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23 Novembre 2024

Da Gaza immagini che non vedremo

La guerra a Gaza attraverso le foto dei suoi fotogiornalisti a Lodi che hanno condiviso le fotografie da loro scattate nella Striscia di Gaza dallo scorso ottobre. Immagini che chiedono al mondo di non dimenticare.
Da Gaza immagini che non vedremo
Foto di Riccardo Ghinelli
Al Festival della fotografia etica a Lodi si sono visti reportage di fotografi che hanno scelto di documentare la vita dell'uomo nei suoi vari aspetti più o meno problematici che forse non vedremo mai sui media. Ogni scatto è raccontato dal fotogiornalista. Immagini che ci interpellano a non rimanere impassabili a tanto dolore e che pongono domande sul futuro del fotogiornalismo.
A Lodi al “Festival della fotografia etica” si sono visti reportage di fotografi che hanno scelto di documentare la vita dell’uomo nei suoi vari aspetti più o meno problematici che forse non vedremo mai sui media. Ogni scatto è raccontato dal fotogiornalista. Immagini che ci interpellano a non rimanere impassabili a tanto dolore e che pongono domande sul futuro del fotogiornalismo.  
Da quindici anni si tiene a Lodi il “Festival della fotografia etica”, una manifestazione che passa in rassegna la fotografia di reportage centrata su temi come la pace, l’ambiente o la povertà. Il festival col tempo ha acquisito importanza e autorevolezza.
L’edizione di quest’anno, svoltasi nei week-end dal 28 settembre al 27 ottobre, contava su più di venti mostre, alcune delle quali ospitate in luoghi privati. Tutti reportage di alto livello di fotografi più o meno noti che hanno scelto di documentare la vita dell’uomo nei suoi vari aspetti più o meno problematici. Non manca una sezione dedicata alle esperienze di volontariato.

La Pietà di Gaza di Mohammed Salem, fotoreporter della Reuters, ha vinto il World Press Photo 2024. La foto ritrae una donna palestinese che stringe a sé il corpo senza vita della nipotina Saly, di 5 anni, uccisa in un attacco israeliano a Khan Yunis. È stata scattata il 17 ottobre 2023 all'ospedale Nasser di Gaza.


Fra tutte le mostre sicuramente la più importante è stata quella del World Press Photo Award che dal 1955 annualmente premia le migliori immagini di reportage. Probabilmente molti dei lettori ricorderanno, anche senza vederle, le immagini della bambina vietnamita che scappa nuda dal napalm o dell’uomo davanti ai carri armati di piazza Tien An Men. Queste ed altre immagini hanno scosso le coscienze di tutto il mondo, ma nella grande tradizione della fotografia di guerra e di denuncia purtroppo qualcosa sta cambiando.

Come sta cambiando la fotografia di denuncia o di guerra?

Dai tempi della guerra di secessione americana i fotografi hanno documentato la realtà dei conflitti, anzi, proprio la fotografia ha mostrato per prima la crudeltà dei campi di battaglia. Prima delle foto di Mattew Brady la guerra veniva mostrata solo nei dipinti che esaltavano condottieri e combattenti. Per molto tempo i fotografi sono riusciti a seguire le vicende belliche anche in modo indipendente, dandoci immagini splendide e terribili delle due guerre mondiali e di conflitti come la guerra di Corea o del Vietnam. In quest’ultimo conflitto i giornalisti ebbero la massima libertà di azione, ma le autorità militari iniziarono a cambiare atteggiamento. Le immagini della guerra avevano profondamente scosso l’opinione pubblica americana e si pensava che avessero fiaccato la volontà del popolo a resistere.
Così nella prima guerra del Golfo (1991) si ricorse al giornalismo “embedded” ossia incorporato nelle forze armate: i giornalisti venivano tenuti sotto stretto controllo ed accompagnati al fronte solo a piccoli gruppi che poi condividevano le informazioni coi colleghi. Questo sistema da un lato offre una certa assistenza e protezione ai fotografi, ma si presta ad un controllo da parte delle forze armate che possono decidere le destinazioni ed esercitare anche una selezione del materiale prodotto.
Ora è diventato la regola, ad esempio in Ucraina i giornalisti di guerra possono lavorare solo se registrati e possono avvicinarsi al fronte solo in accordo con l’Esercito.

Foto di Riccardo Ghinelli

Chi fotografa la distruzione di Gaza?

A Gaza solo a due giornalisti embedded è stato permesso di entrare con le truppe israeliane. La documentazione del conflitto resta affidata ai fotografi palestinesi, ma anche qui sorge un problema: «Abbiamo offerto ai giornali fotografie di Gaza -  ha raccontato la curatrice delle mostre Laura Covelli durante una visita guidata ­­– ma ci hanno risposto che non interessano».
Quali immagini, del resto? Di macerie ne abbiamo viste tante, sembrano ormai tutte uguali, forse ci siamo anche un po’ assuefatti. Mostrare la morte? Fra gli addetti ai lavori qualche tempo fa girava una battuta: «La guerra in Libano fa molte vittime fra i pupazzi». Accadeva che i reporter, consapevoli della difficoltà di far accettare la vista di un cadavere, ripiegavano sui giocattoli che emergevano dalle macerie. Del resto non sembra un caso che la foto di Mohammed Salem vincitrice del World Press Award, una “Pietà” dei giorni nostri, riesca a trasmetterci il dolore di una donna palestinese abbracciata al corpo della nipote mostrandoci entrambe le figure avvolte in panni tranne che per una mano.
Foto di vittime dei combattimenti a Gaza ci sono e la mostra: La Guerra a Gaza attraverso gli occhi dei suoi fotogiornalisti ce ne ha mostrato esempi strazianti. Sono più di 110.000 le persone uccise o ferite nel conflitto a Gaza in cui sono stati uccisi più bambini che in tutti i conflitti armati a livello globale degli ultimi quattro anni.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per Il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ha chiesto a 14 fotoreporter di condividere le fotografie da loro scattate nella Striscia di Gaza dallo scorso ottobre. Immagini che chiedono al mondo di non dimenticare.

Ma quale giornale o sito vorrà pubblicarle? In parte, nel tempo, è anche cambiato l’oggetto rappresentato. Nelle foto di soldati uccisi ci sono fattori visivi, come divisa, armi ed elmetto, che conferiscono al caduto un aspetto in qualche modo epico. Ma nelle immagini di bambini morti e di parenti disperati troviamo elementi come una caramella insanguinata a parlarci dell’orrore di una guerra che ha ormai perso ogni traccia di umanità.