Il pazzo di Dio: docufilm su Don Oreste Benzi. Raccolta fondi per terminare la lavorazione
Nuova sfida per il regista riminese Kristian Gianfreda con un docufilm su Don Oreste Benzi che uscirà per il centenario della sua nascita. In un'intervista ci racconta la forte emozione nel rivedere e sentire il sacerdote che ha contribuito a modificare il volto della Chiesa e della società.
Terminate le riprese del docufilm "Il pazzo di Dio" in vista del centenario di Don Oreste Benzi. Ora servono 30 mila euro per terminare le ultime fasi di lavorazione del film.
Il pazzo di Dio, il docufilm scritto e diretto dal regista Kristian Gianfreda, sul servo di Dio don Oreste Benzi, è in fase di montaggio.
Prodotto dalla casa di produzione cinematografica Coffee Time Film, fondata dallo stesso regista nel 2017, sarà presentato nel 2025, in occasione del centenario della nascita del sacerdote. Servono 30 mila euro per finire gli ultimi step legati alla post - produzione del film: il montaggio, la color e la finalizzazione.
Per questo la Fondazione Don Oreste Benzi ha lanciato una raccolta fondi on line a sostegno di questo progetto: Un documentario per raccontare Don Oreste Benzi ,"Il pazzo di Dio" «perché si riescano a raccogliere le risorse per coprire l'ultima, piccola, indispensabile parte di lavorazione affinché questo lavoro veda la luce».
L'appello della Fondazione Don Oreste Benzi: «Oggi ti chiediamo di aiutarci a portare a termine la realizzazione di questo film, contribuendo anche tu con una donazione, indispensabile per coprire i costi necessari alle ultime fasi della post-produzione, e far conoscere la storia di quest’uomo straordinario, che per decenni ha fatto innamorare tanti giovani dei poveri e di una vita spesa per loro».
Sono 26 le donazioni arrivate fino ad oggi, per un totale di 1.625. La quota da raggiungere è 30 mila euro.
Don Oreste Benzi: la sua storia in un docufilm
Kristian Gianfreda, riminese, classe 1971, dal 2000 al 2007 ha documentato don Oreste e le sue attività, materiale che si è rivelato prezioso per la realizzazione de “Il pazzo di Dio”. Da tempo il regista di Solo cose belle (2019) coltivava il desiderio di realizzare un documentario sulla vita del sacerdote ma «non mi sentivo pronto a rivederlo nelle interviste, nelle immagini… per una questione personale, perché lo sentivo ancora vivo» - racconta Gianfreda non nascondendo l’emozione. Sono trascorsi 16 anni dalla morte di questo “infaticabile apostolo della carità” – la definizione è nel messaggio inviato da papa Benedetto XVI in occasione delle esequie – e nonostante Gianfreda ammetta di fare ancora molta fatica, sostiene che «un documentario su di lui era doveroso. Ci aiuterà a capire l’importanza storica che don Oreste ha avuto per decine di migliaia di persone la cui vita è cambiata, ma anche la sua influenza sull’immaginario collettivo e nella storia d’Italia». Raccontare questo sacerdote che si è impegnato in tante battaglie al fianco degli ultimi è complicato. «I poveri non possono aspettare», diceva, e per quei poveri si è dato, si è battuto per tutta la vita, incontrandoli, accogliendoli, ascoltandoli, ma anche portando la loro voce nelle piazze e al cospetto dei potenti, denunciando sui giornali, in televisione, alla radio, con ogni mezzo, le ingiustizie che incontrava.
Gianfreda, pur senza svelare la trama, ci puoi anticipare come sarà il film?
«Innanzitutto preciso che è un documentario cinematografico di un'ora e mezza, che non seguirà un percorso cronologico, ma una narrazione che si sviluppa sui temi fondamentali affrontati da don Oreste, partendo dall'oggi, da quello che ha lasciato. Per questo abbiamo incontrato persone e famiglie protagoniste oggi nel vivere quella spiritualità e quelle idee che don Oreste ha loro trasmesso.»
Anche tu sei una persona a cui don Oreste ha cambiato la vita. Quando lo hai incontrato la prima volta?
«È capitato attraverso un amico. Ero piuttosto lontano dalla Chiesa e, in generale, dal mondo cattolico. I primi incontri sono stati molto fugaci, lui mi fissava come se dovesse dirmi qualcosa. Alla fine mi sono messo ad ascoltarlo ed è stato qualcosa che mi ha sconvolto la vita. Una scoperta completa per me. Lui leggeva qualcosa che io non vedevo. Lo stesso lavoro di regista è nato così: per me era una prospettiva lontana, all’epoca studiavo Giurisprudenza, lui invece era convintissimo che fosse la mia strada. Aveva una lettura di me così lontana da come io mi percepivo che questa cosa mi incuriosiva. Lui leggeva le cose in modo profetico.»
Quanto è difficile raccontare una persona che conoscevi così bene?
«Se c'è un legame affettivo è sempre difficile, perché ogni intervista diventa bellissima, ogni inquadratura emozionante, non sacrificabile, e invece il tempo è limitato, c’è una narrazione da seguire. Perciò è necessario staccarsi dall'emozione personale e mettere al centro la storia da raccontare.»
Don Benzi: Don Chisciotte o Rocky Balboa?
Come ti è venuto in mente il titolo “Il pazzo di Dio”?
«Da alcune interviste che avevo fatto, in cui veniva chiamato scherzosamente così. Immediatamente ho avuto la percezione di un titolo che poteva rappresentare bene quella sorta di “schizofrenia” che a prima vista si percepiva in don Oreste: quella di un prete di campagna buono, con un amore commovente per chi aveva davanti, che nello stesso tempo, per questo stesso amore, metteva in campo una forza rivoluzionaria, che ribaltava e rimuoveva tutte le sicurezze, le abitudini della nostra società, spianando la strada a qualunque progetto e attività che intuisse come ispirato da Dio. È un titolo assolutamente perfetto.»
La vita di don Oreste si snoda in un tempo che va dal 1925 al 2007 attraversando diverse fasi. Dalla fase preconciliare a quella fortemente innovativa del post Concilio, dal ruolo in seminario, dove è stato insegnante e direttore spirituale, all’essere parroco e fondatore di una Comunità come la Papa Giovanni XXIII. Quali sono i punti salienti della tua narrazione?
«Si svilupperà in tre atti. Il primo don Oreste è quello che abbiamo identificato per semplicità in “Don Chisciotte”, cioè un uomo che lotta contro i mulini a vento, un uomo che ha degli obiettivi impossibili da raggiungere e fa battaglie più grandi di lui. Il secondo in “Kill Bill”, in cui, con una banda di sgangherati che lo segue in questa rivoluzione impossibile, crea una comunità che improvvisamente esplode e copre i cinque continenti del mondo. Terzo e ultimo atto “Rocky Balboa”. L'immagine che rappresenta questo punto d'arrivo è don Oreste che porta Anna, ex prostituta, da Papa Wojtyla: una scena in cui tutti i suoi obiettivi, che sembravano impossibili da raggiungere, diventano realtà. Lui è riuscito a portare nell'immaginario collettivo della nazione l'idea che la prostituta non è un disagio, un imbarazzo, ma una vittima di un'ingiustizia gravissima.»
Tra i personaggi di rilievo chi avete sentito?
«Affronteremo la sua infanzia e gioventù attraverso l’economista Stefano Zamagni, che è stato suo allievo. I primi passi della Comunità, anche con le difficoltà che ci sono state nella Chiesa, li affrontiamo con don Aldo Amati. Una parte importante nel documentario lo avrà la trasmissione “Porta a porta”, con due interviste a Bruno Vespa che non era d’accordo con don Oreste sull’abolizione della prostituzione. Sentiremo Vittorino Andreoli, lo psichiatra, e poi alcune figure della Comunità Papa Giovanni. Ovviamente uno spazio particolare della narrazione lo avrà il fenomeno della prostituzione.»
Che ha combattuto a partire dagli anni ’90 fino all’ultimo respiro.
«Don Oreste era vicino a ogni persona che soffriva. Il suo approccio era verso l'umano, non verso una tipologia sociale di emarginazione. Però alcune di queste battaglie sono diventate emblematiche per comprendere l'importanza che lui ha avuto sul piano nazionale ed internazionale, e in questo senso il tema della prostituzione ha avuto un ruolo centrale rispetto ad altri.»
Questa capacità di essere così vero, bucava lo schermo. Arrivava immediatamente al cuore, nonostante la stanchezza.
Kristian Gianfreda
Il pazzo Dio: il protagonista, interviste, testimoni del nostro tempo
Nel 2005 hai realizzato il documentario biografico “Do you love Jesus?”, in cui alterni immagini di repertorio con scene girate con attori e interviste. Nel 2008, a un anno dalla morte, è uscito un cofanetto-biografico, “Amare Sempre”, pubblicato da Sempre Editore, che contiene anche un tuo DVD con un montaggio di scene in cui è protagonista lo stesso don Benzi. Cosa caratterizza questo lavoro rispetto ai precedenti?
«La grande differenza la fanno le risorse che siamo riusciti a mettere in campo, che ci hanno permesso di recuperare anche materiale Rai. L'obiettivo è quello di entrare dentro una dimensione di conoscenza di don Oreste più intima, più emotiva, più umana. Ad aiutarci a capire meglio la psicologia di questo sacerdote e quello che ha lasciato.»
E lui ci sarà?
«Di gran lunga sarà lui stesso a raccontarsi, grazie a tutto il materiale che ho raccolto dal 2000 fino al 2007. Più tutto il materiale Rai e di altre emittenti.»
La raccolta fondi, ultime fasi. Servono 30 mila euro
Come siete riusciti a trovare il budget per la produzione de “Il pazzo di Dio”?
«Questo documentario riusciamo a realizzarlo grazie al contributo del Fondo Audiovisivo della Regione Emilia-Romagna che ha premiato questo progetto e a partner quali la “Cooperativa Il Calabrone” di Cremona, la “Cooperativa La Fraternità” e la “Cooperativa Comunità Papa Giovanni XXIII”. Sono stati già coperti quasi tutti i costi per le riprese ma servono ancora 30.000€ per terminare gli ultimi step: il montaggio, la color e la finalizzazione.
A questo proposito la Fondazione Don Oreste Benzi, nata per mantenere viva la sua memoria, ha scelto di lanciare una raccolta fondi a sostegno di questo progetto, perché si riescano a raccogliere le risorse per coprire l'ultima, piccola, indispensabile parte di lavorazione affinché questo lavoro veda la luce.»
Tu sei sicuramente la persona al mondo che ha avuto l’opportunità di filmare con più frequenza don Benzi. Da regista, cosa ti ha colpito di lui? Cosa aveva di particolare rispetto ad altre persone con cui hai poi lavorato?
«La trasparenza e la vitalità di un bambino. Quello che ti diceva non aveva mai un secondo fine. Questa capacità di essere così vero, bucava lo schermo. Arrivava immediatamente al cuore, nonostante la stanchezza. Dietro questa immagine c’era tuttavia una grandissima cultura che si era modellata su profondi principi di verità, di fede, di spiritualità, che in tutta la sua lunga esperienza di educatore, pedagogo, formatore, insegnante, padre spirituale, ha sempre mantenuto. Queste due caratteristiche lo rendevano estremamente efficace in ogni situazione: è una capacità che non ho incontrato in nessun altro.»
Quali sono le tappe delle vostre riprese?
«La troupe cinematografica, composta da sei professionisti del territorio, si muove leggera, da Rimini a Roma, Chieti, Fabriano, Verona, Bologna, Waterford. Le riprese, iniziate a fine maggio, termineranno a Settembre, dopodiché partirà la post produzione.»
Chi fa parte della squadra?
«Miriam Febei, co-autrice, ha lavorato molto nella ricerca del materiale e nella selezione delle interviste. Giacomo Giubilini, sceneggiatore di Roma con cui collaboriamo da tempo, ci aiuta ad avere uno sguardo esterno. Luca Nervegna, direttore della fotografia e tutta la sua squadra. Abbiamo inoltre firmato un contratto con la “Pepito produzioni”, una società di produzione cinematografica di Roma che partecipa con noi a questo progetto.»
Quando sarà pronto il docufilm?
«Intendiamo ultimare il montaggio a inizio 2024. L'uscita è prevista per i 100 anni dalla nascita di don Oreste. Verrà presentato nei festival, eventi speciali, rassegne, concorsi per poi uscire nelle sale italiane. Alla fine arriverà in televisione, però le scadenze precise saranno concordate con la RAI con la quale abbiamo un contratto.»
In questo viaggio, cosa ti porti dentro di don Oreste?