Un’amicizia tra due sacerdoti che è diventata incontro tra culture e occasione di riscatto per gli ultimi tra gli ultimi. È quanto è emerso sabato 8 febbraio a Villaverla (VI), in un pomeriggio di testimonianze, poesie e danze presso il teatro Dalla Costa, che ha creato un ponte tra Italia e Bangladesh, ma anche tra carismi nella Chiesa.
L’idea è nata da una telefonata arrivata qualche mese fa alla Fondazione don Oreste Benzi.
Alessandra Zanin, nipote di padre Marino Rigon, saveriano, per oltre 60 anni missionario in Bangladesh, aveva scoperto che entrambi i sacerdoti erano nati nel 1925 e, nel pensare ad un evento per ricordare i cento anni dalla nascita di padre Marino nel suo paese natale, Villaverla appunto, proponeva: perché non celebrare assieme i due centenari?
Proposta accolta subito con favore dalla Fondazione, dato che il legame tra i due sacerdoti andava ben oltre l’anno di nascita: i due, infatti, si sono incontrati molte volte, e fu proprio padre Marino a invitare don Oreste ad aprire una presenza missionaria in Bangladesh che continua tutt’ora.
In un momento come quello attuale pervaso dal riemergere di nazionalismi e contrapposizioni, l’evento di sabato scorso – patrocinato dalla Fondazione don Oreste Benzi e dal comune di Villaverla, in collaborazione con UP Caldogno-Villaverla, Missionari Saveriani e Centro Missionario Fr. Faccin, e condotto da Daniele Spero, interculturalista del Patriarcato di Venezia, e Nicoletta Pasqualini, giornalista di Semprenews – ha fatto emergere la bellezza e la ricchezza dell’incontro tra diversità.
Foto di Alessandra Zanin
Nel tracciare il profilo di padre Marino Rigon, lo storico Andrea Vezzaro ha fatto emergere la poliedricità del saveriano, amante della cultura, dell’arte, perfino dell’architettura dato che grazie a lui sono state erette numerose chiese. Ma è noto qui in Italia soprattutto per la sua opera di traduzione e divulgazione delle poesie di Robindronath Tagore, autore bengalese vincitore nel 1913 del premio Nobel per la letteratura, oltre che di altri autori bengalesi meno noti, come Jasim Uddin, Sorot Ciondro e Nuzrul Islam. Mentre in Bangladesh ha portato, tra l’altro, Le avventure di Pinocchio.
Valter Martini, piemontese, direttore della Fondazione don Oreste Benzi, ha quindi fatto emergere alcuni aspetti della vita del sacerdote dalla tonaca lisa, utilizzando come traccia l’aneddoto più volte raccontato da don Oreste sull’origine della sua vocazione, quando, in seconda elementare, la maestra presentò agli alunni tre figure: il sacerdote, lo scienziato e il pioniere. Il piccolo Oreste tornò a casa e disse alla mamma: «Io mi faccio prete». Ma, ha sottolineato Martini, don Benzi è stato anche un po’ scienziato, grande studioso, come padre Marino, e indagatore delle profondità dell’animo umano. E anche un po’ pioniere, cioè sperimentatore di nuove strade per costruire una società più inclusiva, riassunte in una parola chiave, condivisione, cioè mettere la vita con la vita degli ultimi, accogliendoli anche nella propria casa, nella propria famiglia.
Foto di Alessandra Zanin
Due vita parallele, quelle di padre Marino e don Oreste, che ad un certo punto si incrociano. A raccontare è stavolta Sara Foschi, missionaria per 12 anni in Bangladesh, e attualmente co-responsabile generale del servizio Missioni della Comunità Papa Giovanni XXIII .
Sara incontrò don Oreste giovanissima, a 17 anni, in un momento difficile della sua vita. Voleva fare una esperienza. «Pensavo mi proponesse di fare la baby sitter a supporto di una casa famiglia – ha raccontato –. Invece mi ha invitato ad andare India».
La missione nel grande Paese asiatico però incontra problemi con il governo locale, c’è il rischio di dover chiudere la presenza missionaria della Comunità Papa Giovanni XXIII in Asia. «Invece – prosegue Sara – don Oreste tira fuori una lettera di padre Marino che lo invitata ad aprire una presenza in Bangladesh, e così è partita una nuova missione».
Nei 12 anni trascorsi nella missione di Chalna, Sara ha incontrato molte volte padre Marino e durante l’evento ha testimoniato la grande amicizia che legava i due sacerdoti, alimentata dai frequenti viaggi che don Oreste faceva per visitare la missione. «Era bello vedere il loro entusiasmo ogni volta che si incontravano, la comune passione per la missione, per i poveri, ma anche per l’arte e la bellezza».
Un aneddoto raccontato da Sara ha colpito in modo particolare i presenti: «Mentre don Oreste era in visita alla missione, e avevamo chiesto di non essere disturbati, hanno bussato alla porta dicendo al don: “Vieni fuori, c’è un bimbo che ha davvero bisogno di aiuto”. Don Oreste non ha battuto ciglio, si è alzato ed è andato dritto incontro a questo bambino. Effettivamente era gravemente malnutrito: aveva quasi due anni e pesava solo due chili. Lui l’ha preso in braccio e quel giorno stesso me l’ha affidato. Quel bambino è sopravvissuto, è diventato mio figlio, mi ha ricondotto in Italia perché aveva bisogno di cure, e oggi che sono sposata fa ancora parte della mia famiglia ed è qui con noi ad ascoltarci.»
Se don Oreste ha cambiato la sua vita, Sara sente di dovere molto anche a padre Marino la sua sensibilità per la missione, e porta nel cuore una frase che lui le ha detto un giorno: «Quando incontri le persone, ricordati di lire loro “ti voglio bene”. È una piccola cosa, ma spesso ce ne dimentichiamo. Invece è molto importante, perché tutti abbiamo bisogno di sentirci amati».
Testimonianze toccanti, alternate a poesie, danze e musiche che hanno fatto apprezzare quanta bellezza e armonia si possa scoprire quando ci si lascia guidare dall’amore di Dio e per i poveri.
Alla fine scambio di ringraziamenti tra gli organizzatori e doni di libri e ricami dell’antica tradizione bengalese da parte di Alessandra Zanin. E la promessa di trovare altre occasioni per coltivare l’amicizia avviata da padre Marino e don Oreste, che continua nelle loro opere.