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17 Maggio 2024
Ultima modifica: 17 Maggio 2024 ore 15:29

Il Papa a Verona abbraccerà i detenuti di Montorio. Intervista al diacono

Dopo "Arena di Pace", il 18 maggio a Verona il Papa incontrerà i detenuti del carcere di Montorio. La testimonianza di un detenuto e il pranzo insieme.
Il Papa a Verona abbraccerà i detenuti di Montorio. Intervista al diacono
Foto di ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Il papa per il Giubileo 2025 aprirà una porta santa anche in un carcere. La Chiesa è vicina a chi soffre. Dentro c'è tanta solitudine, sofferenza. L'intervista al diacono Luciano Berlaffa.
Papa Francesco arriverà a Verona sabato 18 maggio, facendo tappa intorno a mezzogiorno nella Casa circondariale di Montorio per incontrare i detenuti. Questo istituto, come riporta il report dell'associazione Antigone, è uno dei dieci più sovraffollati d'Italia, ospitando 567 persone su una capienza regolare di 335 e accogliendo individui di 40 nazionalità diverse. Negli ultimi sei mesi si sono verificati cinque suicidi.

 
Il Papa ha sempre mostrato particolare attenzione verso questa parte dell'umanità, portando loro un segno concreto di vicinanza. Per il Giubileo 2025 dedicato alla speranza ha previsto di aprire «una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita».
 

Papa Francesco mangerà con i detenuti del carcere di Montorio

Da quanto ci è dato di sapere, durante la visita a Verona il Papa verrà accolto dai detenuti nel campo da calcio interno dove terrà il suo discorso. Un momento significativo sarà quando un detenuto condividerà la propria esperienza personale legata alla sofferenza dovuta al reato commesso. Successivamente, una delegazione composta da circa 120-130 detenuti pranzerà insieme al Pontefice gustando un Risotto all’isolana preparato dai “risottari” di Isola della Scala, i quali, ponendo l'accento sull'inclusione, prepareranno una variante a base di Asparagi per i “fratelli” musulmani.

 
L’emozione che si respira nell’aria per l'imminente visita del Santo Padre è tangibile tra i preparativi ormai entrati nel vivo.

Luciano Berlaffa, uno dei tre diaconi che presta servizio all’interno del carcere di Verona e che sarà presente all’incontro racconta:

Luciano Berlaffa, diacono
 «C’è una grande tensione positiva per l’arrivo di papa Francesco. Ieri ho visto dei gruppi di detenuti impegnati nella sistemazione delle aiuole e nelle aree verdi; altri lavoravano nella falegnameria costruendo la sedia per il Santo Padre, oltre al leggio e alle poltroncine, mentre un gruppo si dedicava alla pittura creando messaggi di inclusione e condivisione. Solitamente l'ambiente interno tende ad essere egocentrico, ma vedere tutte queste persone lavorare insieme in silenzio e armonia mi ha commosso.»

Che significato ha per te  l'incontro con Papa Francesco in carcere?

«La sua presenza come pastore rappresenta un significativo gesto di vicinanza della Chiesa verso contesti difficili come il carcere. Il Papa venendo a visitarci manifesta concretamente il suo sostegno e la sua compassione, cercando di alleviare le difficoltà incontrate da coloro che si trovano a vivere in contesti di restrizione.»
 

E voi diaconi come siete presenti nella casa circondariale?

«Come diaconi offriamo un supporto spirituale alternandoci nella Liturgia della Parola e nei colloqui diretti con i detenuti che desiderano parlare con noi. Io sono un diacono della Comunità Papa Giovanni XXIII di don Benzi, il quale riteneva che “l’uomo non è il suo errore”, perciò là dove ci sono le condizioni, propongo loro pene alternative al carcere, o facilito incontri con educatori, avvocati e familiari.»
 

Da quanto tempo vai ad incontrare i carcerati a Verona?

«Da circa sette anni visito regolarmente il carcere e ogni volta mi sento come se fosse la prima; i controlli costanti delle guardie ricordano a me stesso la precarietà dell'esistenza umana.»
 

Com’è la tua presenza?

«La mia presenza è settimanale. Le prime volte, proprio per la mia frequenza, sono stato oggetto di qualche battuta da parte di qualche “ristretto” che mi chiedeva a che sezione del carcere appartenessi. Questo ha fatto sì che diventassi giorno per giorno un volto, una persona amica di cui potersi fidare, riconoscendo che ero e sono lì per loro, nella fedeltà, ogni settimana.»
 

Come si approcciano con te? Che cosa cercano?

«Cerco sempre un approccio empatico durante gli incontri; non metto mai barriere fisiche tra me ed i detenuti per farli sentire a loro agio fin dall'inizio, come un amico. Le loro storie che condividono con me sono spesso segnate da solitudine, carenze affettive profonde. Cercano qualcuno con cui sfogarsi o parlare semplicemente della vita fuori dalle mura carcerarie, di Gesù o dei propri sogni.»
 

Cosa cerchi di portare loro dentro le mura del carcere?

«Il mio “tentativo” è quello di portare vicinanza personale ma anche quella della comunità cristiana, in cui non ci sono fratelli di serie A, di serie B o C, ma figli amati in cui ognuno di noi è prezioso, fondamentale, speciale, unico.»
 

Cosa provano?

«Le trasformazioni anche piccole che vedo nei volti dei detenuti dopo i nostri incontri sono fonte d'ispirazione: passano dalla tensione al sollievo semplicemente perché si sentono ascoltati ed apprezzati come esseri umani. Mi ricordo di un detenuto che incontravo da diversi mesi, senza mai poterlo aiutare concretamente. Un giorno mi ha scioccato dicendomi: “Avevo perso la fiducia in questa umanità dove nessuno più mi scriveva e nessuno veniva a trovarmi. Ma con te l'ho riacquistata. Nonostante le distanze, i tempi e i vari impegni, non mi hai lasciato solo: come se fossi un tuo caro familiare. Grazie, grazie”. Ecco, questo è semplicemente ciò che faccio: sto al loro fianco e condivido privazioni, isolamento e sofferenze.»
 

Qualche storia che ti è rimasta nel cuore?

«Tra le tante storie toccanti ne ricordo due in particolare. In una occasione, io e un frate, seguendo la segnalazione di alcuni detenuti preoccupati per le sorti di un giovane picchiato da dei connazionali per motivi banali, ci siamo recati in infermeria. Abbiamo chiesto di lui e abbiamo atteso più di mezz'ora prima che arrivasse. Quando finalmente è comparso, ci ha confidato: "Non credevo davvero che qualcuno volesse parlarmi; pensavo fosse uno scherzo di cattivo gusto. Sono qui da sette mesi e nessuno ha mai chiesto di me."
Un altro episodio riguarda un giovane che mi aveva chiesto dei vestiti perché non possedeva né biancheria intima né maglioni adeguati per l'inverno. L'ho indirizzato all'associazione presente in carcere che gestisce questo tipo di servizi. Dopo averlo fatto, lui si è alzato prontamente dicendomi: "Grazie, allora non c'è motivo per cui dobbiamo vederci ancora." Gli ho risposto dicendo: "Guarda che non devi venire qui solo se hai bisogno; ora che ti conosco mi sei diventato caro e sarebbe un piacere poterti chiamare ogni volta che vengo." La sua reazione è stata quella di abbracciarmi e saltare dalla gioia perché si è sentito apprezzato e valorizzato come persona.»  
 

Ci sono emarginati anche all’interno del carcere?

«Purtroppo ci sono limitazioni nell'accessibilità alle varie sezioni del carcere che impediscono una presenza più capillare tra i detenuti più emarginati o che si sentono depressi aumentando così il rischio d’isolamento nel contesto carcerario già difficile.»
 

E la cosiddetta sezione “protetti?

«Negli ultimi mesi, ho avuto l'opportunità di incontrare persone che, purtroppo, sono finite nei tristi e spietati onori della cronaca. Ho osservato ragazzi visibilmente confusi e provati, il loro aspetto smorto tradiva un forte senso di colpa. Erano come pulcini feriti quasi mortalmente. Tuttavia, ho notato che il tempo e la vicinanza di persone che si fanno prossimo possono infondere una parvenza di vita in loro. Questi giovani cercano di adattarsi alla "normalità" del carcere nonostante le storie molto pesanti che portano sulle spalle.»