” può essere riferito ad uno stile, che può essere legato alla moda, all’arredamento, ad uno stile di vita. La moda gipsy è un tipo di abbigliamento che ricorda il modo di vestire Rom: gonne ampie, colorate, abiti sgargianti, camicie con maniche ampie, sovrabbondanza di gioielli.
I gioielli in stile Gipsy sono prevalentemente d’argento, usano pietre come il turchese, sono anche gioielli etici di derivazione indiana.
Anche nell’arredamento lo stile Gipsy richiama il mondo orientale, dal quale in effetti il popolo Rom proviene. Questo stile è un accostamento variegato di tanti elementi diversi e colorati, provenienti da tante culture.
Infine il termine gitano è usato anche all’interno del popolo Rom, infatti c’è una comunità che loro stessi definiscono come “comunità gitana” ed è il gruppo dei Kalè. I Kalè sono una delle 5 principali comunità Rom che vive nella penisola iberica e nel nord Africa. Kalo significa “nero, scuro”: questa comunità viene definita in base al colore della pelle.
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I Rom e i Sinti di antico insediamento (100 mila circa) sono integrati nella nostra società e vivono in normali abitazioni, gli altri 80mila sono Rom di insediamenti successivi. Questi 80mila sono arrivati in Italia attraverso vari flussi migratori. Il primo e il più importante è avvenuto a cavallo delle due guerre mondiali, in cui i Rom sloveni e istriani sono arrivati in Italia in cerca di maggior benessere e di possibilità lavorative. Altri flussi migratori importanti sono stati: uno alla fine degli anni ’80 dalla Romania (Rom rumeni), in seguito alla caduta del regime di Ceausescu, e l’altro formato da Rom balcanici a seguito della guerra della Ex Jugoslavia. Ancora oggi questa migrazione continua, con lo scopo di fuggire dalle persecuzioni dei Paesi di provenienza in cerca di un benessere maggiore.
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Dei 180mila Rom che vivono in Italia, solo 17mila circa risiedono nei campi sosta (anche detti campi nomadi); tutti gli altri vivono in case. Ciò significa che la stragrande maggioranza dei Rom che vivono oggi in Italia sono inseriti in abitazioni tradizionali, in case come le nostre. Solo 17mila vivono nei campi e di questi 17mila, solo 9mila circa non hanno documenti regolari. La maggior parte dei Rom risiede in Italia regolarmente, con cittadinanza italiana a tutti gli effetti o con regolari documenti di soggiorno. Quella che ci appare dai media, quindi, è una situazione di degrado ed emarginazione che interessa solo una piccola parte del popolo rom in Italia. Chi è integrato, chi svolge un lavoro normale ed abita in case non risulta evidente, anche perché per sfuggire alla discriminazione razziale, ancora così forte in Italia, spesso i Rom sono costretti a nascondere la propria origine etnica. Chi è Rom e riesce ad avere una vita regolare, con un lavoro regolare e un contratto d’affitto, si guarda bene dal dichiarare le proprie origini, soprattutto ai proprietari di casa e al datore di lavoro, perché rischia conseguenze drammatiche a causa dell'odio razziale e della discriminazione. Io ho diversi amici che sono stati licenziati perché una volta scoperta la loro etnia.
I 17mila Rom che vivono nei campi spesso sono vittime della segregazione e dell’esclusione sociale e possono talvolta cadere nel degrado che ne è conseguenza L’opinione pubblica punta l’attenzione solo su questa piccola parte, mentre ignora la stragrande maggioranza dei Rom che vive e ricerca l'integrazione.
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Il popolo Rom non è nomade per cultura ma ha iniziato a spostarsi per sfuggire alle razzie di alcune popolazioni che avevano invaso i suoi territori di origine nell’India settentrionale. Perché hanno iniziato a spostarsi e a migrare lontano dalla loro terra, invece di combattere gli invasori? È successo perché per cultura i Rom ripudiano la guerra, quindi hanno preferito spostarsi e fuggire, cercando un altro posto in cui vivere. Il ripudio della guerra e della violenza è molto radicato nella cultura romanì: un Rom di sani principi non ucciderebbe mai un altro essere vivente, soprattutto perché ha un sacro timore della morte e dei defunti. Infatti, nella cultura romanì i defunti sono l’entità più venerata dell’aldilà; tutti i Rom hanno una relazione profonda con i loro defunti, un rapporto tanto profondo che continua per molti anni dopo la loro morte.
La cronaca a volte riferisce di Rom che hanno commesso omicidi: ebbene nella stragrande maggioranza questi delitti non vengono commessi a sangue freddo, ma tendenzialmente da persone vittime di alterazioni dovute all’uso di sostanze o per patologie psichiatriche.
I Rom non sono nomadi per tradizione, ma cominciarono a spostarsi per sottrarsi a quelle popolazioni che invadevano e depredavano i loro territori. Da quel momento inizia una grande diaspora del popolo Rom: nel corso dei secoli un rilevante gruppo arriva fino all’Impero Bizantino in cui rimane dall’XI al XV secolo. Nel XV secolo avviene un’altra grande diaspora perché l’Impero Bizantino viene invaso dai Turchi ottomani. Questa seconda diaspora porterà un numerosissimo gruppo di Rom (milioni di persone) verso l’Europa.
Ma nell’Europa cristiana non troveranno una calorosa accoglienza, al contrario verranno perseguitati, scacciati, sterminati. Perché? Da una parte per la loro diversità culturale (venivano considerati restii all'integrazione), dall’altra parte per alcuni loro mestieri tradizionali, tra cui la pratica delle arti magiche che nel mondo cristiano erano sicuramente malviste.
Purtroppo la pratica delle arti magiche diventava un pretesto per autorizzare ulteriori persecuzioni nei confronti dei Rom.
Un’altra causa che li spinge a spostarsi molto è legata ai loro mestieri tradizionali che richiedevano questo. Alcuni mestieri etnici tradizionali dei Rom sono: l’addestramento degli animali (i Rom sono gli inventori del circo e ancora oggi sono quelli che detengono il primato nell’arte circense), calderai (cioè artigiani che costruiscono e riparano le pentole o altri recipienti in rame), giostrai, arrotini, ombrellai, venditori ambulanti, raccoglitori di rottami ferrosi, maghi e indovini. Questi mestieri tradizionali purtroppo oggi vanno morendo, perché nella società opulenta dell’Occidente, dell’usa e getta, non c’è più spazio per loro. Per sopravvivere e svolgere i mestieri che fanno parte della loro cultura, i Rom si sono spostati nei secoli. Quando questi mestieri vanno a scomparire, non avendo altri motivi per scappare (non ci sono più invasioni, però possono esserci delle persecuzioni) e si trovano in luoghi dove vengono lasciati in pace, tendenzialmente i Rom non si spostano. I 180mila Rom che sono presenti in Italia sono per la maggior parte stanziali.
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Come abbiamo detto sopra, solo una piccola parte della popolazione Rom vive nei campi sosta e lo fanno sosta in conseguenza alla segregazione razziale, in passato regolamentata da leggi statali e regionali (il superamento dei campi sosta è attualmente stabilito da disposizioni specifiche date dalla “Strategia nazionale di inclusione dei rom, sinti e camminanti 2012-2020”, elaborata in un’azione interministeriale, in ottemperanza alle normative europee).
Queste leggi erano sostanzialmente finalizzate a concentrare in un unico punto delle città il malcontento dei cittadini, piuttosto che lasciar accampare liberamente i Rom, lasciando che loro stessi cercassero il loro destino nella nuova collocazione. L’intento era di controllarli e gestirli, non certo quello di includerli ed integrarli. C’è stata una ghettizzazione vera e propria: un affastellamento di persone a volte senza legami familiari tra loro, e spesso senza rispetto dei diritti umani.
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Facciamo un paragone usando la nostra società contadina di un tempo: i bambini andavano ad aiutare i genitori nei campi.
L’elemosina è una pratica presente nella cultura romanì, utile a far fronte a stati di indigenza o emergenza. Tradizionalmente l’elemosina è praticata sia dagli uomini che dalle donne in caso di estrema necessità. Per loro è un vero e proprio mestiere, è qualcosa di legale che permette loro la sopravvivenza in caso di estremo bisogno. Il bimbo non lo si porta per impietosire, anche se le donne sanno bene che i bimbi impietosiscono e un po’ ci giocano su questo. In realtà si portano i bambini perché, per cultura, vengono allattati fino a 5-6 anni e, inoltre, per proteggerli dai pericoli che correrebbero rimanendo da soli al campo. Se le donne di un campo sosta vanno tutte a mendicare, e gli uomini vanno a raccogliere i rottami ferrosi per poterli poi rivendere, i bambini con chi potrebbero rimanere? Credo non sia né sfruttamento, né maltrattamento, ma solo tutela dei figli. Inoltre, portando i bambini con sé, le mamme insegnano loro il “manghel”, cioè il mestiere di chiedere l'elemosina, utile in caso di necessità.
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Rom, nella lingua romanì vuol dire “uomo”. Romnì invece è la parola che indica la donna.
La cultura romanì si basa su alcuni dualismi fondamentali. I principali sono: bene/male; fortuna/sfortuna (in lingua romanì si dice baxt/bibaxt); onore/vergogna.
Il pilastro su cui si basa la società romanì è la famiglia, che ne è l’elemento fondante. La famiglia non è mono-nucleare, ma è una famiglia allargata, all'interno della quale la solidarietà e il rispetto sono valori molto forti.
Un errore comune è credere che la cultura romanì equivalga al degrado che ci viene ampiamente illustrato dai media. La cultura è l’insieme dei valori fondamentali su cui si basa la vita di un popolo, mentre il degrado è esattamente il contrario, cioè il decadimento di essi in seguito all’emarginazione, al rifiuto, alla mancanza di integrazione, alla disperazione che deriva da tutto questo. Il decadimento dei valori è un fenomeno che ovviamente non colpisce solo la fascia più debole della società romanì ma tutte le società umane che vivono particolari situazioni di sofferenza.
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L'art. 3 della Costituzione italiana dice che i cittadini hanno pari dignità sociale senza distinzione di razza, sesso, religione, ecc. Il censimento dei Rom è incostituzionale in base a questo articolo. L’incongruenza che sta dietro alla volontà di fare un censimento dei Rom è questa: dei 180mila Rom che risiedono in Italia, solo 9mila non sono regolari e quindi, si potrebbe dire, non censiti. Tutti gli altri, come il resto dei cittadini, sono già censiti e hanno i loro regolari documenti. Chiediamoci anche perché tutte queste persone non sono riuscite a regolarizzarsi: tendenzialmente chi è irregolare ha cercato almeno una volta nella vita di regolarizzarsi ma il percorso è spesso arduo e molto dispendioso. Lo Stato italiano, e parlo per esperienza, non agevola affatto i percorsi di regolarizzazione dei Rom. Quindi, concludendo: il censimento è incostituzionale perché censire su base etnica sarebbe una violazione dell’art. 3. Inoltre ogni anno vengono pubblicati resoconti ufficiali in cui vengono riportati tutti i dati aggiornati sullo stato della popolazione romanì in Italia, facilmente consultabili su internet.
La famiglia è il pilastro della società romanì. La società romanì è fondata sulla famiglia, ovviamente non quella mononucleare ma la famiglia patriarcale. Appartenere a una famiglia significa riconoscersi in una serie di valori etici vincolanti che possono differenziarsi (anche di poco) dai valori di altre famiglie o di altre comunità.
Un altro elemento fondante la società romanì, legato alla famiglia, è la solidarietà intra-familiare. All’interno della famiglia la solidarietà è un dovere morale, è un elemento imprescindibile dall'appartenenza a quel gruppo. Solidarietà significa aiutare i familiari in caso di necessità e conservare assieme i segreti di famiglia. Significa anche protezione morale e fisica, aiuto psicologico e talvolta materiale.
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Gli anziani nel popolo Rom vengono considerati i depositari della cultura e del sapere ed è per questo che godono di molto rispetto.
I figli vengono considerati come un valore, la vera ricchezza della famiglia. Oltre a ciò, avere molti figli denota anche la virilità dell’uomo che li ha concepiti: più un uomo è in grado di generare (in particolare figli maschi), più è considerato virile. Se un uomo non è in grado di generare, può cadere sotto l’ombra della vergogna (che è uno dei dualismi fondamentali della cultura romanì).
Per quanto riguarda l’educazione dei bambini: c’è l’idea che i bambini, soprattutto i maschi, debbano crescere liberi, devono poter fare quello che vogliono. Questo per due motivi: primo perché si pensa che il bambino non debba essere contraddetto, ma debba vivere liberamente la sua infanzia, venendo così in contatto con il mondo spontaneamente. Il secondo motivo è legato ad una necessità pedagogica: vivendo in modo libero, il bambino viene a contatto da subito con i pericoli dell'esistenza e si fortifica. Eppure le mamme rom sono anche molto protettive così si assiste ad un paradosso: si espongono i bambini a tutto, poi al minimo incidente, i genitori vanno in apprensione in maniera talvolta esagerata.
Le bambine rimangono pressoché libere di crescere spontaneamente fino alla pubertà, momento che sancisce per loro il passaggio all'età adulta. I bambini, invece, divenuti ragazzi e poi adulti, rimangono liberi di muoversi nel mondo come credono.
La lingua romanì è detta anche romanèso romanì chibed è una lingua neo-indiana, fondata su un sistema di casi. È una lingua fortemente radicata nella tradizione orale Essa è viva e vitale e, come tale, ha tante varianti dialettali. Nel corso dei secoli, si è arricchita di tanti elementi presi in prestito dai popoli con cui i Rom sono venuti in contatto. Conta circa 800 vocaboli e affissi.
Latcho dive! | Buon giorno |
Sar san? | Come stai? |
But baxt ta sastipè | Ti auguro tanta salute e fortuna |
Najis tuke | Grazie |
Per quello che riguarda la credenza in Dio, i Rom possono avere varie inclinazioni religiose. Alcune comunità sono di tradizione musulmana, altre sono ortodosse, altre evangeliche, altre cattoliche (queste due ultime inclinazioni sono proprie dei Sinti). Tendenzialmente in tutti i gruppi troviamo una devozione molto forte verso i morti, una tradizione di derivazione persiana. I Rom hanno con i loro morti un rapporto straordinario: ne parlano con estremo rispetto, li pregano, li venerano, a volte li temono. Ad esempio nel periodo che va dalla morte ai quaranta giorni successivi, i parenti portano il lutto in una maniera specifica: si astengono dalle carni e dalle proteine animali, gli uomini non si tagliano né i capelli né la barba, qualcuno non si lava. In questi 40 giorni il morto interagisce attivamente con i familiari tramite apparizioni, messaggi lasciati in sogno, ecc. Terminati questi 40 giorni, il morto in teoria dovrebbe trovare pace, ma in pratica non è sempre così perché si crede che alcuni defunti continuino a vagare, soprattutto quelli che hanno avuto una vita disordinata o che hanno dei conti in sospeso con i familiari.
Oltre alle persone defunte, l’entità più venerata dai rom di tutto il mondo è San Pio da Pietrelcina, padre Pio. Anche la Madonna è molto venerata, ovviamente anche dai rom musulmani. Un altro santo molto amato è S. Antonio da Padova.
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I sinti, uno dei 5 gruppi principali, sono una comunità della popolazione Romanì arrivati in Italia attorno al 1400. Ad oggi i sinti sono italiani a tutti gli effetti perché si sono insediati nel 1400 e sono rimasti in Italia e ad oggi contano circa 30-35mila unità. La particolarità dei sinti è che la loro collocazione territoriale è legata al centro-nord Italia.
I sinti hanno dei mestieri tradizionali, sono famiglie che tradizionalmente portano avanti l’arte dello spettacolo viaggiante e lavorano come giostrai e circensi. Nel corso dei secoli queste attività hanno dato loro la possibilità di acquistare dei terreni su cui piazzarsi con le loro famiglie e di comprare gli strumenti necessari al loro lavoro: camioncini, roulotte, tendoni del circo, giostre.
Oltre al mestiere dei giostrai e dei circensi, i sinti lavorano come venditori ambulanti, vendendo biancheria e prodotti per la casa nel mercato rionale, oppure sono rottamatori di ferro, come anche altri gruppi di rom slavi-balcanici.
I sinti prendono il nome in base alla provenienza e dal dialetto regionale che parlano. Nel corso dei secoli hanno quasi del tutto abbandonato la lingua romanì, solo alcuni anziani ancora la conoscono bene, e tra di loro parlano il dialetto italiano locale, usando parole mutuate dalla lingua romanì.
Ci sono vari gruppi di sinti in Italia: