L'8 febbraio di ogni anno si ricorda Santa Bakhita, la bambina sudanese venduta come schiava, divenuta suora canossiana, una volta liberata. In questa occasione si celebra la Giornata mondiale di preghiera contro la tratta in tutto il mondo. E c'è chi lo fa danzando.
Santa Bakhita, una santa che ancora oggi invita il mondo a riflettere sulle schiavitù moderne. Una santa protettrice delle vittime di tratta. Papa Francesco, non a caso, l’ha definita «una ferita aperta sul corpo della società contemporanea». Un crimine mondiale che procura profitti annuali di oltre 150 miliardi di dollari.
Migliaia sono ancora oggi le vittime sfruttate anche nella nostra stessa Europa. Giovani vite reclutate dall'Africa subsahariana, dal Sud America, dal Sud est asiatico e dall’Est Europa. 2 vittime su 3 sono ragazze e donne.
In Italia sono 2000 le persone assistite dal Sistema nazionale antitratta di cui anche la Comunità Papa Giovanni XXIII è parte, attraverso progetti regionali che garantiscono il primo contatto, l’accoglienza, l’assistenza legale, il recupero fisico e psicologico, la reintegrazione socio-lavorativa a chi vuole uscirne.
Ma c'è chi, oltre a vivere accanto alle vittime, ha preso ad esempio la figura di santa Bakhita, caratterizzata dalla rinascita dopo le frustrate e le offese, e attraverso la danza ha scelto di portare la voce delle vittime.
Daniela, danza terapeuta
Daniela Russo Kraus è una danza terapeuta trentacinquenne che vive in Lunigiana da due anni in una delle case della Comunità di don Benzi, che ha preso il nome dalla santa sudanese. Dopo anni di formazione presso il Centro Toscano di Arte e Danza-movimento terapia di Firenze e presso il Centro Maria Fux di Buenos Aires, dal 2012 lavora con persone con disabilità, persone in detenzione e donne vittime della tratta. «Amo l'arte in ogni sua forma perché permette alla persona di comunicare i propri vissuti interiori raggiungendo una profondità che non dipende da capacità intellettive, linguistiche o artistiche, coinvolgendo la persona nella sua integrità di corpo, anima e psiche, portando il lavoro sul piano emozionale. La danza è una strada privilegiata per rielaborare il trauma vissuto dalle donne vittime di tratta a scopo sessuale che proprio nel corpo portano i segni visibili delle violenze subìte. Riuscire a far pace con il proprio corpo ferito aiuta a rimettere insieme i pezzi di queste vite frammentate che si riscoprono meritevoli di essere amate e custodite nella propria dignità».
La prima volta che ha ballato per le vittime di sfruttamento sessuale e di violenza di genere è stato il 25 novembre. Quello che colpisce è che bastano pochi dettagli per esprimere il dolore ma anche la libertà ritrovata. In occasione della Giornata contro la violenza alle donne, Daniela ha usato nella sua performance una semplice piuma rossa.
«Quando mi è stato chiesto di danzare a conclusione dello spettacolo
Nemmeno con un fiore non ho potuto che pensare alle donne, alle madri con cui vivo... Mi sono ricordata di quando, in occasione del suo compleanno, ho abbracciato B. Ci conoscevamo da poco, ma per me abbracciarla per farle gli auguri era un gesto naturale, bello. Lei però si è irrigidita subito e con un filo di voce mi ha sussurrato "grazie". In quel momento ho capito che per queste giovani donne recuperare fiducia nell'altro, fino a permettergli di sfiorarle o abbracciarle, è difficilissimo. E non importa se tu sei una donna come loro, vivi con loro e le aiuti e supporti nel quotidiano: sono vite spezzate dentro che si devono ri-conoscere per potersi ricostruire. Ho dovuto fare un passo indietro per rispettare quello spazio sacro, troppe volte violato, che chiedeva ancora tempo per sanarsi».
Per questo che ha scelto di danzare con una piuma
«Permette di sperimentare il pre-contatto con l'altro: riscopri i confini e le forme del tuo corpo attraverso il materiale che sei tu stesso a muovere e solo successivamente lasci che sia l'altro a muovere il materiale per disegnare e conoscere i tuoi confini. La piuma è simbolo di delicatezza, fragilità, se non viene rispettata, la piuma può volare via facilmente. La piuma è anche simbolo di appartenenza. Da sola, di per sé, non può esistere, riporta a qualcosa di più grande cui appartiene; ne è, in qualche modo, immagine. Così per l'essere umano: nessuno di noi da solo al mondo può esistere e recuperare il senso di appartenenza è fondamentale per una sana esistenza. Vuol dire amare ed essere amato. Usare i soldi e la violenza... questo invece non è amore. È possesso. Per questo ho iniziato e concluso la mia danza cullando la mia piuma, riproponendo il gesto di una mamma con il proprio figlio, di colei che si prende cura del proprio bambino indifeso, delicato e fragile. B. è mamma di una bellissima bimba di 2 anni. Una mamma dolcissima».
Daniela danza ancora il 6 febbraio a Roma, all’evento internazionale promosso dalla rete antitratta Thalita kum, per dire no allo sfruttamento delle donne. «Danzerò ancora per loro, sì! B. è stata 6 anni nei campi della Libia, M. veniva picchiata nella sua stessa casa, Z. ha visto morire sua sorella in mare… Vorrei, un giorno, poter danzare con loro... Perché vederle danzare è bellissimo! Oltre tutto il dolore e il male subìto, c'è il loro desiderio di vita e di rinascita. Nonostante il peso delle esperienze vissute, riescono ad avere movimenti leggeri che profumano di libertà!».