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29 Maggio 2024
Ultima modifica: 29 Maggio 2024 ore 09:51

Giornata dei peacekeeper. Quando l'ONU chiese di fermare la guerra in Palestina

Si celebra oggi la Giornata internazionale dei peacekeeper. Da una rapida escursione sul web, sembra che nessuno, a parte ONU Italia, se ne sia accorto.
Giornata dei peacekeeper. Quando l'ONU chiese di fermare la guerra in Palestina
Foto di Archivio Operazione Colomba
La Giornata venne istituita dall'ONU il 29 maggio del 1948 in occasione della prima operazione in Palestina. L'obiettivo era fermare la guerra e accompagnare la nascita dei due Stati: Israele e Palestina. Qualcosa evidentemente non ha funzionato.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, stabilì con la risoluzione 57/129, il 29 maggio come Giornata internazionale dei peacekeeper delle Nazioni Unite. Proprio quel 29 maggio del 1948 nacque infatti la prima operazione di peacekeeping delle Nazioni Unite, la United Nations Truce Supervision Organization (UNTSO), che iniziò le sue attività in Palestina.
Il Consiglio di Sicurezza chiese la cessazione delle ostilità in Palestina e decise che la tregua sarebbe stata monitorata da mediatori delle Nazioni Unite assistiti da un gruppo di militari che avrebbero avuto esclusivamente un ruolo di osservatori, ma ciononostante il conflitto si riaccese, e la nascita ufficiale dei due Stati in Palestina fissata dall'ONU nel 1948 non ebbe mai luogo.
Israele nacque come Stato sovrano mentre la Palestina, pur riconosciuta come Stato osservatore in seno all’Assemblea dell’Onu, non è ancora Stato membro di pieno diritto, e purtroppo questa giornata mondiale del peacekeeping è oggi una ricorrenza tragica.

La guerra è il risultato di una cattiva politica

A fronte del sanguinoso conflitto in Medio Oriente ed alle indicibili violazioni dei diritti umani fondamentali che vengono perpetrate e di ciò che parimenti accade alle porte dell’Europa assistiamo al fallimento della politica. La guerra è infatti sempre una tragedia a cui porta il cattivo uso della politica in tutte le sue forme deviate che ostacolano il cammino dell’umanità verso la risoluzione nonviolenta delle controversie internazionali e nazionali.
Molto è stato fatto nel seno delle Nazioni Unite per promuovere il peacekeeping come strumento internazionale per aiutare i Paesi tormentati dai conflitti a creare nuove condizioni per ristabilire la pace, ma sicuramente l’assenza di un’univoca ed organica normativa in materia è stata la fragilità di queste operazioni che, con un’accorta organizzazione e nel rispetto dei limiti posti dalle norme internazionali, avrebbero potuto costituire uno strumento importante per la pace e la sicurezza globale. 

Dalle operazioni militari a quelle civili

Il peacekeeping di prima generazione nasce infatti a carattere di tipo militare e armato, ma solo a partire dalla fine del secolo scorso, ha sostanzialmente registrato l’assegnazione di nuovi compiti alla compagine civile con l’entrata in scena di operazioni a supporto della pace svolte in modo istituzionale da operatori civili e soprattutto da attività che da molti anni vengono svolte in modo non istituzionale da varie realtà del mondo associativo.
L’esperienza e la pratica dei civili peacekeeper costituiscono ad oggi un patrimonio inestimabile che è stato in grado di offrire contenuti importanti alla definizione di vie di dialogo anche in situazioni di crisi molto complesse. 

L’importanza della multitrack diplomacy 

Possono inserirsi attivamente anche nella cosiddetta multitrack diplomacy come sistema diplomatico globale e sinergico che coinvolge una molteplicità di attori per la trasformazione del conflitto in tutte le sue fasi, prima, durante e dopo il verificarsi della violenza: la trasformazione dei conflitti non può essere lasciata soltanto al piano istituzionale governativo: solo così è possibile pensare a una soluzione sostenibile e di lungo periodo.
Non a caso il tema della Giornata mondiale di quest’anno – Fit for the future, building better together comprende anche una riflessione di progresso verso l’azione con forti partnership, Stati membri, società civile, attori umanitari, media e molti altri attori, per una risposta più robusta, olistica e collettiva alle minacce alla sicurezza di oggi e di domani.
 
Una pace sostenibile e una prevenzione duratura dei conflitti potranno essere raggiunte solo se i negoziati di pace e la loro attuazione saranno davvero inclusivi e solo se tutti i segmenti della società – a partire dai giovani e dalle donne – saranno in grado di far sentire la propria voce e contribuire al futuro della società in cui vivono.