Pochi giorni prima del golpe si era infatti tenuto a Rurrenabaque, nel nord del paese, il Forum sociale panamazzonico, con 45 richieste ai governi e agli organismi internazionali centrate su quattro priorità: tutela delle popolazioni indigene e amazzoniche, rispetto della "madre terra", alternative all'estrattivismo, resistenza delle donne. Raccomandazioni e appelli molto concreti che restano inascoltati e nascosti dai media. Pochi giorni fa era intervenuto anche l'arcivescovo di Santa Cruz mons. René Leigue, che ha dato voce allo smarrimento del popolo boliviano in seguito al fallito colpo di Stato che ha portato all’arresto del generale Juan José Zuñiga. «Non si può mettere paura alla gente per aumentare la popolarità di qualcuno. Ci sono stati momenti molto tesi, code per comprare la benzina, per comprare i beni di prima necessità, per ritirare i soldi dalla banca. Dobbiamo lottare per la democrazia, ma non in questo modo, giocando con i sentimenti della gente. La gente ha problemi grandi da affrontare».
Stefania Raspo, responsabile della comunicazione delle Missionarie della Consolata, dieci anni spesi nel dipartimento di Potosí, tra la gente quechua spiega senza mezze parole la grave situazione sociale e politica taciuta nel paese. «L’instabilità politica è iniziata in Bolivia già nel 2016, quando al referendum che ha negato a Evo Morales la possibilità di ricandidarsi per il terzo mandato. Un’instabilità sempre repressa dal governo. In Bolivia infatti sono numerosi i prigionieri politici. I più illustri sono Camacho e Añez, tra i protagonisti del cambio di governo nel 2019. Anche in quell’occasione, i militari hanno invitato Evo Morales ad andarsene, in un paese stravolto dalle proteste per presunti brogli elettorali. Il Presidente se ne era andato insieme a tutti i leader del partito, lasciando il governo e il Parlamento acefalo. Aveva quindi assunto la presidenza Jeanine Añez, dell’opposizione. Anche nel 2019, come oggi, si è discusso se la mossa dei militari fosse orchestrata dallo stesso partito del MAS. E non possiamo dimenticare che la presenza dei narcotrafficanti gioca un ruolo anch’esso nascosto ma determinante nelle dinamiche politiche ed economiche del paese». Ma delle vere sfide del paese - mancanza d'acqua, estrattivismo senza regole, narcotraffico e fuga dei giovani dalla propria terra, se ne sono dimenticati.
Distinguere, come vorrebbe il governo attuale, tra la produzione dei cocaleros - coltivatori della foglia di coca considerata sacra per gli indigeni - e reti mafiose di narcotrafficanti che producono massicce dosi di cocaina per i propri ingenti profitti tra Bolivia ed Europa (Italia compresa) è una impresa. Nello scorso gennaio durante la Giornata dell'Acullico con migliaia di 'masticatori di pasta di coca' in piazza a La Paz, il presidente boliviano aveva rilanciato la campagna per la depenalizzazione della coca promettendo di potenziarne il suo uso in medicina e nella produzione di bevande, gomme da masticare, saponi. Anche l'ex presidente Evo Morales, al governo fino al 2019, chiese la depenalizzazione della coca davanti all’Onu, ma la sua proposta venne respinta nel 2011. Ma la verità è che non possono passare inosservati, soprattutto per chi abita nel nord del paese a confine tra Perù e Brasile, i piccoli aerei che si alzano in volo con un carico in media di 500 chili di cocaina, centinaia di piccole piste (addirittura 440, secondo una recente inchiesta del quotidiano "El Deber"). Un “narco-Stato”, corridoio aereo che congiunge le Ande con il Brasile e con i Paesi più meridionali del Sudamerica, per poi arrivare col suo carico, prodotto in fabbriche per la raffinazione da chimici boliviani tra i più quotati nel continente. Il fenomeno è tra i principali problemi sommersi nel paese, dove i sequestri di mezzi e le chiusure di fabbriche di cocaina porta ciclicamente le stesse forze dell'ordine e funzionari boliviani ad approfittarne per rivendere la droga. Alcuni mesi fa ha denunciato il fenomeno il vescovo di Pando, mons. Eugenio Coter. Ma chi ha viaggiato in Bolivia coi mezzi di trasporto pubblico in quelle aree organizzate ha visto coi suoi occhi - e anche io l'ho toccato con mano diversi anni fa - le deviazioni degli autisti perché «di là non si può passare perché è zona privata», terra dei narcos.
E sono i giovani a rimetterci. Spesso per l'abuso della sostanza o perché per i soldi facili e per la grave situazione dovuta al cambiamento climatico nelle aree rurali preferisce lavorare nel "settore", producendo cocaina oppure imparando il mestiere di "aviatore" nel narcotraffico nel cielo sudamericano. «Le aree rurali si stanno svuotando a causa della desertificazione e le famiglie migrano verso le città o all’estero. Chi rimane è generalmente di condizione molto umile», spiega Stefania Raspo. Esistono microprogetti della Caritas per generare entrate, ma la sfida enorme è la mancanza di acqua, specie nell'area andina. I giovani sono i più poveri: non hanno futuro e presto lasciano la loro terra come migranti. "Il nostro impegno nelle scuole secondarie è offrire loro una cassetta degli attrezzi, una base solida di valori identitari, religiosi e civili, perché possano vivere legalmente e costruirsi un futuro dignitoso, in ogni circostanza si troveranno".
La democrazia e il cambiamento socio-politico può ripartire prima di tutto da loro.