Vite da scartare perché sofferenti? Lo denunciano le associazioni pro-life in un convegno, mentre una parte della politica vuole rendere più facile l'interruzione della vita, come è successo in altri paesi
Oggi, 15 febbraio, si terrà l'udienza della Corte Costituzionale italiana per decidere sull'ammissibilità del referendum sul fine vita. Il quesito referendario chiede l'abrogazione parziale dell'art. 579 del codice penale che attualmente sanziona come reato l'omicidio del consenziente, con pene ridotte rispetto all'omicidio generico, salvo alcune eccezioni.
Di fronte ad un argomento tanto complesso il 9 febbraio scorso (Giornata Nazionale degli Stati di veglia Aresponsiva, nonché tredicesimo anniversario della morte di Eluana Englaro), nei pressi del Palazzo Montecitorio a Roma, si è svolto un importante evento a sostegno della Vita, dal titolo “Eutanasia. Vite da Scartare? Il dovere della società di fronte alla sofferenza”
Battersi contro la cultura dello scarto
Tale evento è stato promosso da Provita e Famiglia con il sostegno dell'Associazione Family Day, del Centro Studi R. Livatino, del Forum Sociosanitario e Società Italiana per la bioetica ed i Comitati Etici e il Movimento della vita, i cui esponenti hanno contribuito con interventi volti a mettere in luce come la cultura dello scarto si nasconda dietro al referendum proposto dal Partito Radicale, sull'omicidio del consenziente e dietro al disegno di legge il Parlamento sul suicidio assistito.
Coghe: Eutanasia? Una irragionevole priorità
L'introduzione al convegno di Jacopo Coghe (Presidente di Provita e Famiglia) ha messo subito in evidenza il paradosso di come, attualmente, mentre di fronte ad una pandemia che miete tante vittime la società cerca di salvare più vite possibili, alcune realtà politiche e associazioni spingono affinché si realizzi in Italia una irragionevole priorità, e cioè l'eutanasia.
La sofferenza fa paura e la morte viene percepita come unica soluzione.
Il rischio: con una mano viene tolto il diritto alla salute con tagli alla sanità pubblica, disincentivi a quella privata e investendo briciole per la ricerca nelle malattie rare e croniche neuro-degenerative; con l'altra mano viene offerto il suicidio assistito e l'omicidio del consenziente.
Se il vivere viene reso più pesante inevitabilmente le persone saranno indotte a preferire la morte.
Provocatoriamente, dice Coghe, «forse arriverà un giorno, non troppo lontano, nel quale saremo chiamati a giustificarci per rimanere in vita». In fondo perché spendere soldi per un anziano disabile che non produce?
Negli altri paesi l'apertura all'eutanasia porta al moltiplicarsi dei casi
Vite indegne? Ogni vita è sempre degna di essere vissuta e la società non deve smettere di prendersi cura del sofferente e di chi si prende cura di lui.
Per questo il momento impone un dibattito pubblico molto più ampio, libero e onesto in cui vengano sottolineati i rischi in cui ci si può imbattere nel dare il via libera ad un referendum e a proposte di legge che con la scusa di mettere fine a delle sofferenze con “soppressioni controllate” e “solo” in casi gravissimi di sofferenza porterebbero ad una ulteriore degradazione del valore della vita umana. L'esperienza di altri paesi infatti ci mostra come tali paletti saltino in pochissimo tempo e sia assai facile trovarsi ad ampliare il raggio di inclusione nel girone eutanasico, passando dai 2-3 casi annui alle centinaia.
Non è un referendum abrogativo
A seguire l'intervento di apertura dell'ex presidente della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli il quale ha sottolineato come un referendum, in generale, debba avere come requisito imprescindibile un quesito chiaro ed univoco, deve essere esclusivamente abrogativo e non diretto all'introduzione di nuove norme.
Secondo il giurista il quesito non può avere tali caratteristiche in quanto non può essere considerato univoco, in quanto essendo l'omicidio punito in via generale dall'art 575 e prevedendo l'omicidio del consenziente una pena ridotta, abrogando quest'ultima disposizione speciale si espanderebbe la comune disposizione dell'omicidio. Inoltre rischia di essere propositivo e non solo abrogativo introducendo il principio della disponibilità della propria vita capovolgendo quello in vigore e che la costituzione non consente.
Al centro ci deve essere il prendersi cura, non soluzioni facili di fine vita
Tra i tanti e interessanti interventi riporto alcuni flash del Cardinale Giovanni Battista Re che ha sottolineato come il problema dell’eutanasia sia ritornato di grande attualità in questi ultimi anni, sia per le preoccupanti legislazioni in merito di alcuni Paesi, sia per taluni protocolli medici riguardanti le situazioni di fine-vita, sia perl’aumento degli abusi. Per questo il 14 luglio 2020 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento dal titolo Samaritanus bonus, la cui caratteristica è quella di trattare il problema dell’eutanasia e del suicidio assistito mettendo al centro “la cura” delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. Tale pronunciamento della Santa Sede ha la forma di una lettera con accento fortemente pastorale in un linguaggio comprensibile ma anche all’altezza del progresso delle scienze mediche.
Il Cardinale Re ha toccato i punti principali tra i quali interessante è la distinzione tra il semplice curare e il “prendersi cura”.
Di fronte a situazioni estreme di sofferenza sono necessarie le cure cliniche e i farmaci che la scienza mette adisposizione, ma c'è anche tanto bisogno di amore, di affettuosa vicinanza, ascolto, parole di sostegno fino all'accompagnamento spirituale che dona pace alla coscienza e può aiutare a vivere il momento supremo della vita in un’intima serenità del malato.
Ancora una volta la famiglia è al centro
Contemporaneamente dobbiamo tenere presente che nella mente e nel cuore delle persone sul fine della vita alberga normalmente anche la preoccupazione per coloro che lasciano: i figli, il coniuge, i genitori, gli amici. Tale aspetto non si può trascurare, e richiede la messa in atto di azioni di sostegno. Il ruolo della famiglia infatti è centrale perché in essa la persona si appoggia a relazioni salde. È essenziale che il malato non si senta un peso, per cui In questa complessa missione la famiglia ha bisogno di poter contare su aiuti e mezzi adeguati.
Una scelta sbagliata anche per un ateo
In ultimo davvero interessante è stata la disamina del Sociologo Kevin Yuill, University of Sunderland, dal titolo “Perchè un ateo si oppone alla legalizzazione del suicidio assistito e dell'eutanasia?” Anche lui ha messo in guardia dalla deriva cui si può approdare.
In Olanda e in Canada esiste già l'eutanasia per i malati terminali e l'opzione del suicidio per i malati di mente. Nei Paesi Bassi è partita l'iniziativa "Vita Completa", appoggiata dai principali partiti politici, che garantisce l'opzione dell'eutanasia per tutti coloro che hanno più di 74 anni, l'eutanasia per gli esauriti.
Cosi l'eutanasia e la morte assistita offrono una soluzione tecnica a una crisi morale sia per l'individuo che per la società. È il singolo che si trova di fronte alla domanda esistenziale con la quale l'uomo si è sempre confrontato: essere o non essere. La società vorrebbe risolvere il problema della sofferenza con una soluzione che, usando le stesse parole di H. L. Mencken, è semplice, chiara e sbagliata.