71 anni fa le nazioni si accordavano sui principi fondamentali per assicurare un futuro all'umanità. Nell'ultimo anno sono cresciuti invece i conflitti violenti e le spese militari. È arrivato il momento di studiare la pace.
Il 10 dicembre 1948 le nazioni del mondo, reduci dalla più grande guerra della storia, si accordavano sui diritti da riconoscere a tutti gli uomini per assicurare un futuro di pace.
Con la Dichiarazione dei Diritti Umani si poneva alla base della convivenza umana un nuovo paradigma che segnava lo storico spartiacque della nuova generazione delle relazioni internazionali ed umane: il principio della
fratellanza responsabile. Il nuovo “homo frater”, mentre custodisce il bene comune, accorda a ciascun uomo la dignità che gli è propria e sancisce la realtà dell'
interdipendenza che lega tutti gli esseri umani gli uni agli altri.
Testimone di questa ineludibile verità e necessità era stata la Storia stessa, che con i suoi
37 milioni di morti della prima guerra mondiale, i
51 milioni di morti della seconda, e con le bombe H di Nagasaki ed Hiroshima, aveva ampiamente dimostrato il frutto avvelenato e le conseguenze orribili dell’agire dell’“homo homini lupus”: l’indicibile capacità di autodistruzione dell’uomo stesso e dell’habitat, del pianeta in cui vive.
Siamo tutti interdipendenti
L'interdipendenza universale riconosciuta nel ‘48 investiva ed investe i diritti e doveri che riguardano l’intero genere umano; solo quando questi si perseguono tenacemente da parte di tutti si permette tanto ai popoli, alle nazioni, ai gruppi di cittadini, quanto ai singoli di raggiungere la propria dignità e la propria felicità più pienamente e più speditamente.
Siamo profondamente interdipendenti, non esiste una propria storia e una storia dell’altro ma è vero piuttosto che la storia di ogni altro è la mia storia, l’altro è parte di me ed è la nostra storia che si crea assieme, come individui come gruppi sociali, come popoli, come nazioni.
Perché è importante studiare la pace
Il cammino compiuto dal dopoguerra ad oggi è stato difficile ma ricco di passi avanti verso la fratellanza universale e responsabile, pieno di segni profetici. Ma nello stesso tempo
non si è sufficientemente accelerato l’impegno per la pace positiva.
Tantissime forze della società civile hanno operato nella costruzione di percorsi e attività di pace ma purtroppo quasi mai questi percorsi virtuosi sono stati assunti dalle istituzioni ed estesi in nazioni, popoli e Paesi come
prassi e attività strutturali.
Sempre troppo poco si studiano nella storia le strategie di pace applicate e sempre troppo nel mondo si studiano le strategie di guerra, infatti solo organizzando la pace positiva è possibile generare e mantenere un tessuto sociale capace di superare le crisi, di reagire alle spinte violente che scaturiscono dai conflitti sociali ed economici e dalle tensioni delle periferie dell'emarginazione.
Un prete di periferia, Don Oreste Benzi, sosteneva: «L’uomo da quando esiste ha sempre organizzato la guerra, è giunta l’ora di organizzare la pace».
Vi è la necessità di farlo in modo sistematico, intelligente, attraverso un impegno istituzionale permanente e capillare su ogni territorio nazionale.
Quali sono le forze che minacciano la pace
In ogni epoca ci sono forze disgreganti che minacciano la pace e la piena realizzazione dei diritti umani ed in questo nostro tempo se da un lato
le guerre ad alta intensità sembrano diminuire abbiamo un gravissimo
aumento di “crisi violente” nel pianeta.
Nel 2018 abbiamo avuto un incremento di questa
escalation di reazioni violente pari al 25% e
il numero di migranti forzati a causa dei conflitti ha raggiunto il nuovo record di 71 milioni: si tratta del livello più alto registrato dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in quasi 70 anni di attività e si stima che
entro il 2050 ci saranno circa 140 milioni di migranti a causa delle crisi climatiche.
Le cause generative e profonde di queste crisi e delle guerre trovano la loro radice nella povertà, frutto delle disuguaglianze economiche e dell’assenza di un’equa distribuzione delle risorse, nei dissesti delle crisi ambientali, nella speculazione dei mercati finanziari e nel commercio delle armi.
L’82 per cento della ricchezza creata nel 2017 è andato all’1 per cento più ricco della popolazione mondiale, mentre i 3,7 miliardi di persone, che costituiscono il 50 per cento più povero della popolazione mondiale, non hanno ottenuto nulla.
I fattori climatici provocano situazioni potenzialmente conflittuali con la diminuzione della produzione agricola, la devastazione che impedisce lo sviluppo, il dislocamento della popolazione, e la conseguente delegittimazione delle autorità istituzionali quando non siano in grado di affrontare la crisi. Oramai è un dato acquisito che il cambiamento climatico assume un ruolo fondamentale nell’innescare conflitti, agendo da aggravante in paesi con situazioni politiche e economiche precarie.
Aumenta la spesa militare
Il contestuale aumento della spesa militare mondiale, che nel 2018 ha rappresentato il
2,1% del prodotto interno lordo (PIL) globale, fa registrare una pericolosissima inversione di tendenza nel nostro secolo.
La spesa militare mondiale totale ha stabilito un nuovo record salendo a 1.822 miliardi di dollari nel 2018, con un
aumento del 2,6% rispetto al 2017.
Anche in Italia vi è stato l’aumento della spesa militare nel 2018 passando dai 24,1 miliardi del 2017 agli oltre 25 miliardi del 2018.
Il commercio degli armamenti non è solo il mezzo principe di ogni guerra ma ne è anche la
concausa: la detenzione di un arsenale superiore da parte di alcuni stati rispetto ad altri provoca tensioni e può innescare guerre, mentre
particolari sistemi d’arma contribuiscono al perdurare dello stato di guerra (nessun contendente cede se è convinto di avere un sistema d’arma più efficace o se può investire in esso). Questo instaura un degenerante circolo vizioso provocando più investimenti in altre armi sempre più evolute.
La speculazione finanziaria per l’accaparramento di risorse alimentarie e strategiche (petrolio, acqua, terra) e le variazioni dei prezzi generano acute tensioni sociali e pesanti dissidi tra le relazioni tra creditori e debitori all’interno del mercato internazionale.
Circa il 75% del commercio dei prodotti alimentari di base (mais, riso e grano) è controllato da 7-8 società multinazionali che dominano il mercato, determinandone i prezzi.
Il bene preziosissimo dell’acqua determina già la nuova corsa all’”oro blu”; in tutto il mondo sono 153 i paesi che condividono fiumi, laghi e falde acquifere e 592 sono le falde acquifere transfrontaliere individuate dal Programma idrologico internazionale dell’Unesco e queste costituiscono il 60% di acqua dolce pianeta. L’Unesco ha censito al 2018 ben
263 conflitti legati al controllo delle risorse idriche.
Diritti umani: i cittadini devono vigilare
La fratellanza e la solidarietà umana deve guidare in primo luogo la comunità mondiale ad ogni livello (nazioni popoli, gruppi e singoli cittadini) ad un nuovo rigenerato impegno a condividere ed alleviare la sofferenza di chi si trova nel bisogno e soprattutto a rimuovere e disinnescare le cause che generano i conflitti imparando dalla storia e dalle strategie delle esperienze nonviolente.
Dobbiamo organizzare la pace: nuove strategie di trasformazione dei conflitti tra i poveri laddove si corre il rischio della lotta per la sopravvivenza nella scarsità di risorse o di territori, innovative forme di resistenza nonviolenta, un nuovo sviluppo di forme di convivialità delle differenze.
Le Nazioni Unite debbono camminare spedite verso una democratizzazione dei processi decisionali attraverso canali che vedano la società civile sempre più protagonista nei confronti delle rappresentanze degli Stati. Alcuni percorsi e meccanismi di tutela dei diritti umani – come la Revisione Periodica Universale (UPR) – sono la “corona di gioielli” al tavolo del grande consesso mondiale perché sono in grado di
portare le istanze dirette di chi sulla propria pelle soffre l’impatto della mancata implementazione dei diritti umani.
Il futuro è infatti nelle mani dei cittadini e dei popoli. Non potranno essere solo le soluzioni dall’alto a disinnescare le minacce di guerra sui territori. Solo coloro che sono direttamente coinvolti da queste nefaste esperienze hanno la “chiave” per aprire le porte di ciò che può portare quella luce in grado di fendere le tenebre ed illuminare i passi.
È indispensabile ascoltare la società civile che chiede di adottare legislazioni solidali per
nuove forme economiche di condivisione e di ecologia integrale, strutturando le azioni vincenti di cittadini e popoli sulle multinazionali, adottando
stili di vita personali ed istituzionali coerenti con la fratellanza universale. È urgente sottrarre il commercio delle armi alle regole del business
tagliando le spese militari in modo drastico, smettendo di produrre un bene che causa morte e conflitto e destinando piuttosto le risorse pubbliche verso gli intenti più nobili e fraterni sanciti dal patto paradigmatico della Dichiarazione dei Diritti Umani.
L’effetto farfalla
Gli obiettivi dell’
agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile sono il segno e la prefigurazione di questa necessaria “nuova era” ma è la società civile, che ha il ruolo fondativo per il loro raggiungimento, per obbligare i governi, ma anche le imprese e le altre istituzioni, a realizzare quello che gli obiettivi fissano. Questo è un passaggio fondamentale per il controllo dell’azione dei governi e per contrastare quegli attori internazionali che minacciano il multilateralismo, espressione dell’unica famiglia umana e vera forma di assicurazione collettiva contro la politica della forza.
L’e
ffetto farfalla del Lorenz non è una semplice metafora o modello matematico ma è qualcosa che riguarda in maniera profonda l’umanità ed i singoli. Quanto più studiamo i problemi del nostro tempo, tanto più ci rendiamo conto che non è possibile comprenderli isolatamente. Il contributo positivo o negativo di ogni Stato, popolo, cittadino si traduce in cambiamento all’interno di un sistema pianeta attraverso una concatenazione di eventi interconnessi ed interdipendenti
. Siamo interdipendenti e non ci sono soluzioni che possono essere prese da un Paese singolarmente senza che ciò ricada su altri popoli e cittadini.