Foto di EPA/JEAN MARC HERVE ABELARD
Le forze di polizia internazionali non riescono a contenere gli attacchi via terra e via mare delle gang. Escalation di violenza all'interno del Paese caraibico e alle frontiere dove già a inizio ottobre sono state deportate oltre 6.500 persone haitiane dalla Repubblica Dominicana. I vescovi lanciano l'appello perché sia rispettata la dignità umana.
Più di 10.000 haitiani sono stati costretti ad abbandonare le loro case nell’ultima settimana, mentre le gang colpiscono le aree periferiche di Port-au-Prince. Più a nord, nel dipartimento di Artibonite si contano le vittime e i danni degli attacchi della banda Gran Grif.
Un elicottero delle Nazioni Unite è stato colpito giovedì scorso dalle gang armate costringendolo ad atterrare nella capitale Port-au-Prince. Secondo quanto riportato dall'Associated Press, sono sbarcati sani e salvi i tre membri dell'equipaggio e 15 passeggeri coinvolti nell’attentato. Gli elicotteri delle Nazioni Unite hanno il compito di consegnare cibo e aiuti nelle comunità isolate dalle strade e in luoghi governati da bande armate.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è allarmato. Gli sfollati stanno cercando rifugio in campi improvvisati all'interno di scuole, chiese e centri sanitari. Il 40% della popolazione haitiana vive in condizioni di estrema povertà secondo i dati pubblicati pochi giorni fa dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite e dalla Oxford Poverty and Human Development Initiative ad Haiti. E anche per questo, nel corso del 2024 migliaia di haitiani hanno cercato rifugio nel Paese vicino, la Repubblica Dominicana.
Case e auto bruciate, minori reclutati: le gang non si fermano
In queste settimane, la violenza delle gang incute nuovamente terrore soprattutto a nord della capitale, costringendo donne, bambini e giovani a nascondersi per non essere uccisi o arruolati. A Ponte-Sondé – comune ad un centinaio di chilometri dalla capitale – il 3 e 4 ottobre case ed auto messe a fuoco dagli uomini della banda Gran Grif. Circa una settantina le vittime. Lo scorso 9 ottobre altre 115 vite spezzate, a suon di fucili automatici e pistole. La missione internazionale per la sicurezza, che prevede a novembre l’impiego di 600 poliziotti kenioti in più per sostenere la polizia nazionale haitiana, sembra non riuscire più ad arginare questi attentati.
Gran Grif è una delle bande criminali più efferate di Haiti e il dipartimento dell’Artibonite, area prevalentemente agricola, è la più colpita. Gli attentati sono all’ordine del giorno. Gli attacchi sono una risposta alla resistenza degli abitanti che si rifiutano di pagare una tassa alla gang per la circolazione dei veicoli sulla strada nazionale 1 che attraversa la città da nord a sud. Quest’area che rappresenta il granaio di Haiti è ora in ginocchio. Qui la violenza è senza freno: in un anno secondo la Piattaforma delle donne per lo sviluppo di Artibonite (PLAFODA) ha contato circa 1500 casi di stupro nel dipartimento. Tra le attività della gang anche esecuzioni extragiudiziali, reclutamento di bambini, rapine, distruzione di proprietà, rapimenti e dirottamenti di camion. Chi viene rapito è sistematicamente torturato e sottoposto a gravi abusi ovvero stupro di gruppo e morte quando il riscatto non viene pagato.
Ma chi viene reclutato ed è bambino non ha una vita meno traumatica: bimbi di 8-10 anni, specie gli orfani che vivono per strada sono addestrati per il conflitto armato. I ragazzi sono comunemente utilizzati come informatori e addestrati con fucili carichi in mano. Le ragazze subiscono abusi e sono spesso costrette alla servitù domestica. Se restano incinte vengono abbandonate alla sorte.
Gli haitiani fuggiti nel Paese vicino, rimpatriati con la forza. L’appello di vescovi e religiosi
In questo mese di ottobre, il governo della Repubblica dominicana ha iniziato a respingere i rifugiati haitiani, secondo le testimonianze dei gesuiti impegnati coi migranti, senza alcun rispetto della dignità umana. Si tratta di «uomini, donne e bambini deportati al confine. Troppo spesso – denuncia padre Germain Clerveau, direttore del Servizio dei gesuiti per i migranti - vengono maltrattati, stipati in camion chiusi, feriti e trattati come semplici merci prima di essere rimpatriati a forza ad Haiti». Tra questi deportati inoltre non ci sono solo haitiani, ma anche dominicani di origine haitiana e dominicani di colore che non hanno mai messo piede ad Haiti.
Anche i vescovi della Repubblica dominicana la scorsa settimana hanno lanciato un appello a fermare i maltrattamenti nel respingere i migranti di nuovo nell’inferno haitiano. «La nostra frontiera non deve essere uno scenario di corruzione in cui i deputati a custodirla si trasformano in mercenari – si legge nella nota. Ci chiediamo: chi sono quelli che permettono di entrare senza la debita documentazione? Cosa succede durante il processo di detenzione di coloro che sono privi di documenti?». E denunciano «il trattamento ingiusto, le deportazioni arbitrarie e le separazioni familiari... Ricordiamo che abbiamo esteso la nostra mano solidale al popolo haitiano di fronte a qualsiasi catastrofe e, pertanto, dobbiamo mantenere questa attitudine caritativa».
La situazione nel Paese è sempre più grave e per questo è ancora più devastante ritornare nell'inferno del Paese caraibico anche a detta di Maddalena Boschetti, missionaria genovese in terra haitiana. «Passare la frontiera in direzione dominicana è un affare gestito da trafficanti di persone che operano soprattutto fra Fort Liberté e Santiago (città della frontiera nord). Raggruppano persone che desiderano passare il confine e lo attraversano con motociclisti-tassisti dominicani che conoscono percorsi alternativi alle zone non urbanizzate. Per questa breve tratta chiedono circa 400 dollari a persona. Le persone forzatamente espulse sono per lo più haitiani già da tempo nella Repubblica Dominicana, ma che non riescono a pagare più la tassa mensile (e che risultava troppo onerosa per i piccoli introiti di chi in pratica lavora solo per pochi spiccioli). Oggi, se non vengono identificati, devono restare nella totale clandestinità, non possono più esporsi perché altrimenti vengono rinviati alla frontiera, abbandonati a se stessi».
Un ulteriore appello per fermare le violazioni dei diritti umani dentro e fuori dal Paese già martoriato da calamità naturali e ora più che mai dalla violenza dei giovani reclutati nelle bande armate.