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I vescovi del Kenya, incluso l'arcivescovo di Nairobi, Philip Arnold Anyolo, si sono uniti al sostegno dei giovani che, nelle ultime settimane, hanno manifestato in piazza. Queste proteste, di grande rilevanza politica, superano la semplice contestazione dell'aumento delle tasse e diventano un modello anche per i giovani di altri Paesi.
A fine giugno molti amici dall’Italia mi chiedevano preoccupati come fosse la situazione in Kenya: le proteste e i disordini scoppiati a Nairobi e in varie città sembravano preannunciare un’allarmante instabilità politica. Io credo invece che sia iniziato un periodo di risveglio di popolo, guidato dai giovani, la Gen Z, che hanno iniziato e animato la protesta, organizzandosi sui social, dando vita a qualcosa di inedito nella storia recente del Paese.
Una protesta dal basso, non guidata da alcun partito politico, e soprattutto non su base tribale, bensì trasversale in tutto il Paese.
Oggetto della protesta, il Finance Bill, votato in Parlamento, una serie di tasse assurde, in linea con le politiche del Fondo Monetario Internazionale, che sarebbero andate a pesare sulle spalle della gente.
I giovani, però, hanno detto basta, e hanno iniziato una serie di proteste pacifiche culminate con l’occupazione del Parlamento, non senza vittime, per la reazione violenta delle forze dell’ordine.
Anche noi siamo andati in strada a fianco dei giovani. In mezzo a tanti manifestanti pacifici, c’erano i soliti violenti venuti solo per fare confusione e sfogare la rabbia. Ma l’anima pacifica della protesta c’era, e il risultato è stato portato a casa. Il presidente William Ruto ha fatto un passo indietro e il Finance Bill non è stato firmato.
Inoltre Ruto ha accettato di mettersi in dialogo con i giovani, facendo un paio di incontri su X (ex Twitter), con migliaia di persone collegate.
Nutro la speranza che questa protesta vada oltre e diventi movimento di cambiamento per il Paese, movimento pacifico che ribalti il sistema endemico di privilegi e corruzione della classe politica, sistema che si estende come un cancro in tutto il Kenya.
Qualcosa di nuovo sta iniziando e il sistema comincia a scricchiolare. Il messaggio è arrivato forte e chiaro: «Cara classe politica, è finito il tempo in cui potevate fare quello che volevate, la gente è stanca e non vuole più stare zitta».
Questo movimento della Gen Z è stato d’ispirazione anche per altri Paesi africani come la Nigeria e l’Uganda, dove purtroppo c’è stata una repressione fortissima. Forse ci vorranno decenni perché sorga una nuova classe politica che non sia corrotta, né tribale, che pensi al bene del Paese e non al proprio tornaconto, ma il seme è gettato e potrebbe far germogliare un cambiamento in tutto il continente.
E quindi, a chi mi chiede come stiamo in Kenya, rispondo e mi chiedo: «Ma come state voi, noi, in Italia? Dove la cultura di popolo e di solidarietà è quasi scomparsa, dove l’individualismo trionfa, dove i diritti degli ultimi non sono più una priorità, dove fra i giovani regna ormai una calma piatta?».
Guardiamo questi giovani kenyani. Potrebbero essere d’ispirazione anche per tutti noi.