Vi raccontiamo la storia di Li, che da agosto è in contatto con l'unità indoor della Apg23 per riuscire a liberarsi dalla schiavitù della prostituzione. Sono tante le donne che hanno dai 35 ai 55 anni, avevano iniziato a lavorare in fabbrica o nei ristoranti cinesi, poi con l'inganno sono state irretite nei cosiddetti "centri massaggio" che offrono invece prestazioni sessuali a pagamento. Chi è caduta in questa trappola impara sulla propria pelle quanto sia difficile uscirne. L'equipe indoor della Comunità Papa Giovanni XXIII cerca queste donne per liberarle dallo sfruttamento sessuale.
«Pronto Li, come stai?»
«Non tanto bene. Non ho sempre da mangiare. E poi i clienti sono matti: vogliono senza preservativo, vogliono fare video per vendere... io no!»
«Se vuoi possiamo aiutarti, lo sai. Possiamo fissare un colloquio così parliamo?»
«Adesso non posso parlare. Scusa.»
«Non sei da sola?»
«No. Devo andare! Mandami un messaggio domattina e ti dico quando posso uscire.»
«Scusa.»
«Ciao come stai?»
«Bene. Sei buona. Grazie che mi hai chiamato.»
«Oggi puoi parlare?»
«Adesso.
«Li ti posso chiedere quanti anni hai?»
«Io ho 30 anni.»
«Parli bene italiano.»
«Grazie. Sono due anni qui in Italia. Andavo a scuola.»
«Non puoi più studiare?»
«No adesso sono qui.»
«Dove? Sei in un centro massaggio?»
«Sì ma devi fare tutto».
«Tutto?»
«Sì la
mamasan non vuole che parlo al telefono...»
«Ho capito. Quando possiamo vederci?»
«Non so. Richiama per favore. Adesso no. Chiudo.»
Sentiamo voci concitate in cinese. La voce affannata di Li che saluta.
Non possiamo mandarle messaggi né chiamarla spesso, ma appena capiamo in quale centro massaggio è – in accordo coi carabinieri – andremo a prenderla. Così sarà libera per sempre dalla sua
mamasan.
È questa una delle esperienze di secondo e terzo contatto telefonico delle
equipe indoor della Comunità Papa Giovanni XXIII che in questo anno a Roma, Modena, Savona, Bari e Rimini – come altre organizzazioni antitratta in Italia – hanno avviato un lavoro di mappatura di annunci, contatti telefonici per l’offerta di accompagnamento ai servizi sanitari o consulenza legale o psicologica; e colloqui per l’emersione dallo sfruttamento. Un servizio complesso specie quando ci si imbatte in donne provenienti dalla Cina. Quelle che
hanno iniziato a lavorare prima in fabbrica o nei ristoranti e poi nei centri massaggi per finire nel giro della prostituzione indoor sanno che è praticamente impossibile scappare da chi le sfrutta. Sono tantissime le giovani donne nascoste che sono state irretite nella tratta a scopo sessuale. Ad oggi non esistono dati ufficiali. Il loro sfruttamento sessuale non si è mai interrotto nemmeno durante il Covid.
In una recente ricerca della associazione Dedalus sulla prostituzione indoor nella comunità cinese a Napoli emergono alcune caratteristiche delle vittime dalle descrizioni degli stessi clienti, elementi comuni anche in altre parti d’Italia. Il tariffario è conveniente e per questo le cinesi sono le più gettonate: prezzo medio di una prestazione di mezz’ora 50 euro.
Dalle recensioni, emerge però anche l’abitudine a prestazioni sessuali – sia orali che anali – senza protezione.
I clienti non si interessano della propria salute e nemmeno di quella della vittima. Anzi in alcuni casi si vantano di questa
“opportunità di prestazioni libere”.
Subiscono il ricatto della vergogna: «Se non continui a prostituirti, diremo alla tua famiglia che lavoro fai»
Un’altra caratteristica della prostituzione cinese è la sistematicità con cui cambiano i numeri di telefono e le donne nei luoghi al chiuso. I clienti scrivono liberamente nei siti di annunci anche che la foto della ragazza nel sito non corrisponde sempre a quella incontrata nel centro massaggio. E per molti pare non sia affatto un problema dato che
la mamasan può offrire 5 diverse ragazze. Scrivono recensioni in cui è chiaro che sanno bene anche chi è che le sfrutta, ma se ne lavano le mani. La maggior parte delle donne presenti in Campania pare provengano dal nord della Cina e solo una minoranza dalla regione del Fujian, al sud, che è l’area da cui però il flusso di vittime verso l’Europa è stato più frequente negli anni. Per quanto riguarda l’età delle donne, si aggira intorno ai 35 ai 55 anni così come si riscontra in altre città italiane.
Ciò che fa ben sperare come nel caso di Li è che di norma le donne sfruttate nella prostituzione nei contatti telefonici, quando sono da sole, mostrano interesse sia per l’offerta di consulenza legale, essendo prive di documenti, sia della possibilità di parlare con altre donne cinesi per il forte senso di appartenenza alla comunità cinese.
Tuttavia, come mostrato in un
Report sull’integrazione delle vittime di tratta sfuggite alle reti criminali del 2020, è proprio per questi vincoli alla comunità di appartenenza e alle reti parentali che sono ricattate dai trafficanti: per la vergogna che possano venire a conoscenza del fine del viaggio verso l’Europa, faticano ad accogliere percorsi di fuoriuscita e di integrazione in Europa. Ecco perché difficilmente – se intercettate dalle forze dell’ordine che grazie alla Legge Merlin possono intervenire e chiudere i centri massaggi per sfruttamento e induzione alla prostituzione – chiedono di essere accolte. Le loro
mamasan d’altra parte le controllano su tutto: le portano dal dottore, comprano loro i vestiti, fanno richieste di asilo per loro. A causa della lingua riescono facilmente a renderle dipendenti in tutto e così a tenerle incatenate nella prostituzione al chiuso.
Molte donne sono ricattate di continuo di raccontare la loro vita ai familiari ed è orribile per loro se la famiglia sapesse che cosa stanno facendo qui.
Il tema della vergogna è un elemento specifico nella cultura cinese e diventa il primo ostacolo alla uscita dalla tratta.
Per questo, costruire una relazione di fiducia, chiamata dopo chiamata, come sta avvenendo nei confronti di Li «senza che la
mamasan ascolti» può essere l’unica via per sognare di cambiare città ed entrare in contatto con una comunità cinese che le sostenga in altri lavori, nella ristorazione o in fabbriche tessili.
Ma mai più nelle stanze chiuse del sesso.
Questa storia è stata raccolta all'interno del progetto "MIRIAM. Free Migrant Women from GBV, through identification and access to specialized support service", finanziato dal "Justice Programme" e dal "Rights, Equality and Citizenship Programme" dell'Unione Europea e finalizzato, attraverso il partenariato di Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Differenza Donna in Italia e Fundaciòn de Solidaridad Amaranta in Spagna, a potenziare i servizi per le donne vittime di violenza, con una particolare attenzione alle donne straniere vittime di sfruttamento sessuale, violenza domestica e matrimoni forzati.
Per saperne di più:
www.apg23.org/it/progettomiriam/
Per info e richieste di aiuto, scrivere a:
progettomiriam@apg23.org