17 missionari americani sono stati rapiti nel weekend in un'imboscata ad Haiti. I rapimenti nel Paese sono all'ordine del giorno. Ma la burocrazia sta impedendo ad famiglia missionaria della Comunità Papa Giovanni XXIII di lasciare il Paese. Fuori dalla casa famiglia le bande armate si contendono il quartiere. Una giovane madre firma l'abbandono del figlio per affidarlo ai missionari.
La decisione di firmare l'abbandono del proprio figlio, nel cuore, è già presa. Forse non è del tutto consapevole, per la giovane età e per la vita semplice condotta dalla giovane mamma haitiana nei suoi 25 anni di vita, ma il ricordo del terremoto del 14 agosto fa ancora tremare le gambe. La Cattedrale di Jeremie, cittadina nella quale B.J. abita, è crollata mentre era in corso una funzione religiosa. Attraverso le macerie, con mezzi pubblici e di fortuna, la ragazza ha percorso i 300 chilometri che la separavano dalla casa famiglia di Croix de Bousquet, quartiere di periferia della capitale Port-au-Prince, attraversando un Paese al collasso.
Non posso davvero immaginare il dramma di queste madri nel decidere di abbandonare i propri figli
Valentina Cardia
«Io non sono in grado di prendermi cura di mio figlio. Sono più di 2 anni che B.G. fa parte della vostra famiglia. Vorrei che rimanesse con voi». Il tono è sommesso; la giovane, madre di altri 4 bambini, si rivolge in creolo a Valentina Cardia, missionaria della Comunità Papa Giovanni XXIII (Ascoltala su Radio Rai al minuto 13.20). Il tempo sta stringendo perché dopo l'uccisione a luglio del Presidente di Haiti Jovenel Moïse, bande armate si contendono il controllo del Paese. I rapimenti sono all'ordine del giorno. Valentina, insieme al marito haitiano Segulnord Jean, con 3 figli naturali di 1, 3 e 9 anni, in compagnia di 3 nipoti orfani accolti, ha deciso di trasferirsi al sicuro appena possibile, nella vicina Repubblica Dominicana.
B.G. è uno dei nipoti accolti; ha 14 anni ed è orfano del padre, fratello di Segulnord. Valentina l'aveva visto per la prima volta fra le braccia della nonna quando il ragazzino aveva 3 anni, nella baraccopoli. E poi, dopo le 3 settimane di campo estivo del 2019, organizzato dalla casa famiglia, è rimasto a vivere con la coppia di zii missionari.
Ti abbraccio e ti lascio andare
Il primo incontro fra madre e figlio è serioso: «Ad Haiti è così — racconta Valentina —, ci si esprime poco a livello fisico i sentimenti. La vita, la morte, un addio per sempre ad un figlio: qui è tutto normalità. Le abbiamo chiesto di non sparire un'altra volta: contiamo che possa mantenere una relazione con il figlio anche in futuro, che si possano rincontrare. Dalla Repubblica Dominicana faremo il possibile per mantenere vive le relazioni familiari».
Nella casa di Port-au-Prince resteranno alcuni volontari a garantire alcuni servizi al quartiere: la casa famiglia fornisce borse alimentari e acqua potabile alle famiglie intorno.
Nel frattempo la banda armata 400 Mawozo ha dato l'ultimatum agli agenti di polizia perché lascino Croix de Bousquet. Già dalla morte del Presidente barricate e scontri incendiano periodicamente Haiti; si esce di casa solo per estrema necessità.
Valentina, che è nativa della provincia di Varese e ha 35 anni, si sfoga: «Speriamo che uomini armati non arrivino alla nostra casa. Da oltre due mesi abbiamo deciso di partire, ma è la burocrazia a fermarci. Viviamo uno stato di continua tensione e di stress, più che di paura, e non sappiamo quanto ancora ci vorrà. Io e mio marito cerchiamo di guardare avanti: ogni giorno prepariamo l'uniforme dei bambini, i loro libri; cerchiamo di farli arrivare a scuola. Non abbiamo momenti di svago, non possiamo fermarci mai con qualcuno a parlare».
Una burocrazia impossibile
La decisione della madre di B.G. di firmare l'abbandono del figlio è necessaria per permettere alla coppia missionaria di richiedere per lui il passaporto e per permettergli di lasciare il Paese, ma quando B.J. mostra i documenti, ecco l’imprevisto.
Il nome della madre sull’atto di nascita di B.G. è un altro. La mamma, B.J., aveva 14 anni quando il figlio è nato; troppo giovane anche per Haiti. Sul documento era stato messo dunque il nome della nonna. Serviranno altri documenti, altri passaggi.
Per lasciare il Paese senza affidarsi a trafficanti la famiglia missionaria ha deciso di farsi aiutare dall'esterno, ricorrendo anche ad un crowdfunding (Per info: segreteria.condivisione@apg23.org): servono oltre 2000 dollari americani per pagare i passaporti, i visti, legalizzare i documenti, chiedere i fogli di via al tribunale e agli enti che si occupano dei minori. Poi serviranno altri 1500 dollari per il volo aereo.
Inferno americhe, per i profughi in fuga da Haiti
Gli altri haitiani, se non possono permettersi queste spese, fuggono dal rischio dei rapimenti come possono. Spiega Valentina: «Pagano qualcuno alla frontiera con la Repubblica Dominicana, poi puntano verso gli Stati Uniti con pericolose imbarcazioni di fortuna. Altri vanno a Santo Domingo dove chiedono un visto per il Messico. Altri ancora raggiungono in aereo l’Ecuador, dove non viene richiesto un visto agli haitiani. E poi attraversano tutti i rischi dell’America Centrale verso le speranze del Nord». I più fortunati riescono ad arrivare ai territori di respingimento degli U.S.A. A metà settembre, al confine, oltre 10.000 erano le persone ammassate sotto ad un ponte.
I numeri dell'emergenza
Raggiungiamo al telefono sull’isola Clara Zampaglione, referente di Caritas Italiana ad Haiti:
«Più di 700 mila persone sono in stato di urgente bisogno; 50.000 abitazioni sono state distrutte dal terremoto. La popolazione, già estremamente povera, è debilitata. Stiamo andando verso situazioni di malnutrizione estrema. Acquedotti e cisterne sono distrutti; la difficoltà di reperire acqua potabile porterà alla diffusione di epidemie. Abbiamo destinato ad Haiti 1 milione di euro che verranno amministrati dalle Caritas locali, ma non è possibile inviare aiuti via terra. Bande armate si finanziano con i rapimenti di persona, bloccano le strade, decidono cosa può passare e cosa si trattengono. Di tutto questo fanno le spese le donne, vittime di violenza nei campi di accoglienza provvisori, e le fasce più deboli della popolazione. Questi primi aiuti sono destinati ai bisogni primari; stiamo però iniziando a pensare al dopo, a come ricostruire il Paese. Ad esempio finanzieremo progetti di microcredito alle famiglie».
B.J. ha deciso di rimanere nella casa famiglia per un paio di settimane, prima di ritornare a Jeremie. Nel frattempo aiuta con i lavori di casa, lava i vestitini delle due bambine più piccole; nella relazione con il figlio B.G. ha le attenzioni più di una sorella maggiore che di una madre.