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L'intenzione dichiarata è di andare verso la flat tax, ma la progressività del prelievo fiscale è prevista dalla Costituzione e preoccupa il rischio di minori entrate per lo Stato. Per ora si passa da 4 a 3 scaglioni, ma quali saranno le fasce di reddito coinvolte?
Il Governo Meloni ha approvato, il 16 marzo, il disegno di legge delega per la riforma del Fisco. Diciamo subito che, trattandosi di legge delega, contiene solo indicazioni di massima su quello che sarà l’assetto definitivo della tassazione, in particolare dell’IRPEF, l’imposta sui redditi delle persone fisiche. Quindi non indica quali saranno gli scaglioni, le aliquote o le detrazioni, che conosceremo dai decreti attuativi. Possiamo però cercare di capire i principi ai quali la legge delega si ispira e le conseguenze delle diverse scelte.
Cosa significa "flat tax"
Questo decreto viene presentato come un passo verso l’applicazione di una “flat tax progressiva” e questo suscita perplessità.
Per “flat tax”, letteralmente “tassa piatta”, si intende l’applicazione della stessa aliquota a tutti indipendentemente dal livello di reddito.
Ciò è in aperto contrasto con la Costituzione che all’art. 53 recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Questo principio è stato introdotto perché la progressività, ossia tasse proporzionalmente maggiori al crescere del reddito, è il metodo comunemente usato per rendere equo il prelievo fiscale.
È facile capire come chi abbia un reddito basso ne spenda la maggior parte in beni di prima necessità, mentre al crescere delle entrate la spesa si sposta via via verso beni definiti voluttuari. Cresce quindi la “capacità contributiva”, vale a dire la possibilità di contribuire alle spese per i servizi resi dallo Stato. Spese, ricordiamolo, che per loro natura non si prestano ad essere divise a seconda del consumo e quindi non possono che essere a carico della collettività.
Cosa sono gli “scaglioni” di reddito
Per attuare la progressività si è scelto il metodo “per scaglioni” meritevole di un breve approfondimento. Con questo metodo il reddito viene diviso in fasce, gli scaglioni appunto, su ognuna delle quali si paga un’aliquota percentuale via via crescente. La cosa importante è che l’aliquota viene applicata solo sullo scaglione e non sull’intero reddito.
Per essere concreti, sugli scaglioni più bassi tutti pagano la stessa percentuale, bassa o addirittura nulla (no tax zone), mentre l’aliquota sale man mano che si va verso fasce di reddito che, abbiamo visto, vengono normalmente spese per consumi via via meno necessari. Questo modo di attuare la tassazione è anche un modo per realizzare una parziale ridistribuzione dei redditi e ridurre le disuguaglianze.
Da quattro a tre aliquote: chi ci guadagna?
Ora, per mantenere fede contemporaneamente alle promesse elettorali e al dettato costituzionale, si parla di “flat tax progressiva”, che suona un po’ come “pianura montagnosa”, e che dovrebbe essere in definitiva attuata attraverso una sola aliquota e un sistema di detrazioni per mantenere la progressività. Ma a questo punto la tassazione non sarebbe più “piatta” come promesso.
Per il momento si attua una riduzione delle aliquote che passeranno da quattro a tre, molto probabilmente accorpando le due aliquote centrali del 25% e del 35%.
La scelta della nuova aliquota determinerà quale parte dei vecchi scaglioni avrà un vantaggio, che sarà comunque più elevato per percettori di redditi nella parte superiore della fascia. Resterebbe invariata l’aliquota del 43% sui redditi oltre 50.000, la più bassa fra quelle adottate in Europa nei sistemi progressivi. Anche chi ricade in questa fascia avrebbe comunque uno sconto sulle aliquote basse.
Flat tax: le proccupazioni degli economisti
Un’importante obiezione che viene fatta è che la flat tax porterebbe a una drastica riduzione delle entrate fiscali e quindi ad una minore disponibilità di spesa per i servizi. I soldi dell’IRPEF costituiscono una parte cospicua delle entrate statali e l’Italia non può permettersi di aumentare il debito pubblico che potrebbe venire ulteriormente aggravato dall’aumento dei tassi conseguente all’inflazione. Questo preoccupa molto gli economisti che si chiedono se si tradurrà in tagli dei servizi o ci sarà qualche meccanismo compensativo.
Nella delega è compreso un intervento sulle detrazioni e deduzioni che potrebbero colmare almeno in parte i mancati introiti. Ancora però non si sa come il Governo interverrà. Ha dichiarato di non voler colpire detrazioni che riguardano la famiglia, la casa, l’istruzione, la sanità e i mutui, ma queste pesano molto sul gettito e una volta escluse non rimane molto da tagliare.
Un altro modo di recuperare risorse è la lotta all’evasione, però diversi commentatori osservano che la legge delega non contiene misure capaci di incidere significativamente su questo aspetto della politica fiscale ed anzi mostrerebbe una volontà di essere comprensivi verso chi evade il Fisco.
Le novità per IRES e IRAP
Ci sono novità anche per l’IRES, imposta sul reddito delle società di capitali, e per l’IRAP, imposta regionale sulle attività produttive. Quest’ultima, che aveva sostituito diversi tributi, verrà abolita per le società di persone, gli studi associati e le società di professionisti, ma, dato che finanzia la spesa sanitaria, il suo gettito verrà compensato da una sovraimposta sulla base imponibile dell’IRES. A sua volta l’IRES, già “piatta” all’origine, verrà ridotta per quegl’imprenditori che investiranno o creeranno posti di lavoro con l’obiettivo di arrivare al 15% previsto per la “Global minimum tax” che scatterà nel 2024 per le multinazionali.