Il Senato ha approvato ieri 13 febbraio 2024, con 104 sì, 56 no e nessun astenuto, il Disegno di legge di iniziativa del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, già varato il 15 giugno 2023 dal Consiglio dei Ministri italiano, che contiene la proposta di abrogare l’art. 323 del Codice Penale che punisce il reato di abuso d’ufficio. Abrogazione significa che, se il testo diventerà legge con l'approvazione di entrambi i rami del Parlamento, le condotte descritte nella norma non saranno più penalmente rilevanti.
Sul punto, si è acceso un energico dibattito politico tra Governo e Magistratura, registrando posizioni divisive anche nell’opposizione parlamentare.
Ma cosa prevede questo reato e quali sono i soggetti maggiormente coinvolti?
Il reato di abuso d’ufficio, nella versione attuale ancora in vigore, punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, violando le leggi o altri atti aventi forza di legge, nello svolgimento delle sue funzioni intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arreca ad altri un danno ingiusto, anche, ad esempio, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto.
Questo dibattito sull’abuso d’ufficio si inserisce nel contesto più ampio e complesso del problema della cosiddetta “paura della firma” da parte dei Sindaci e pubblici amministratori che, asfissiati dalle maglie di una burocrazia eccessiva e complessa, per sottrarsi al rischio di essere coinvolti in indagini (che spesso non conducono a una condanna ma che tuttavia producono ripercussioni negative sulla loro vita e sulla loro professione), possono tendere ad astenersi dall’intraprendere delle azioni amministrative utili, se non essenziali, per i cittadini e la società.
Questi timori avevano già portato a un suo ridimensionamento, per cui il reato aveva subito una modifica importante con la Legge 11 settembre 2020, n. 120, che ne aveva limitato la portata, definendone l’applicazione limitatamente a violazioni di legge molto precise, e non toccando le azioni rispetto alle quali fossero consentiti margini di discrezionalità agli amministratori.
Se le statistiche dei procedimenti penali per questo reato nei confronti di Sindaci registrano un bassissimo numero di condanne (meno della metà giungono a un’affermazione di fondatezza dell’addebito) non possiamo tuttavia non sottolineare che i procedimenti toccano - e molto più ampiamente - altre categorie di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio: dipendenti o consulenti esterni di aziende pubbliche o di enti territoriali, direttori di carceri, presidi, professori e ricercatori universitari, medici, direttori di strutture sanitarie o altri esercenti professioni sanitarie, esponenti delle forze dell’ordine, finanche magistrati.
In sostanza, da studi e statistiche, non pare che i sindaci siano il target privilegiato di una peculiare ostinazione delle procure, anche se la norma, avendo una specifica funzione di chiusura del sistema penale con contorni applicativi ampi, rende facile l’avvio di procedimenti penali, talora volti alla ricerca di altri e più gravi reati dei quali l’abuso può rappresentare una spia.
Volendo districarsi nell’agone delle diverse posizioni rispetto alla proposta di abrogazione, non pare affatto scontato che questa scelta sia la soluzione ottimale, né forse la preferibile per fronteggiare adeguatamente i timori: come al solito, in medio stat virtus.
Infatti l’abrogazione, ad esempio, può comunque provocare una ri-espansione dell’utilizzo di iscrizioni di reato per crimini più gravi e, al fine di aprire comunque delle indagini, lascerebbe comunque scoperte delle condotte particolarmente lesive. Inoltre, la eventuale trasformazione del reato in un illecito amministrativo, comunque sanzionato, non si sa quanto potrebbe essere effettivamente in grado di scongiurare la sindrome della “paura della firma”.
Non si può poi dimenticare che il nostro Paese ha sottoscritto la Convenzione di Merida contro la corruzione, che prevede l’abuso d’ufficio (art.19) e che una soppressione del delitto sarebbe anche in contrasto con la proposta di direttiva europea che impegna gli Stati a prevedere l’abuso d’ufficio come reato, con possibile esposizione a vizi di costituzionalità.
Probabilmente una soluzione di compromesso è quella al momento più auspicabile: non rinunciare ad una incriminazione dei comportamenti dotati di importante capacità offensiva dei beni in gioco, ma contestualmente contenere le iniziative della magistratura con una rigida interpretazione autentica della norma o tentando comunque una ulteriore estrema correzione al testo prima di una draconiana abrogazione.