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9 Settembre 2024
Ultima modifica: 9 Settembre 2024 ore 09:52

Francesco in Estremo Oriente: le parole chiave

Il viaggio più lungo, per il pontefice, all'età di 87 anni. Tra musulmani, cristiani e una miriade di lingue diverse. Facciamo il punto a metà del percorso.
Francesco in Estremo Oriente: le parole chiave
Foto di ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste, Singapore. Quattro Paesi in 12 giorni di viaggio tra etnie, religioni, culture e centinaia di lingue. Ecco i messaggi più importanti lanciati finora da papa Francesco per cercare ciò che unisce nella diversità.
A papa Francesco piacciono le sfide. Ed il viaggio in quattro Paesi dell'estremo oriente (Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste, Singapore) è una grande sfida. Non solo perché Francesco affronta un viaggio così lungo e impegnativo alla bella età di 87 anni. Non solo perché la prima tappa è stata l'Indonesia, il più popoloso Paese musulmano del mondo, dove i cattolici sono il 3 per cento della popolazione, cioè circa 8 milioni su 260.
Per capire la sfida, restiamo all'Indonesia, questo grande Paese musulmano (moderato, hanno spiegato i telegiornali italiani) comunque pieno di contraddizioni perché riunisce in una stessa repubblica popoli diversi fra loro.
Il moto della repubblica indonesiana è “Bhinneka tunggal ika” (“Uniti nelle diversità”, letteralmente “Molti, ma uno”). E questa è la bella sfida che il papa dell'enciclica Fratelli tutti subito ha raccolto.
Come un novello san Paolo all'areopago di Giakarta, Francesco si è rivolto alle autorità sottolineando ciò che ha inteso portare con questa visita. I principi fondanti: molti ma uno, lo abbiamo già visto; ed inoltre nel Preambolo alla Costituzione del 1945 per due volte si fa riferimento a Dio onnipotente e alla necessità che la sua benedizione scenda sul nascente Stato dell’Indonesia. Similmente, il testo che apre la Legge fondamentale a due riprese tratta della giustizia sociale, auspicando che si instauri un ordinamento internazionale fondato su di essa, considerata tra i principali obiettivi da realizzare a vantaggio dell’intero popolo indonesiano.

Fede, fraternità, compassione

«Ed il motto di questa mia visita – incalza Francesco - è fede, fraternità, compassione. Anche se a volte, nel corso delle vicende storiche, i principi ispiratori sopra richiamati non sempre hanno avuto la forza di imporsi in ogni circostanza, essi rimangono validi e affidabili, come un faro che mostra la direzione da percorrere e avverte circa i più pericolosi errori da evitare».
Ai vescovi ha spiegato il significato del suo motto.
La fede: «l’Indonesia è un grande Paese, con enormi ricchezze naturali, a livello di flora, di fauna, di risorse energetiche e di materie prime, e così via».  Tale ricchezza è «un richiamo a Dio, alla sua presenza nel cosmo, nella sua vita e nella nostra vita, come ci insegna la Sacra Scrittura».
Fraternità: «Non ci sono due gocce d’acqua uguali l’una all’altra, né ci sono due fratelli, nemmeno gemelli, completamente identici. Vivere la fraternità, allora, vuol dire accogliersi a vicenda riconoscendosi uguali nella diversità». Fraternità è una parla chiave anche per l’evangelizzazione perché «annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, non vuol dire fare proselitismo, vuol dire donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo (cfr 1 Pt 3,15-17), sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque».
Ed infine la terza parola, compassione: «vuol dire patire con l’altro, condividere i sentimenti: è una bella parola! Come sappiamo, infatti, la compassione non consiste nel dispensare elemosine a fratelli e sorelle bisognosi guardandoli dall’alto in basso, guardandoli dalle proprie sicurezze e dai propri privilegi, ma al contrario, compassione significa farci vicini gli uni agli altri, spogliandoci di tutto ciò che può impedirci di chinarci per entrare davvero in contatto con chi sta a terra, e così sollevarlo e ridargli speranza (cfr Lett. enc. Fratelli tutti, 70)».

Ricchezza: «Il diavolo entra nelle tasche»

La parola compassione dà adito a Francesco di chiarire cosa è che manda avanti il mondo: «Il fatto di avere le ricchezze come sicurezza è un modo falso di guardare alla realtà. Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse – che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità – ma la carità che si dona. Questo porta avanti: la carità che si dona. E la compassione non offusca la visione reale della vita, anzi, ci fa vedere meglio le cose, nella luce dell’amore, cioè ci fa vedere meglio le cose con gli occhi del cuore. E vorrei ripeterlo, per favore, state attenti, non dimenticate: il diavolo entra dalle tasche!».

800 lingue diverse

Dopo aver predicato all' “areopago di Giakarta”, papa Francesco si è spostato in un altro Paese, Papua Nuova Guinea, dove la situazione è completamente diversa. Lì la maggioranza della popolazione è cristiana, i cattolici sono più del 30 per cento, gli altri cristiani sono protestanti, ma gli oltre nove milioni di abitanti appartengono a migliaia di tribù e parlano 800 lingue diverse. Una vera sfida per lo Spirito Santo, chiamato a creare unità e armonia. La battuta non è nostra ma dello stesso papa Francesco, davanti alle autorità del Paese.
Francesco invita alla concordia e alla stabilità: «Consolidando la concordia sui fondamenti della società civile, e con la disponibilità di ciascuno a sacrificare qualcosa delle proprie posizioni a vantaggio del bene di tutti, si potranno mettere in moto le forze necessarie a migliorare le infrastrutture, ad affrontare i bisogni sanitari ed educativi della popolazione e ad accrescere le opportunità di lavoro dignitoso».

La speranza del cuore

Ma è consapevole che tutto questo non basta: «L’essere umano ha bisogno, oltre che del necessario per vivere, di una grande speranza nel cuore, che lo faccia vivere bene, gli dia il gusto e il coraggio di intraprendere progetti di ampio respiro e gli consenta di elevare lo sguardo verso l’alto e verso vasti orizzonti. L’abbondanza dei beni materiali, senza questo respiro dell’anima, non basta a dar vita a una società vitale e serena, laboriosa e gioiosa, anzi, la fa ripiegare su sé stessa».
Quale sia questa grande speranza nel cuore il papa lo ha ben spiegato a vescovi, preti, e a tutti coloro che sono direttamente impegnati nell’evangelizzazione.  La grande speranza è la fede.

I santi e il coraggio di cominciare

Francesco ha esaltato santi e beati che in qualche modo c’entrano con la nascita e la crescita della comunità cristiana in Papua Nuova Guinea. Pietro Chanel, protomartire dell’Oceania, Giovanni Mazzucconi e Pietro To Rot, martiri della Nuova Guinea, e poi Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II, Mary McKillop, Maria Goretti, Laura Vicuña, Zeffirino Namuncurà, Francesco di Sales, Giovanni Bosco, Maria Domenica Mazzarello.  Tutti costoro sono testimoni del coraggio di cominciare.
Dopo aver cominciato si tratta di sperimentare la bellezza di esserci. Che significa?  «Il tesoro più bello agli occhi del Padre siamo noi, stretti attorno a Gesù, sotto il manto di Maria, spiritualmente uniti a tutti i fratelli e le sorelle che il Signore ci ha affidato e che non possono essere qui, accesi dal desiderio che il mondo intero possa conoscere il Vangelo e condividerne con noi la forza e la luce».
Ed infine la speranza di crescere, di vedere il piccolo seme che diventa un albero con tanti frutti. Tuttavia il papa ha ammonito: «Lo dice San Paolo, quando ci ricorda che la crescita di ciò che noi seminiamo non è opera nostra, ma del Signore (cfr 1Cor 3,7), e lo insegna la Madre Chiesa, quando sottolinea che, pur attraverso i nostri sforzi, è Dio “a far sì che venga il suo regno sulla terra”».
 
Altre sfide aspettano papa Francesco a Timor-Leste (è atterrato nella capitale, Dili, stamattina alle 7,20) e a Singapore, fino al ritorno a Roma venerdì 13 settembre.