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9 Giugno 2019

Pericolo cyberbullismo

Una scrittrice e una psicologa raccontano il web e le sue insidie, e suggeriscono a genitori ed educatori come vigilare
Pericolo cyberbullismo
Foto di sdecoret - Adobe Stock Photo
Giovani fragili, che si perdono nei meandri dei social rischiando non solo sul piano virtuale; giovani forti, che sanno pescare dalla rete nuove informazioni e inventare nuove professioni; e poi tutti gli altri, che oscillano tra pericoli e opportunità. Se ne occupano gli studiosi, ma anche qualche scrittore, che affronta il tema in maniera differente.

«Come genitore, come persona adulta, come giornalista, non potevo accettare quello che vedevo nei filmati che di tanto in tanto vengono diffusi sui mezzi di comunicazione: videoregistrazioni di comportamenti violenti e ragazzi che ne traggono godimento. Ho sempre voluto – attraverso la scrittura – avvicinarmi alle persone che come Asia non sono popolari e rischiano di essere invisibili. Invece hanno una piccola luce che noi possiamo far diventare un sole. Ci sono ragazzi che come Asia riescono a “fare link” con gli adulti per aiutare il prossimo grazie al loro senso morale e alla loro sensibilità»
A parlare è Monica Sommacampagna, scrittrice veronese che ha recentemente dato alle stampe #cisonoanchio, un libro per cui ha ricevuto il primo premio per il romanzo edito a tema del Concorso Letterario Internazionale Città di Sarzana.

Un nuovo modo per parlare ai giovani

#cisonoanchio è il diario di Asia, una ragazzina di 13 anni che non va bene a scuola e vive dai nonni, in un mondo tutto suo. Un giorno, quando perde la connessione stabilita attraverso la chat via Telegram con il suo unico amico Cheng si mette in testa che sia scomparso. E qui parte la narrazione che intreccia pensieri, descrizioni del mondo reale, e chat sui social.
Una narrazione a più livelli come a più livelli è il mondo che popola molti giovani di oggi, con lo sguardo che si dirige ora al telefonino, ora (raramente) al mondo esterno, ora (ancor più raramente) alle risonanze interiori di questo intreccio.
L’autrice gira le scuole d’Italia e il testo in questione è utilizzato da alcuni insegnanti per leggerne alcune parti insieme ai ragazzi. A che scopo? «Nel mondo digitale c’è una superficialità che non c’è nell’incontro dal vivo. Prendi ad esempio gli episodi di bullismo, attraverso la tastiera e lo schermo non c’è la percezione di fare violenza» Attraverso il romanzo e questa particolare tecnica narrativa, continua l’autrice «Punto ad attivare l’empatia, e altre modalità relazionali di base, come l’esempio, l’esempio è fondamentale. Perché se noi diciamo le parolacce i ragazzi le imparano. Se noi siamo narcisisti loro cercano dei like, per questo motivo anche nel romanzo ho citato esempi positivi ed esempi negativi di adulti»
Eh già, gli adulti, perché si parla sempre di ragazzi, di adolescenti, di bambini, ma la questione web e social, con i suoi risvolti paradossali, riguarda anche gli adulti. Forse allo stesso modo, o forse un po’ meno ma semplicemente perché «Noi adulti – spesso – abbiamo il senso del limite. Loro hanno una personalità in formazione e spesso non hanno il senso del limite, diventano dipendenti. Dobbiamo imparare ad ascoltare, a vedere i segni deboli, una felpa lunga che non fa vedere la pelle, momenti di tristezza che non hanno apparente motivo».

I professionisti stiano aggiornati

Sono nuove frontiere sulle quali educatori, insegnanti, terapeuti, non sono del tutto preparati perché gli scenari cambiano velocissimamente e gli addetti ai lavori devono essere «sempre sul pezzo, è un lavoro estenuante» come sostiene Giuliana Guadagnini, psicologa e psicoterapeuta veronese che spesso accompagna l’autrice del libro.
In che cosa si differenzia – ad esempio – il bullismo classico da quello che avviene sul web? «In quello classico c’è – per così dire – uno standard di botte, ricatti, il mettere in soggezione la vittima, una minaccia fisica. Quella è la chiave. Se non porta le sigarette, se non sottrae i soldi ai nonni o ai genitori, teme di essere escluso o picchiato. Nel bullismo “cyber” abbiamo tutto quello che c’è in quello reale ma a causa della rete tutto viene amplificato, e non puoi tornare indietro. Quando sei potenzialmente davanti a milioni di utenti il tuo “non è vero, non è così” non conta più nulla».
Però attenzione – continua la psicoterapeuta – «A causa del cyberbullismo abbiamo smesso di parlare di bullismo classico, che è un fenomeno tuttora in atto. Bisogna tenere le antenne su sia sul bullismo cyber che quello classico, non bisogna abbassare la guardia».
Inoltre «si fa tanto parlare di questi fenomeni di violenza ma io sono molto preoccupata per altri fenomeni: l’adescamento, il sexting (l’atto di scriversi messaggi “spinti” e/o inviare foto e video a sfondo sessuale, molto in voga tra i giovani), che sono i più riportati dai media. Ma si pensi al “vamping”, quei ragazzini che non dormono mai o stanno fino a notte fonda sui social, o alla “nomofobia” (la paura incontrollata di rimanere sconnessi dalla rete. Termine formato col suffisso -fobia e un prefisso inglese, abbreviazione di no-mobile)».
«Condotte correlate a disturbi dell’umore, fobie, comportamento alimentare; sono malattie che arriveranno e per le quali non siamo preparati».

Il lato buono del web

Ma c’è anche qualcosa di positivo – chiediamo sempre alla psicoterapeuta – nella rete e nelle nuove tecnologie? «Certamente! Se usati in modo serio potrebbero addirittura fornire dei nuovi profili lavorativi. Pensa agli influencer, che fanno dei social il loro lavoro, che ci dedicano tempo ed energie. Dobbiamo puntare su quello, su farli riflettere sul loro futuro lavorativo, in cui è necessario costruirsi nel tempo anche una web reputation dignitosa. Si pensi a quando i social veicolano contenuti utili, a quanto necessitino di sviluppare la capacità di lavorare insieme su un unico obiettivo, alla capacità di allertare gruppi su problemi specifici e l’opinione pubblica su grandi temi (l’esempio del clima è di questi giorni). Puntare su questo permette in qualche modo di limitare la perdita delle relazioni».
«La rete non deve diventare il padrone a cui immolare il nostro tempo – spiega l’autrice Sommacampagna – Accelera le possibilità di interazione con gli altri. E allora prima dell’educazione digitale c’è l’educazione affettiva. Se c’è l’educazione all’affetto, alla relazione, anche la rete può essere un efficace mezzo di comunicazione».