Qual è il contributo del nostro Paese ai conflitti mondiali? E quanto produciamo per armare la malavita nostrana? Le contraddizioni di un mercato che non sta creando posti di lavoro.
Si parlerà anche del
mercato delle armi in Italia durante l'evento che si terrà il
6 maggio a Bologna per rilanciare nel Bel Paese la proposta di istituire un
Ministero per la Pace. Per saperne di più, ecco come vede il binomio
Armi - Italia Giorgio Beretta.
Giorgio Beretta è analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi leggere e dei rapporti tra finanza e armamenti. Il saggio
“Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata” edito da
AltraEconomia in collaborazione con l’
Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e di difesa (OPAL) di Brescia, affronta con rigore scientifico i temi del possesso e della diffusione legale delle armi nel nostro paese. Il libro mette in discussione i falsi miti che circondano la produzione delle armi in Italia e sfata diverse credenze. E’ un lavoro scientifico prezioso per dati e informazioni, che pone numerosi interrogativi.
L’abbiamo incontrato a Rimini, in occasione della presentazione del libro.
Tu definisci l’Italia “il Paese delle armi”… ma normalmente quando si parla di paese delle armi ci vengono in mente altri Paesi, in cui le armi circolano molto più che nel nostro…
«Beh, dal punto di vista della spesa militare e della produzione di armamenti ci sono paesi più armati. Ma distinguiamo. Io nel libro mi riferisco alle “armi comuni”, quelle in uso da parte dei civili per la difesa personale, per il tiro sportivo e per la caccia. L’Italia è il paese delle armi innanzitutto perché ha una lunga tradizione di produzione di queste armi tanto che le stesse aziende evidenziano che l’Italia è primo produttore europeo di armi sportive e da caccia. Poi è anche uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di armi da guerra come le armi automatiche e i fucili mitragliatori».
Il Ministero della Pace è proprio quello di cui abbiamo bisogno
Giorgio Beretta
«Dovete pensare che noi
abbiamo in Italia una legge frutto di anni di lotte da parte di diverse associazioni, riunite nella campagna “Contro i mercanti di morte”. E’ la 185 del 1990, che introdusse “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. E’ una legge che stabilisce diversi divieti. Quello a esportare armamenti ai Paesi in stato di conflitto armato, i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, a Paesi che alimentano il terrorismo internazionale o non offrono garanzie sufficienti riguardo alla destinazione finale, a Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della nostra Costituzione e, ai Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo delle forniture belliche. Se invece guardiamo ai Paesi destinatari di armamenti troviamo, solo per citare i principali, il Qatar, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti e anche l’Egitto. Insomma paesi in cui le reiterate e gravi violazioni dei diritti umani sono normali».
E come mai nonostante abbiamo una buona legge frutto di “conquiste sul campo” succede questo?
«La
legge n. 185/1990 [pdf] regola il commercio di armi militari secondo tre specifiche direttrici: subordina le decisioni sulle esportazioni e i trasferimenti di armamenti alla politica estera e di difesa dello Stato "secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art. 1) ed elencando una precisa serie di divieti, introduce un sistema di controlli da parte del Governo, prevedendo procedure di rilascio di autorizzazioni prima della vendita e meccanismi di verifica sulla destinazione finale degli armamenti, infine richiede una dettagliata informazione al Parlamento e all'opinione pubblica attraverso la pubblicazione di una Relazione annuale da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri».
«Uno degli aspetti più rilevanti e importanti di questa legge è l’introduzione di questa
trasparenza nella materia, fino ad allora segnata da un “segreto di stato”, dunque sottratta al Parlamento e alla società civile. Eppure, con il passare degli anni, tutto il sistema di trasparenza si è progressivamente eroso. E’ evidente che le autorità governative e statali italiane, nonostante le norme nazionali e internazionali sottoscritte, considerano le esportazioni di armamenti una materia su cui limitare fortemente l'informazione al pubblico. E questo non riguarda solo l’Italia. Tutti gli Stati europei preferiscono continuare a fare affari di armi con dittatori e tiranni senza troppi controlli e l'informazione pubblica è un ostacolo al lucroso business che coinvolge anche aziende a controllo statale come Leonardo, ex Finmeccanica, o Fincantieri».
Il sottotitolo del tuo libro parla di Falsi Miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata. Cominciamo da qualche falso mito…
«
Il primo falso mito da sfatare è che è un settore che crea occupazione. Nella mia ricerca dimostro che – al contrario di quanto afferma la lobby delle armi, la percentuale rispetto al Prodotto interno lordo italiano dell'industria delle armi e munizioni rappresenta lo 0,03% del Pil (dati 2019). Una percentuale - come si può notare - alquanto modesta».
«Un altro è che l’Italia avrebbe norme tra le più rigorose in Europa per quanto riguarda il possesso e la detenzione di armi. Di fatto non è cosi. A differenza di quanto viene fatto credere, in Italia è abbastanza semplice ottenere una licenza per armi, anche questo nel libro lo spiego bene.
Un altro grande, falso mito è quello che gli italiani si armano perché hanno paura…»
Beh, ma è questo la percezione che si ha, soprattutto dai media
«Ma sì, è la narrazione che ci propinano…
È la fabbrica della paura che soprattutto la televisione alimenta. L’insicurezza è sentimento diffuso nella popolazione italiana, per motivi diversi. Ma trova in alcuni programmi televisivi una cassa di risonanza. Crimini come gli atti di violenza e gli omicidi per furti e rapine nelle abitazioni che sono fenomeni gravissimi ma – come tantissimi dati ufficiali ci dicono - statisticamente marginali, invece vengono di conseguenza percepiti come vicini, continui. L’insicurezza, dunque, non è basata sulla realtà dei fatti, ma sulla percezione della realtà. Non è un caso che a sentirsi più insicuri siano le persone con un basso livello di istruzione e gli anziani, cioè coloro che attingono gran parte delle proprie informazioni dalla televisione e dai rapporti di vicinato, che tendono a ripetere e amplificare proprio le notizie ricevute dalla televisione.
L’ultimo falso mito è che gli italiani si stiano armando».
Non è vero?
«Nessuno sa con precisione quante siano le armi legalmente detenute nelle case degli italiani e nemmeno quanti italiani abbiano una licenza per possedere regolarmente delle armi. È una grave mancanza che andrebbe colmata al più presto: sappiamo con certezza quanti italiani hanno una patente di guida e quante auto vengono immatricolate e circolano in Italia mentre mancano dati ufficiali sul possesso e la detenzione legale di armi».
Uno dei quattro tir con i simboli dell'esplosivo, scortati da sicurezza privata, trasportano 1.000 bombe destinate all'Arabia Saudita", 21 Novembre 2015.
Foto di ANSA/ MAURO PILI
La nave-cargo saudita Bahri Yambu, piena di armi per l'Arabia Saudita, viene bloccata nel porto di Genova il 20 maggio 2019
Foto di Luca Zennaro - Ansa
Il sit-in dei pacifisti della Tavola Sarda della Pace davanti alla fabbrica di armi Rwm di Domusnovas, nel Sulcis Iglesiente, 29 ottobre 2016.
Foto di ANSA/ ROBERTO MURGIA
«In più con
una semplice licenza di porto d’armi per tiro al volo o per la caccia si possono acquistare tre armi comuni, con caricatori fino a 20 colpi di cui se ne può detenere un numero illimitato e senza obbligo di denuncia; 12 armi classificate come sportive che non sono quelle di fattura un po’ particolare che vediamo alle olimpiadi, ma che comprendono i fucili semiautomatici AR-15, i più usati nelle stragi negli Stati Uniti, e in questo caso con caricatori fino a dieci colpi detenibili in numero illimitato e senza obbligo di denuncia, e un numero illimitato di fucili da caccia. Tutte le armi che vengono acquistate devono essere segnalate alle autorità di pubblica sicurezza, ma come si può vedere è possibile possedere un vero arsenale con relative munizioni. Sono norme che sembrano fatte apposta per favorire i produttori e i rivenditori di armi più che la sicurezza pubblica».
Tu sai che c’è una campagna, “per un Ministero della Pace”, portata avanti da una serie di Associazioni, Apg23, Azione Cattolica, etc… Quanto sarebbe utile un Ministero della Pace?
«
Il Ministero della Pace è proprio quello di cui abbiamo bisogno. E’ un’idea sostenuta da tante associazioni, tra cui la Rete Italiana Pace e Disarmo. Così come abbiamo un ministero della difesa. C’è tutta una parte di promozione della Pace totalmente sguarnita: tutta la parte di formazione ed educazione alla Pace, formazione nella scuole… e poi tutta la parte che riguarda il controllo sulla produzione e commercio di armamenti: un lavoro che andrebbe fatto in ambito istituzionale. E poi tutto il campo che riguarda la promozione della Pace attraverso mezzi pacifici: diplomazia, educazione nonviolenta etc. Nello stesso tempo c’è il campo del controllo della spesa militare, con capitoli di spesa incomprensibili».