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25 Ottobre 2024
Ultima modifica: 25 Ottobre 2024 ore 11:22

I pericoli del DDL Sicurezza

Perché è stata definita "legge anti Gandhi" e cosa potrebbe succedere a chi attua proteste nonviolente.
I pericoli del DDL Sicurezza
Foto di RICCARDO ANTIMIANI
Già approvato alla Camera, il DDL Sicurezza è ora in discussione al Senato. Ma su alcuni punti c'è forte dissenso. L'avv. Laila Simoncelli ci aiuta a comprendere le problematicità del disegno di legge, soprattutto per chi è impegnato a difendere i diritti civili.
Questo mese al Senato è iniziata la discussione del "DDL Sicurezza", ovvero il disegno di legge sulle Disposizioni in Materia di Sicurezza, approvato alla Camera il 19 settembre, dopo quasi otto mesi dalla sua presentazione.
Si tratta di un testo molto complesso che si divide in diversi aspetti relativi alla sicurezza dei cittadini e dei pubblici ufficiali, comprendendo ad esempio la sicurezza stradale e quella pubblica, il tema della criminalità organizzata e quello del terrorismo. Al suo interno - tra ben 38 articoli divisi in 6 capi - sono proposte alcune modifiche di legge che hanno scatenato non poco dissenso nelle opposizioni e in parte della popolazione, la quale ha già iniziato a protestare nelle piazze e online, attraverso raccolte firme e social network.

Una legge "anti Gandhi"

Principalmente, il contrasto dei cittadini è nato a causa di alcuni articoli che andrebbero a intaccare la libertà di protestare e che hanno conferito al DDL il soprannome di "legge anti-Gandhi". Nonostante il testo di legge contenga diversi temi che andrebbero analizzati, in questo articolo ci concentreremo sulle problematiche relative alle proteste e alle offese a pubblico ufficiale. Per fare maggiore chiarezza sui punti più discussi, è fondamentale analizzare il testo ufficiale del DDL e comprendere quali sono le implicazioni giuridiche che ne derivano. In altre parole: perché e come questo disegno di legge intaccherebbe i nostri diritti? Con tale obiettivo, abbiamo chiesto alcune specificazioni in merito all’avv. Laila Simoncelli, responsabile del servizio Diritti umani e Giustizia della Comunità Papa Giovanni XXIII e consulente per la rappresentanza all’ONU della Comunità.

Il disegno di legge proposto andrebbe ad ampliare le pene esistenti e ad inasprirne altre, tra cui anche quelle legate alle proteste in strada e alle rivolte e “resistenze passive” nelle carceri e nei CPR (Centri di permanenza per i rimpatri).
«Ritengo sia un programma di riforma della giustizia che rivela nel suo complesso e nelle singole norme una matrice securitaria e punitiva, con un’impronta eccessivamente autoritaria» commenta l’avv. Simoncelli, specificando che «Non sarà la previsione di nuovi reati anche per la mera resistenza passiva e l’aumento delle pene dei reclusi, la modalità punitiva e securitaria per il dissenso e la protesta, che potrà portare più sicurezza, inoltre l’aggravamento di pene per le proteste passive e nonviolente non fa che rendere le nuove generazioni sempre più lontane dalla politica
Ciò che effettivamente emerge dal disegno di legge è una tendenza a voler punire anziché risolvere le situazioni problematiche. Sebbene in grado di limitare gli effetti di una protesta, l’approccio punitivo non risolve le cause che l’hanno generata; anzi, si rischia di gonfiare ulteriormente lo scontento e l’aggressività.

Il testo di legge: i punti più controversi

  • Art. 14. Si propongono alcune modifiche all’art. 1-bis, ovvero viene proposto di modificare la pena per coloro che impediscono la libera circolazione su strada (vengono aggiunte le ferrovie) con il proprio corpo: anziché una sanzione amministrativa da 1.000 a 4.000 euro, chi manifesta occupando o intralciando zone di circolazione sarà punito con la detenzione fino a un mese e una multa fino a 300 euro; tuttavia, se sono presenti più persone, la pena è dai sei mesi ai due anni di detenzione. «Gli attivisti dovranno fare molta più attenzione ed essere consapevoli di questo e chiaramente avere coscienza che muoversi senza modalità autorizzate o con proteste spontanee anche con forme passive, come sit in che possano causare intralcio alla circolazione, può costituire reato» afferma Laila Simoncelli. La problematicità sta nel rendere una forma di manifestazione non-violenta punibile con la detenzione, al fine di dissuadere dalla nascita manifestazioni spontanee e non autorizzate.
  • Art. 19. Si modificano gli articoli 336, 337 e 339 che puniscono rispettivamente la violenza o minaccia contro un pubblico ufficiale durante il servizio (336), la resistenza a pubblico ufficiale durante il servizio (337) e la violenza o minaccia anche fuori dal servizio (339). La pena attualmente prevista è dai sei mesi ai cinque anni di reclusione per gli art. 336 e 337 e da uno a cinque anni per l’art. 339. La modifica del DDL, oltre ad aumentare di un terzo la pena, specifica che vi è un’aggravante se questi reati sono commessi «al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica», come ad esempio la TAV o il ponte di Messina. L’avv. Simoncelli spiega che «appare piuttosto illogico il fatto che sia il tema della protesta ad aumentare la pena. Diciamo che sicuramente ed evidentemente lo scopo è quello di disincentivare certe tipologie di proteste
  • Art. 24. Per quanto riguarda gli atti di deturpamento e imbrattamento di beni mobili ed immobili pubblici, regolato nell’art. 639, viene aggiunta questa aggravante: «Se il fatto è commesso […] con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene, si applicano la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi e la multa da 1.000 a 3.000 euro». Un reato minore, già punito dalla legge, diventa più grave solo per il fatto di recare offesa alle istituzioni statali, dedicando allo Stato una tutela eccessiva contro le offese al “prestigio” ed “onore”.

CPR e carcere, cos’è la “resistenza passiva”?

Il tema delle carceri e dei CPR racchiude un elemento degno di attenzione. Negli art. 26 e 27 del DDL Sicurezza viene introdotto il reato di rivolta, punito con la reclusione da uno a cinque anni per chi «partecipa ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza». Il punto che ha suscitato più discussione riguarda la parte successiva, che recita: «costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che, […], impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza».  
Laila Simoncelli specifica che «è particolarmente grave per i luoghi specificati dal decreto poiché carceri e CPR sono stati spesso al centro di proteste per le condizioni di vita degradanti al loro interno. […] la nuova norma sanziona anche queste con la stessa forza di quelle violente con una evidente mancanza di proporzionalità.», infatti la resistenza passiva è considerata una forma di protesta nonviolenta e potrebbe anche essere l’occupazione pacifica di spazi comuni. Tale modifica andrebbe a ledere gravemente il diritto di manifestare che tutti i cittadini hanno, compresi i detenuti e gli immigrati rinchiusi nei CPR, che sono costretti a vivere in una sottospecie di carcere nonostante non abbiano commesso reati se non quello di sbarcare sulle nostre coste. Ciò che preoccupa è l’approccio che è stato adottato per gestire le condizioni degradanti nei citati centri detentivi. Simoncelli sottolinea che «negli ultimi mesi alcune di queste strutture sono state poste sotto indagine dalla magistratura per abusi, cattiva gestione e condizioni inumane». Con tale modifica invece che risolvere la fonte del problema, ovvero condizioni degradanti e stress che istigano aggressività, si cerca di soffocarne l’effetto violento. È importante ricordare però che punire un comportamento non risolve ciò che lo ha generato, e questo vale per ogni tipologia di protesta.

La discussione in Senato riguardo il tema carcere

Riguardo gli articoli appena citati, il 17 ottobre, durante le audizioni in merito all’esame del DDL 1236, viene data la parola a Donato Capece, Segretario generale del SAPPE (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), il quale afferma che troppe persone si sono tolte la vita e il sovraffollamento agisce su questo dato, aggiungendo che le condizioni inadeguate del carcere sono alla base di molti atteggiamenti aggressivi, in un contesto dove molte persone soffrono di disturbi psichiatrici o di tossicodipendenza e che «in genere, non dovrebbero nemmeno essere in carcere», dalle parole di Capece.
Mentre si esprime a favore dell’inserimento del reato di rivolta, che potrebbe rappresentare uno strumento di “dissuasione” per chi organizza le rivolte e le strumentalizza, Capece non risponde alle preoccupazioni di alcuni senatori che esprimono dubbi sul testo di legge. Il senatore Bazoli ricorda il rischio che l'aumento delle pene riduca il numero di detenuti in uscita, peggiorando il sovraffollamento e le condizioni di stress. Inoltre, chiede se parificare le pene per resistenza passiva e per rivolta violenta possa incentivare l’uso di violenza, essendo punibile allo stesso modo della nonviolenza. «Le soluzioni proposte vanno a intervenire sugli effetti, ma per curare le cause?» aggiunge il senatore Cataldi, suggerendo che si possono sedare le rivolte, ma sarebbe meglio risolvere i problemi che le causano. Purtroppo, a causa del tempo limitato, Capece non ha risposto a questi dubbi, che restano ancora irrisolti all’interno dell’aula e negli ascoltatori.