«Noi cerchiamo di fare il nostro lavoro, conservando un minimo di serenità che ci permetta di compiere le scelte con lucidità e salvare delle vite. La parola eroi non mi piace. Facciamo quello che c'è da fare e lo facciamo tutti.»
Il dottor Nazario Bevilacqua è in prima linea allo Spallanzani di Roma per contrastare l’emergenza Covid-19 che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha assurto da epidemia a pandemia, a causa della sua velocità di propagazione nel mondo.
Bevilacqua, 58 anni, è un esperto di epidemie. Dopo essersi specializzato alla Cattolica di Roma durante l’epidemia dell’HIV, è volato in Zambia dove per due anni ha seguito un progetto di prevenzione, e poi di nuovo in Italia, all’ospedale di Vasto. Dal 2006 opera come infettivologo presso
l’Istituto Nazionale di Malattie Infettive (INMI) Lazzaro Spallanzani di Roma, fiore all’occhiello italiano nel campo della cura e delle ricerca delle malattie infettive.
«La mission di questo ospedale – spiega – è garantire un’assistenza di elevato livello per le malattie infettive, le infezioni emergenti e riemergenti e la patologia infettiva dell’ospite immunocompromesso; assicurare una risposta globale alle malattie infettive, incluse quelle ad elevata pericolosità e trasmissibilità e quelle derivanti dal potenziale uso di agenti biologici a fini terroristici e sviluppare l’integrazione tra ricerca clinica, epidemiologica e di base, al fine di promuovere il miglioramento degli interventi diagnostico-terapeutici, assistenziali e di prevenzione nel campo delle malattie infettive.»
Inoltre dal 2001, INMI, è anche «centro di riferimento nazionale per la cura, assistenza e diagnosi di patologie derivanti da possibili attacchi bioterroristici e dal 2009 WHO Collaborating Centre for clinical care, diagnosis, response and training on Highly Infectious Diseases.»
Ebola, SARS, HIV, Tubercolosi sono stati l’obiettivo della ricerca e delle cure in questi anni, ma oggi, si evidenza nella pagina Facebook dell’ospedale,
«il nemico da combattere e vincere è il Coronavirus».
È allo Spallanzani che un team di ricercatrici italiane ha isolato per primo in Europa il genoma del Covid-19. «L’istituto nazionale di malattie infettive – spiega l’infettivologo – ha laboratori avanzati che hanno la possibilità di gestire dei patogeni pericolosi. Abbiamo l’unico laboratorio italiano di livello di biosicurezza 4 e cinque laboratori di livello 3».
Quando lo raggiungiamo a telefono sono passate da poco le 19,30 e il dirigente medico è appena rientrato a casa. Dalle 8 alle 14, ci spiega, si è occupato del triage telefonico tra ospedale e il 118, i PS/DEA degli ospedali e i medici di famiglia della regione Lazio per valutare i singoli casi e decidere l’eventuale ricovero. Ma poi c’era bisogno in reparto e così si è trattenuto al lavoro. In questo momento di grande prova per tutto il nostro Paese – come molti colleghi – non guarda il cartellino.
La famiglia dei Coronavirus
Dott. Bevilacqua, partiamo dalle basi: cos'è il Coronavirus?
«È un virus che appartiene alla grande famiglia dei coronaviridae. Sono virus a RNA che, nell'essere umano, causano per lo più infezioni respiratorie. Si chiamano così perché hanno delle piccole protuberanze intorno alla superficie per cui al microscopio elettronico appaiono con una forma simile ad una corona. Molti virus appartenenti a questa famiglia non sono pericolosi per l’uomo. Altri invece, come il virus della SARS, Sindrome respiratoria acuta grave, diffuso nel 2002-2003, e della MERS, Sindrome respiratoria mediorientale (2012), generano malattie più gravi.»
Cos’è il nuovo Coronavirus?
«È un parente stretto del virus della SARS con cui condivide similarità genetico-molecolare ed epidemiologica, tecnicamente viene chiamato Sars-Cov-2. Alberga in alcune specie animali e ogni tanto c’è questo passaggio dall’animale all’uomo. Ci sono stati due passaggi: uno dall’animale all’uomo, e poi la trasmissione interumana che in questo nuovo Coronavirus è molto efficace e per questo crea preoccupazione.»
Quali sono le caratteristiche del Covid-19?
«È un virus che ha appunto una trasmissibilità buona ed efficace. Una persona normalmente ne infetta fino a tre. Non è ancora completamente chiaro quanto duri l’attuale coronavirus sulle superfici, ma ci sono comunque indizi consistenti sul fatto che possa rimanere attivo per diverso tempo fuori dagli organismi. Il nuovo coronavirus è facilmente eliminabile con i comuni disinfettanti a base di alcol etilico o di ipoclorito di sodio (varechina). Si trasmette con le secrezioni respiratorie quando parliamo, tossiamo, starnutiamo e si diffonde per contatto ad esempio toccando con le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi. In alcune fasi viene eliminato anche con le feci per cui ci potrebbe essere una trasmissione attraverso il contatto con queste, benché resti una via rara. Causa principalmente una complicanza polmonare. Negli anziani e in persone che hanno un deficit immunitario può comportare un impegno molto importante che porta la persona a rivolgersi alle cure in ospedale. Moltissimi invece hanno delle forme cliniche che non richiedono un’ospedalizzazione. Nel giro di 14 giorni, nelle forme lievi, si guarisce. Quelle più complicate, con polmoniti e problemi respiratori gravi, possono durare dalle 3 alle 6 settimane.»
Perché il Covid-19 non è una normale influenza
Cos’è che lo differenzia da una normale influenza?
«Anche l’influenza è una malattia contagiosa ma la contagiosità di questo virus sembra essere superiore e la mortalità di questo virus è superiore a quella di una normale influenza che di solito è inferiore all’1%, mentre finora questo virus ha mostrato un tasso medio di mortalità intorno al 3% arrivando in Cina fino al 14% tra gli ultraottantenni.
Quello che è girato su questo virus da fonti non ufficiali, sostenendo che sia poco più di una normale influenza, non è vero. Ha una storia naturale diversa, inoltre non avevamo gli anticorpi per proteggerci da questo virus a differenza di quanto avviene per l’influenza rispetto alla quale il nostro corpo è più attrezzato.»
Il nuovo Coronavirus è stato identificato per la prima volta a Wuhan, in Cina. Si dice che sia stato trasmesso dagli animali selvatici, dai pipistrelli. Ma girano anche voci che la causa sia un esperimento di laboratorio andato male. È stata identificata con precisione la fonte dell’infezione?
«Quella del virus che viene dai laboratori è una ipotesi che si ripresenta puntualmente per ogni virus minaccioso, come per l’HIV o l’Ebola. C’è sempre stato il bisogno di spiegare tutto con ipotesi di complotto che in realtà non si sono poi rivelate vere. Sia per la MERS (cammello-uomo) che per la SARS (zibellino-uomo) all’origine della trasmissione del virus all’uomo c’è stato un salto di specie. Per quanto riguarda il nuovo Coronavirus, che si trova in natura in diverse specie animali, non è stata identificata con certezza la specie di provenienza, dapprima sembrava fosse passato all’uomo dal pangolino, animale che vive in Cina, più recentemente i pipistrelli sembrano giocare un ruolo. Di fatto non si conosce con sicurezza la specie coinvolta.»
A Wuhan, per la precisione nel distretto di Hankou, si svolge uno dei tipici mercati alimentari diffusi in Cina, in cui vi sono anche animali selvatici vivi, macellati all’aria aperta.
«In questi mercati cinesi c’è un contatto tra la popolazione e gli animali abbastanza stretto e ripetitivo, per cui alla fine si può favorire un salto di specie. Non per nulla anche il virus della SARS proviene dalla Cina.»
Come si riconosce il Covid-19
Quali sono i sintomi?
«Nel 90% dei casi è presente febbre. Nel 70% dei casi ci può essere una sintomatologia con tosse, astenia, mal di gola. I sintomi si possono presentare in maniera distinta o associati tra di loro. Quello che sappiamo è che nei giovani a volte ci può essere una febbre che dura 24 ore e poi scompare, o la comparsa della sola tosse che poi va via. Man mano che si sale con l’età questa sintomatologia diventa più tipica: spesso c’è una forte astenia che arriva improvvisamente, associata a febbre. In alcuni casi si può manifestare con una sincope. Nei casi più gravi si verifica una polmonite. Sotto i 40 anni sembra essere una malattia con impatto medio lieve, sopra i 49 le cose si fanno più impegnative, e salendo con l’età in molti casi si richiede l’ospedalizzazione.»
Quanto dura il periodo di incubazione?
«Da un minimo di due giorni ad un massimo di 14 giorni.»
La distanza di un metro ci mette al sicuro?
«Le vie di trasmissione sono simili a quelle dell’influenza. Se io sto a meno di un metro e mezzo con una persona che ha una sintomatologia respiratoria, anche lieve, e ci passo più 15 minuti, quello si definisce contatto stretto. Se quella persona ha il virus io facilmente lo prendo. All’aria aperta la probabilità si abbassa ma dipende sempre dal grado di contatto.»
Il virus ha una vita che va ad esaurimento?
«Nelle forme lievi, generalmente la risposta immunitaria riesce a contenere il virus che scompare generalmente entro 10-14 gg. Ci può essere una maggiore persistenza del virus nelle forme più aggressive e in pazienti di età più avanzata che hanno perciò un sistema immunitario meno prestante.»
La pericolosità del Covid-19
Rispetto alle morti conteggiate fino ad oggi, come si fa a stabilire se un decesso è causato dal Coronavirus o se sarebbe avvenuto comunque?
«Durante un’epidemia di influenza ci sono diverse migliaia di morti: sono pazienti fragili che hanno un decesso correlato con l’influenza. La situazione è abbastanza simile anche per il Covid-19. L’affermazione secondo cui il Coronavirus sarebbe la principale causa di morte va usata con cautela in pazienti che hanno molti fattori di rischio, soprattutto se anziani, in questi casi è più corretto parlare di decesso correlato nel senso di associato all’infezione da nuovo Coronavirus.»
Come vengono raccolti i dati su questo virus in Italia?
«Per la raccolta dati a livello nazionale vi è un preciso flusso di informazioni tutte le Asl raccolgono dal proprio territorio (medici di medicina generale, ospedalieri … ) le notifiche di caso confermato di infezione da nuovo Coronavirus e successivamente inviano i dati all’agenzia regionale preposta alla sorveglianza sanitaria delle malattie infettive la quale poi trasmette i dati al Ministero della salute. La Protezione civile funge da raccordo.»
E negli altri Paesi?
«All’estero ci sono dei sistemi di sorveglianza organizzati in maniera diversa ma l’obiettivo è sempre lo stesso, che i casi rilevati nel territorio seguano un flusso predefinito in modo che niente sfugga per misurare l’impatto dell’epidemia sulla popolazione, comprendere così il tipo di misure prendere e misurarne l’effetto sull’epidemia.»
Cure sperimentali contro il virus
Vari ospedali tra i quali lo Spallanzani stanno sperimentando delle cure. Si possono fare previsioni su quando avremo una cura efficace e magari un vaccino?
«Il vaccino ha un iter predefinito. Prima di un anno è difficile che possa essere disponibile, anche saltando qualche passaggio. Per i farmaci ci sono dei trial clinici che sono studi sperimentali in cui si fanno confronti tra diversi regimi terapeutici. Ce ne sono diversi in corso in Cina dove hanno avuto numerosi casi, che consentono di svolgere studi di dimensioni sufficienti per poter concludere sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci testati. Attualmente si stanno impiegando dei farmaci già utilizzati per la cura della Sars, e il Remdesivir, un antivirale promettente in fase di sperimentazione in Cina e che allo Spallanzani è stato dato per uso compassionevole ad alcuni pazienti affetti dal Covid-19, previo consenso. Purtroppo siamo solo agli inizi ed anche se non abbiamo prove certe dell’efficacia terapeutica dei farmaci disponibili, non lasciamo nulla d’intentato per aiutare quei pazienti che rischiano la vita.»
Vivere ai tempi del Covid-19
Ha qualche raccomandazione da fare in aggiunta a quelle ufficiali fornite dal Ministero della Salute?
«Quello che è stato finora oggetto di consigli sul comportamento da tenere per il bene della salute nelle comunità, il Ministero lo ha declinato in maniera esaustiva. L’epidemia assomiglia molto ad una guerra per cui c’è bisogno di avere un generale che ci dica cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. E se vogliamo uscirne bisogna seguire questo tipo di indicazioni in maniera convinta e rigorosa. Quello che è stato detto è la via maestra perché le epidemie si sconfiggono – soprattutto quando sono molto contagiose – con l’isolamento e usando molte precauzioni: lavandosi spesso le mani usando un gel idroalcolico o con un banale sapone ma in maniera accurata, evitando i contatti. Quello che è importante è che la gente faccia riferimento alle raccomandazioni del Ministero e non alle fake news.»
Medici in prima linea
Voi medici siete definiti degli eroi. Lei come si sente?
«Quando ci sono dei terremoti o delle catastrofi le persone si rimboccano le maniche e fanno quello che devono fare. Noi cerchiamo di fare il nostro lavoro, conservando un minimo di serenità che ci permetta di compiere le scelte con lucidità e salvare delle vite. La parola eroi non mi piace. Facciamo quello che c’è da fare e lo facciamo tutti.»
Una battaglia che vinceremo?
«Quello che sto vedendo in questo momento è uno spirito di collaborazione, di flessibilità che non ho mai incontrato nella normale ordinarietà. C’è un sentimento comune che ci sprona: credere che ce la possiamo fare.»