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21 Marzo 2025
Ultima modifica: 21 Marzo 2025 ore 09:22

21 marzo: le vittime di mafia aspettano giustizia

Nella Giornata del ricordo delle vittime di mafia, il giornalista Paolo Borrometi, da undici anni sotto scorta, ci spiega che la lotta non è finita.
21 marzo: le vittime di mafia aspettano giustizia
Foto di ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI
In questa intervista, Paolo Borrometi ci racconta il ruolo dei giornalisti e di noi cittadini in una lotta che non è finita. Troppi segreti, ingiustizia e poca verità mantengono aperte le ferite di chi ha perso un proprio caro per la violenza delle mafie. Sono 1101 nel 2025 le vittime, ma non si fermeranno qui perché le mafie , seppur silenziose, ci sono ancora.
Come ogni anno, il 21 marzo, nella Giornata del ricordo delle vittime di mafia, vengono letti i nomi delle numerose persone, uomini, donne e bambini, uccisi dalla violenza mafiosa. La commemorazione, promossa da Libera e Avviso Pubblico, si tiene a Trapani, con il patrocinio del comune, della Rai e con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.
Fu nello stesso giorno del 1996, quando per la prima volta sono stati letti i nomi delle vittime: erano circa 300 le persone nell’elenco. Oggi, 2025, conta 1101 nomi di persone, 1101 storie, sofferenze, ingiustizie, lotte. Sono le storie che dobbiamo continuare a raccontare, i volti che dobbiamo continuare a mostrare, perché la giustizia per molti di loro non è ancora arrivata.
Le organizzazioni mafiose oggi sono più silenziose, ma continuano ad avvelenare il nostro Paese celandosi dietro segreti ed omertà. Tuttavia, la verità e le storie delle vittime devono essere portate alla luce. Questo è anche, ma non solo, il ruolo del giornalista.

Abbiamo intervistato Paolo Borrometi (tra le molte cose condirettore dell'AGI) un giornalista che vive sotto scorta da 11 anni, a causa delle gravi minacce che continua a ricevere. Ha condotto numerose inchieste sulla criminalità organizzata, in particolare sulla mafia siciliana, iniziando da un giornale online creato da lui stesso “La Spia”.
Oggi, Paolo Borrometi ci racconta il significato di questa Giornata e ci invita ad abbracciare il ruolo che abbiamo noi cittadini e giornalisti nella lotta contro le mafie e nel ricordo e protezione delle vittime innocenti.

Partiamo dal 21 marzo, Giornata del ricordo delle vittime di mafia. Raccontaci il significato che dai a questa giornata.

Paolo Borrometi primo piano
Foto di ANSA/GIORGIO ONORATI
«
È una giornata importantissima perché ci dovrebbe costringere a riflettere sulle storie delle oltre mille vittime di cui Libera legge i nomi; che non sono solo nomi, sono persone, storie, sono sofferenze. Questa giornata ci costringe a renderci conto del fatto che nel nostro Paese l’80% di quelle persone sono ancora senza verità e giustizia. Sono sofferenze nella carne viva. Per noi giornalisti è un momento fondamentale perché dobbiamo dare importanza a quelle persone. Poi, per noi cittadini è importantissimo: ci mostra che non possiamo rimanere indifferenti.»


La lotta alle mafie non dovrebbe essere una lotta di partito

Secondo te stiamo facendo abbastanza per proteggere il ricordo delle vittime o andrebbe fatto di più?

«Non stiamo facendo abbastanza e non abbiamo fatto abbastanza. Tutto quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto come dovere, non come impegno. A livello collettivo purtroppo abbiamo relegato il tema mafie ad un capitolo passato. Al contrario, le mafie sono un fenomeno assolutamente attuale, creato tantissimi morti vivi: le mafie oggi entrano nell’economia, rendono più poveri noi, i servizi, le infrastrutture, tolgono il lavoro. Anche la politica dovrebbe fare molto di più, perché togliendo gli strumenti agli inquirenti e ai magistrati per lottare le mafie, nei fatti si sabota la lotta alle mafie. Non solo con questo Governo, ma è da molti anni che si sono indeboliti quei sistemi.  A questo Governo sono grato per la messa in sicurezza del 41b e del 4b il carcere duro per i capi mafiosi e l’ergastolo ostativo. Però non condivido le nuove misure sulle intercettazioni, che sono uno strumento fondamentale. La verità è che la lotta alle mafie non dovrebbe essere una lotta di partito, ma una lotta di tutti. Troppo spesso vedo che ce ne dimentichiamo, sia come cittadini sia come classe politica.»  

Le mafie sono cambiate, ma ci sono ancora. Credi che sia cambiata la consapevolezza del popolo italiano?

«La situazione è simile alla più grande tragedia dello scorso secolo, l’Olocausto, che oggi viene visto lontano ed irripetibile. Invece abbiamo la guerra alle nostre porte. La stessa cosa accade con la sensibilità che si ha con le mafie. Visto che le mafie sparano molto meno e gli sono stati inferti colpi importanti con arresti eccellenti, allora c’è una dilagante convinzione che le mafie siano state sconfitte, ma non è assolutamente così.»

Il segreto è qualcosa che si sa ma non si vuole dire. In Italia troppi segreti irrisolti

Nel 2023 scrivevi per Semprenews che l’arresto di Matteo Messina Denaro non è stato la sconfitta della mafia, ma che si trattava solo dell’inizio, di uno snodo.  Due anni dopo, credi che ci siano stati sviluppi?

«Purtroppo Matteo Messina Denaro è morto e con se ha portato tutti i segreti di cui era detentore. Nel nostro Paese abbiamo avuto 7 stragi, 3 tentativi di colpi di Stato, 22 magistrati, 14 giornalisti, indeterminabili forze dell’ordine, un Presidente del Consiglio, Aldo Moro, e un Presidente della mia regione siciliana, Piersanti Mattarella, uccisi, e numerosi morti innocenti. Tutto questo non si può fare senza un piano di destabilizzazione di potere. Il terrore crea caos, scompone e ricompone, e tutti i segreti di quel terrore noi non li sappiamo, o meglio, li consideriamo misteri. Ma un mistero è qualcosa che non si sa, il segreto è qualcosa che si sa ma non si vuole dire. Ci sono troppi segreti irrisolti in questo Paese e l’Italia potrà trovare pace e farà passi avanti solo quando avrà affrontato quei segreti.»

Un giornalista che piace al potere è un giornalista che non sta facendo bene il proprio dovere

Tu vivi sotto scorta da 11 anni e hai condotto numerose inchieste contro le mafie proprio per svelare questi segreti, quale credi sia il ruolo dei giornalisti nella lotta contro le mafie e nel ricordo delle vittime?

«Il problema è che troppo spesso ci giriamo dall’altro lato, facciamo finta di non vedere, abbiamo paura, troppo spesso siamo lasciati soli e quindi legittimamente abbiamo paura. Ma il giornalismo ha un ruolo fondamentale, ce lo insegna Peppino Impastato, ce lo insegna Giuseppe Fava (uccisi entrambi per ordine di Cosa Nostra), Giancarlo Siani (assassinato dalla Camorra a soli 26 anni). Oggi come dobbiamo raccontare le mafie? Dobbiamo continuare a raccontarle con nome e cognome,  dobbiamo raccontare le vittime che non hanno giustizia, ma anche quegli imprenditori che non denunciano e quei cittadini che si girano dall’altro lato. Primo Levi diceva “io odio gli indifferenti”, Papa Francesco dice che il problema del nostro tempo è l’indifferenza. Bene, noi giornalisti abbiamo il dovere di rompere quel muro di indifferenza e lo dobbiamo fare anche se spesso non piacciamo al potere perché un giornalista che piace al potere è un giornalista che non sta facendo bene il proprio dovere.»

A partire dalla tua storia come fai a svolgere questo ruolo, in un sistema di solitudine per il giornalista, querele, diffamazioni e minacce?

«Non mi piace parlare della mia storia, dei 58 processi delle minacce e dei reati mafiosi, non mi piace perché drammatizzare le storie non serve a far comprendere ai cittadini che questa è una lotta di tutti. Sono convinto che nel mondo occidentale lo spazio per i giornalisti si sta restringendo, come avviene alla Casa Bianca per quei giornalisti considerati “sgraditi” da Donald Trump. Ma lo spazio che si sta restringendo non è solo del giornalista: è del cittadino. L’articolo 21 della Costituzione ce lo prescrive: è il diritto dei giornalisti di informare e del cittadino ad essere informato. Quindi il giornalista che non informa e il cittadino che non apre gli occhi portano il peso della corresponsabilità. Ma se nel cittadino l’indifferenza è grave, nel giornalista è una colpa, un peccato ancora più grave.» 

Oggi lottare contro le mafie significa costruire il futuro 

Infine, hai un messaggio da lasciare su questa Giornata?

Firenze in Via dei Georgofili, nel 1993 un'autobomba viene fatta scoppiare da Cosa Nostra. Muoiono 5 persone: Caterina Nencioni, un mese e mezzo, la sorella Nadia Nencioni, 9 anni, la madre Angela Fiume, 36 anni, il padre Fabrizio Nencioni, 39 anni e lo studente Dario Capolicchio, 22 anni.
«
Io dico: non giriamoci dall’altro lato. La stragrande maggioranza delle vittime di mafia sono persone innocenti e che si sono trovati, qualcuno direbbe, “nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Questa frase mi ha proprio stancato. Come fai a dirlo alle più piccole vittime Caterina e Nadia Nencioni che durante la strage dei Georgofili dormivano nel loro letto? No. Loro stavano nel posto giusto al momento giusto, dove due bambine devono stare di notte e sono state uccise dalla violenza mafiosa. Loro non erano poliziotti, magistrati, non avevano nessun ruolo contro le mafie. Tutto ciò ci fa comprendere che può capitare a tutti e che ci dobbiamo impegnare esattamente per questo. Oggi lottare contro le mafie significa costruire il futuro e dare una possibilità di lavoro ai nostri figli. Io non ho ricette o consigli, io ho una voglia di continuare a fare il mio dovere e a chiedere alle donne e agli uomini straordinari di questo Paese di fare il proprio: non girarsi dall’altro lato.»