Nei giorni scorsi si è tornati a parlare del tema dell'inclusione scolastica degli alunni con disabilità, in seguito alle polemiche suscitate dalle dichiarazioni del generale Roberto Iannacci, che in una intervista pubblicata dal quotidiano La Stampa il 27 aprile aveva dichiarato: «Credo che delle classi con “caratteristiche separate” aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare».
Si tratta di un tema complesso che coinvolge migliaia di famiglie. Secondo l'Istat, sono 338mila gli alunni con disabilità che frequentano le scuole di ogni ordine e grado, pari al 4% del totale degli iscritti. La disabilità più frequente è quella intellettiva che riguarda il 37% degli studenti con disabilità. Frequenti anche i disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione, meno frequenti le problematiche relative alla disabilità motoria (10,5%) e a quella visiva o uditiva (8%).
Abbiamo chiesto un parere a Daniela Borra, responsabile di casa famiglia a Fossano (CN), coordinatrice di tre centri diurni per disabili e anziani gestiti dalla Cooperativa sociale “Il Ramo”, nonché animatrice del servizio disabilità della Comunità Papa Giovanni XXIII.
«Penso che sia un’assurdità. Si deve insegnare ai bambini la bellezza delle diversità e solo così tutti ne beneficiano, anche i più bravi. La separazione e la selezione a scuola sarebbe il crollo della società. I ragazzi crescono meglio se sanno confrontarsi con chi è diverso da loro e diventeranno uomini e donne migliori.»
«Abbiamo una ministra alla disabilità che ha abolito il termine “handicappato” e che sta girando tutta Italia parlando di progetto di vita e di inclusione e poi si parla di classi speciali, è un grandissimo controsenso. Purtroppo è triste sentire queste cose e rispecchia il pensiero di chi, non conoscendo, ha paura del diverso. Il problema culturale è ancora rilevante in Italia e le resistenze da parte di molte persone nei confronti della disabilità sono ancora forti. Dobbiamo partire proprio dalla scuola per sensibilizzare e per includere, non escludere.»
«È auspicabile che tutti siano inseriti a scuola e che poi partecipino in attività, magari di tipo più laboratoriale, insieme ai compagni.»
«Negli ultimi cinquant’anni sono stati fatti molti passi avanti per quanto riguarda l’inclusione delle persone con disabilità, ma ancora ce n’è molta da fare soprattutto a livello culturale. Prima degli anni '60 molte persone con disabilità venivano rinchiuse in casa, nei granai o nei manicomi. Nel '77 furono abolite le classi speciali, l'anno successivo fu approvata la legge Basaglia, nel '92 fu introdotta la legge 104 che è il punto di riferimento per chiunque abbia in casa una persona disabile, fino ad arrivare alla più recente legge sul lavoro nel '99 ed infine a quella sul progetto di vita nel 2000. In Italia abbiamo leggi molto buone, il problema è applicarle, o meglio, scegliere di stanziare le risorse necessarie. Sappiamo bene che la spesa sociale e sanitaria è tagliata sempre più.»
«Assolutamente no. È una ricchezza reciproca. La scuola deve saper preparare tutti in base alle proprie capacità. Credo che avere classi solo con ragazzi più bravi sia molto rischioso anche per loro, oltre che discriminatorio per gli altri. Il bambino non può essere valutato solo dal punto di vista prestazionale ma in quanto persona che sta crescendo, che si sta formando. Per non parlare poi dei valori che si vogliono trasmettere: sottolineare le differenze e separare darebbe adito ad episodi di bullismo ed emarginazione.»
«Non credo rallentino la classe, ma insegnano a tenere il passo insieme. La verità è che nessuno di noi è normale, ma siamo tutti diversi e speciali. I primi della classe hanno la possibilità di aiutare chi è più in difficoltà, ma non solo, hanno la possibilità di ricevere molto. Un bambino con disabilità ha molto da dare – e non è un luogo comune – e i suoi compagni molto di cui beneficiare.»
«Tutti gli insegnanti hanno bisogno di formazione, non solo quelli di sostegno. Sarebbe auspicabile anche un po’ di continuità e non dover cambiare insegnante di sostegno molto spesso.»