Presentare un libro che parla di libri, nella biblioteca più antica del mondo tra quelle ancora attive. È quanto è avvenuto alla Capitolare di Verona martedì 22 ottobre, con l’evento “Don Oreste Benzi, testimone e profeta per le sfide del nostro tempo”.
«Quando stavamo progettando il lancio del nuovo libro di Valerio Lessi, Alle fonti di un carisma. La biografia culturale di don Oreste Benzi, mi è subito venuta in mente la Capitolare come ambientazione ideale» spiega Nicoletta Pasqualini, giornalista di “Sempre”, la casa editrice che ha pubblicato l'opera. «Conosciamo il suo presidente, mons. Bruno Fasani, da molti anni e sappiamo quanto stimasse don Oreste, che più volte ha incontrato e intervistato nella sua veste di giornalista. Così gli abbiamo fatto la proposta e ha subito accettato».
Lessi è stato il primo, in tempi in cui don Benzi non aveva ancora raggiunto la notorietà, a parlare del «prete dalla tonaca lisa, una definizione che poi non è più scomparsa dal panorama della comunicazione» ha esordito Fasani. E il giornalista riminese ha raccontato, nel corso della serata come nacque quella definizione: «Lo stavo intervistando sul suo particolare approccio ai giovani e lui rivendicava il diritto di andare ad incontrarli anche nelle discoteche, un fatto che alcuni criticavano, e spiegava che però ci andava con una identità precisa, non in jeans e maglioncino ma, disse proprio, “con questa tonaca lisa, in modo che i giovani mi vedano e dicano, toh, un prete. Sì, un prete, a ricordarti che Dio esiste”.
Ne parlai con il mio editore e decidemmo che quello era il titolo perfetto per il libro Con questa tonaca lisa». Un volume uscito nel 1991 e poi riproposto in varie edizioni, che per la prima volta raccontò chi fosse questo prete riminese che stava emergendo nella realtà sociale ed ecclesiale, e la sua originale visione della Chiesa e del mondo.
Ora, con Alle fonti di un carisma, Lessi traccia quelle che ha definito una “biografia culturale di don Oreste”, narrata attraverso l’analisi dei 2600 libri presenti nell’abitazione di don Oreste al momento della sua morte.
E nella suggestiva sala della Capitolare, tra pareti cosparse di volumi custodi silenziosi di un sapere che ha attraversato i secoli, ha raccontato come don Oreste fosse uomo di fede, di azione, ma anche di grande cultura. Costruita su solide basi attraverso lo studio dei classici della teologia e della filosofia, ma continuamente aggiornata man mano che il sacerdote si trovava ad affrontare nuove sfide, dal mondo giovanile a quello delle dipendenze, dallo sfruttamento della prostituzione alla difficile convivenza con i rom. Dallo studio emerge come don Oreste leggesse di tutto, non solo teologia e storia della Chiesa, ma anche pedagogia, sociologia, psicologia, astronomia e si documentava anche sui personaggi più influenti nel mondo della musica rock e popolare.
«Ho cercato in tutti questi libri se ci fossero dei collegamenti tra quello che don Oreste scriveva o diceva e ciò che aveva letto, e in molti casi li ho trovati – ha spiegato Lessi – ma è indubbio che su alcuni temi il suo pensiero sia stato decisamente originale, sorgivo. L’esempio più eclatante è l’intuizione di quella che lui chiamava “società del gratuito”, cioè la gratuità come elemento costitutivo di una nuova società, in cui le capacità sono titoli di servizio e non di merito. E su questo lui arrivò a prendere posizioni clamorose, come quando sosteneva che l’imprenditore si farà la casa quando ce l’avranno anche tutti i suoi operai, che prenderà lo spesso stipendio dei suoi operai. Quando mi espresse per la prima volta questi concetti, nel corso del famoso libro-intervista, io obbiettai “Don Oreste, ma queste cose non le dice neppure la dottrina sociale della Chiesa”, e lui replicò “Sì, è vero, la nostra è una profezia”»
Un tema attualissimo, quello delle disuguaglianze crescenti, dell’arrivismo, della mortificazione dei più deboli, degli scandalosi compensi milionari, che Fasani gira a Stefano Zamagni.
«Si cita spesso l’affermazione di don Oreste secondo cui i poveri sono i nostri maestri – ha sottolineato l’economista –. Bisogna però essere precisi e chiarire che don Oreste era a favore dei poveri ma diceva che bisogna combattere la povertà, e per farlo occorre aggredirne le cause, quelle che Giovanni Paolo II nella Sollecitudo rei socialis ha definito “strutture di peccato”, cioè istituzioni e regole del gioco che operano in maniera tale da generare iniquità e disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza.»
«Le disuguaglianze che noi vediamo – ha approfondito – non sono colpa del comportamento dei singoli, anche se ci possono essere delle responsabilità individuali. Questo è l’approccio moralistico, che don Oreste non ha mai accettato. Lui diceva che se veramente si vogliono amare i poveri non basta curarne le ferite, ma bisogna arrivare alle cause.»
«Dobbiamo ammettere – ha evidenziato Zamagni – che a volte anche nel nostro modo cattolico c’è un atteggiamento assistenzialistico, per cui vedo il povero e dico: aiutiamolo, diamogli qualcosa. Invece devo chiedermi: come mai quella persona vive in quella condizione di povertà? Ecco perché il messaggio di don Oreste oggi è ancora più rilevante di ieri, e papa Francesco, prima nella Evangelii Gaudium e poi nella Fratelli tutti, recupera, pur senza citarlo, buona parte del pensiero di don Oreste su questi temi.»
Un don Oreste profetico, attuale, vivo non solo nelle idee ma in quanti oggi sono impegnati a mettere la propria vita con a quella degli ultimi, seguendo le sue proposte e il suo esempio.
«La condivisione di vita è un linguaggio comprensibile a tutti, in ogni parte del mondo – spiega Nicoletta Pasqualini, interpellata da Fasani per portare la voce della Comunità Papa Giovanni XXIII, diffusa oggi in 42 Paesi del mondo –. L'espansione dell'opera di don Oreste non è nata da un progetto ma da una risposta alle chiamate dei poveri. Lui non amava i piani pastorali, ascoltava i giovani e faceva loro intravvedere che il sogno di un mondo migliore si poteva realizzare, ci invitava ed essere protagonisti, a passare dalla devozione alla rivoluzione».
Che la proposta sia tuttora attrattiva per i giovani lo hanno evidenziato i racconti di due ragazze che quest’anno hanno partecipato a un “campo di condivisione”, vacanze condivise con persone che hanno disabilità o provengono da percorsi di emarginazione.
«Non si va ai campi per aiutare ma per stare insieme – ha raccontato Anna, 19 anni –. Ho conosciuto persone meravigliose e scoperto che il mio problema è nullo rispetto a quello che vivono certe persone». Un aspetto sottolineato anche dall’altra Anna, 26 anni: «All’inizio avevo dei timori, paura di sbagliare. Ma poi ho visto che se hai un atteggiamento di condivisione e inclusione, queste persone ti danno qualcosa in più a cui non puoi più rinunciare. Vorrei che tutti lo potessero sperimentare».
Altre testimonianze hanno invece spiegato, sia pur brevemente, la condivisione vissuta in casa famiglia, forse la concretizzazione più rivoluzionaria del pensiero di don Oreste: far entrare i poveri nella propria casa, nella propria famiglia, e fare famiglia assieme.
Paola, con il marito Michele ha deciso di aprire la propria famiglia alle vittime della prostituzione: «In realtà è tutta la famiglia che accoglie - ha spiegato -. Noi abbiamo dei figli piccoli. Queste ragazze arrivano impaurite per quello che hanno vissuto, ma stando insieme a loro nel giro di pochi giorni si sentono anche davvero in famiglia e tutto diventa più semplice».
Debora, assistente sociale, con il marito Nevio ha una casa famiglia composta da nove persone: «Non mi bastava vivere per lavorare. Cercavo qualcosa di più. Poi ho incontrato don Oreste e la Comunità, e sono veramente felice delle scelte che abbiamo fatto. Ringrazio i relatori perché stasera hanno delineato una cornice culturale, sul piano sociale e pedagogico, di quello che noi ogni giorno viviamo ».
In linea con il clima vivace della serata anche il saluto finale di Andrea Marconi, in rappresentanza della Fondazione Banca Popolare di Verona che – assieme alla cooperativa sociale Il Calabrone di Legnago – ha sostenuto l’iniziativa. Intervenendo dopo i ringraziamenti portati alla responsabile di zona della Comunità, Anna Francioli, Marconi a detto: «Ho avuto modo di partecipare a qualche incontro pubblico di don Oreste e mi ha colpito il fatto che lui concludesse spesso con un invito attrattivo: “Dai, ci stai?”. Quando ho ricevuto dalla Comunità la proposta di sostenere questa iniziativa mi sembrava di sentire la voce di don Oreste che pronunciava proprio quella frase, e quindi abbiamo pensato che la Fondazione non poteva che starci e dare una mano».
La replica dell'evento su Telepace, domenica 27 ottobre ore 20,30 (digitale terrestre e in streaming su telepace.it)