Il risveglio del Cile: verso una nuova Costituzione
L'11 aprile 2021 i cileni eleggeranno l'assemblea che dovrà scrivere la nuova Costituzione. È l'esito di una mobilitazione popolare durata un anno, che una troupe di studenti universitari italiani e cileni è andata a documentare. Ecco un'anteprima.
Con una maggioranza che ha sfiorato l'80% i cileni hanno votato Apruebo, cancellando la costituzione di Pinochet risalente al 1980.
Il 25 ottobre 2020 in Cile si è tenuto un referendum di importanza epocale: il popolo cileno è stato chiamato a scegliere se mantenere oppure abolire la propria costituzione, eredità di un passato dittatoriale che porta il volto del generale Augusto Pinochet. Con una maggioranza che ha sfiorato l'80% i cileni hanno votato “Apruebo”, ha vinto cioè la rivendicazione di ridisegnare da zero il patto sociale su cui fino a oggi si era fondata una società ingiusta, diseguale e soprattutto indegna. Ed è proprio questa parola, dignità, che porta in sé il significato più profondo di una rivoluzione popolare che da oltre un anno si consuma nel cuore dell’America Latina. Una rivoluzione che chiede di riportare la dignità umana al centro del patto sociale, proprio come recita una delle frasi più ricorrenti di tutta l’iconografia rivoluzionaria cilena: «Hasta que valga la pena vivir».
Assieme a Emanuele Zamboni, giovane regista indipendente, e a Pablo Farìas Letelier, studente di storia all’università di Santiago del Cile, ci siamo addentrati nel cuore di questa grande mobilitazione popolare per documentarne da vicino i volti, le sofferenze ma anche il coraggio di un popolo che custodisce nel proprio cuore l’utopia di voler cambiare il mondo. Chile despertòè il titolo del documentario che stiamo realizzando, ma è anche l’espressione che gli stessi cileni hanno rivendicato per raccontare la loro storia: significa «il Cile si è svegliato», ha aperto gli occhi e ha deciso di combattere contro l’ingiustizia.
Cile: una protesta da 4 centesimi
Come spesso è accaduto nella storia, sono stati i giovanissimi a risvegliare la coscienza di un popolo intero. Tutto è cominciato a inizio ottobre del 2019, quando il governo guidato da Sebastiàn Piñera ha aumentato il prezzo del biglietto della metro di 30 pesos, che in euro equivalgono più o meno a 4 centesimi. Una cifra apparentemente insignificante, ma che al culmine di un sistema strutturalmente e profondamente ingiusto ha risvegliato un senso di frustrazione sociale da troppo tempo assopito. Il 16 ottobre centinaia di studenti, e in particolare studentesse, si sono riversati per le strade occupando le stazioni delle metro e invitando tutti i concittadini a smettere di pagarne il biglietto.
La parola evade (evadi la metro, non pagarla) è comparsa sui muri, visibile praticamente ovunque, fino a diventare il simbolo di quello che è stato da subito battezzato come estallido social: l’esplosione sociale che a partire dal 18 ottobre si è propagata in ogni città del Cile.
Come effetto immediato di queste proteste, i governanti hanno risposto con la repressione: hanno imposto il coprifuoco (in cileno toque de queda) e inviato i militari in strada per soffocare ogni tipo di organizzazione popolare. Ma per i cileni questo gesto ha significato un chiaro rimando ai tempi della dittatura di Pinochet: il coprifuoco e i militari in strada sono un simbolo, un ricordo vivo di un passato che si è ripresentato con tutta la sua violenza.
Come hanno risposto i giovani cileni?
Contro ogni aspettativa, la risposta dei giovani è stata quella di non abbandonare le strade e questo ha dato coraggio a tutta la popolazione. Giorno dopo giorno le strade si sono riempite di gente, mentre sempre più categorie sociali hanno deciso di unirsi a questa grande mobilitazione: il 25 ottobre 2019 in tutte le città del Paese si è tenuta la più grande manifestazione popolare della storia del Cile, totalmente pacifica, che solo nella capitale ha vantato oltre un milione di persone. In questa occasione i governanti hanno capito che non sarebbe stato possibile ritornare alla loro tanto auspicata “normalità”, e che qualcosa stava cambiando. Plaza Italia, la piazza principale di Santiago, è stata ribattezzata dalla gente Plaza de la dignidad, simbolo di una lotta che desidera restituire un volto umano a una società ormai senz’anima. Un nuovo motto emerge, recitato da chiunque per le strade: hasta que la dignidad se haga costumbre, cioè lottare, senza mai smettere, fino a quando la dignità non sarà diventata la normalità. È a quel punto che i governanti, ormai alle strette, si sono seduti al tavolo col popolo e sono stati costretti a riscrivere da zero le regole su cui fondare la nuova società cilena.
Una rivoluzione democratica incompiuta
Come possono solo 30 pesos aver acceso in questo modo la vitalità di un popolo intero? La risposta a questa domanda è scritta sui muri delle strade, sulle pareti delle case, sui cartelloni pubblicitari, sulle serrande dei negozi.
La mobilitazione sociale cilena si muove infatti attraverso un’iconografia di simboli, immagini e frasi che vengono scritte e disegnate negli spazi pubblici, fungendo così da strumento di comunicazione popolare, orizzontale e rizomatico. No son 30 pesos, son 30 años: questa una delle frasi più ricorrenti che spiega come la causa della rivoluzione non sia da imputare ai 30 pesos, bensì a 30 anni di ingiustizie e bugie.
La dittatura di Pinochet è formalmente caduta nel 1989, ma Ricardo Martinez, noto sociolinguista e professore all’università di Santiago, sostiene che la nuova democrazia cilena appare piuttosto come una post-dittatura: «Ci appare di fronte un concetto molto chiaro, ma al tempo stesso anche ambiguo, che è il concetto di transizione: l’idea che tra la dittatura e la piena democrazia sia necessario un periodo intermedio dove allo stesso tempo si presentano mescolate entrambe e in cui si assiste a elementi sia democratici sia dittatoriali».
Per quanto il nuovo assetto politico democratico si presenti nella forma di un parlamentarismo moderno di stampo occidentale, nella realtà dei fatti esso si è configurato come un’oligarchia elitaria i cui fili vengono tirati dai più alti esponenti del capitalismo finanziario internazionale. È proprio questo stato delle cose che ha portato al risveglio della coscienza popolare e all’avvio di un vero processo di trasformazione democratica.
Ma per capire le ragioni di questo risveglio, è necessario scavare a fondo nelle ingiustizie che contraddistinguono la società cilena.
Le ragioni che hanno portato al risveglio del Cile
La patria del neoliberismo moderno
Il Cile è il primo Paese al mondo in cui è stata instaurata l’ideologia capitalistica che prende il nome di neoliberismo. Secondo questo pensiero, il modo migliore per muovere le redini dell’economia e della società è lasciare il mercato totalmente libero di autoregolarsi, disincentivando ogni intervento statale e ricorrendo a privatizzazioni e deregolamentazioni. Quando Augusto Pinochet ha preso il potere con il golpe dell'11 settembre 1973, sostenuto dagli USA, ad assisterlo nella sua nuova programmazione politica sono stati i Chicago Boys, un gruppo di rinomati accademici dell’università di Chicago: di fatto, i primi teorizzatori del pensiero economico neoliberale. Questi hanno stilato un dettagliatissimo “Programma per lo sviluppo economico” chiamato El ladrillo (il mattone), che avrebbe dovuto trasformare il Cile in una potenza capitalistica moderna, produttiva e altamente competitiva. Tuttavia, nella realtà è accaduto l’esatto opposto. Nel pieno rispetto delle istruzioni ricevute, Pinochet ha smantellato tutta la macchina pubblica, eliminando i sussidi e ogni programma contro la povertà, deregolamentando le politiche sui salari, abbassando drasticamente le tasse sui grandi capitali e ricorrendo ad una radicale e profonda privatizzazione di trasporti, sanità, istruzione e pensioni.
Il Cile è diventato così la nazione simbolo della privatizzazione e della disuguaglianza. Il culmine di questo processo viene raggiunto nel 1980, quando Pinochet riscrive la costituzione con l’intento di fissare in maniera permanente questi principi: in tal modo è diventato impossibile per il popolo cileno riuscire a liberarsi del neoliberismo. La nuova società fondata sul libero mercato ha trasformato il Cile in uno dei Paesi più diseguali al mondo, dove un pugno di uomini detiene la quasi totalità della ricchezza sociale, mentre la grande maggioranza della popolazione è costretta nella miseria e nella fame, condannata a vivere una vita priva di dignità.
Acuarela. La sofferenza degli ultimi
Nel quartiere della Pintana, nella più estrema periferia della capitale Santiago, Cristiano sta lavorando assieme alla Comunità Papa Giovanni XXIII al progetto Acuarela per l’assistenza dei giovani in difficoltà.
Intervistato per il nostro documentario, ci ha raccontato che in Cile la quasi totalità della popolazione vive con un salario che oscilla tra i 300 e i 600 euro, a fronte di un costo della vita praticamente identico a quello italiano. Si tratta di valori economici insostenibili, tanto che la popolazione ricorre costantemente all’indebitamento per far fronte alle spese quotidiane. Cristiano ci racconta che «in questi anni i cileni si sono abituati a essere poveri. Ma è un modo di essere poveri che, purtroppo, per dirla in maniera utopica, permette loro di sentirsi ricchi comprando con una carta di credito. Qua in Cile tutto si muove con la carta di credito, perché in definitiva quando tu non riesci a comprare con lo stipendio e con i soldi, puoi farlo con la carta. È un sistema che hanno inventato i più ricchi e che si chiama reventar tarjeta: far scoppiare la carta di credito».
A ciò deve aggiungersi la totale privatizzazione dei servizi essenziali, come sanità ed educazione, che hanno come effetto quello di abbandonare a se stesse le categorie più fragili. Assieme a lui abbiamo incontrato un’anziana signora che, in seguito ad una diagnosi di diabete, a causa della sua povertà non ha la possibilità di accedere alle medicine di base, troppo costose nel sistema sanitario cileno. La vista della gamba amputata della signora ci ha fatto realizzare in quell’istante il significato della parola dignità, in Cile un privilegio per pochi.
Il desiderio di cambiare il mondo
Oggi il Cile ha deciso di combattere tutto questo. Ha reagito, e dal basso ha risvegliato una vitalità politica e sociale che mostra il coraggio di tanti giovanissimi che desiderano una società più giusta. Come ci spiega Carmen Berenguer, famosa poetessa cilena, è il desiderio stesso il vero protagonista della rivoluzione. El incosciente habla: con queste parole Carmen fa riferimento allo psicanalista Jacques Lacan per affermare che il desiderio proviene dai luoghi più profondi dell’inconscio, e per quanto lo si voglia ignorare esso prima o poi emerge, appunto parla, e pretende di essere ascoltato.
La rivoluzione cilena ci insegna proprio questo: il desiderio di dignità è qualcosa che dall’inconscio si manifesta senza alcuna possibilità di essere represso. Emerge come una vocazione, e non a caso “vocazione” è il significato della parola tedesca wunsch da cui Lacan deriva l’etimologia della parola “desiderio”. Quando si trova il coraggio di rispondere a questa vocazione, non servono né leader né ideologie: il popolo trova da solo la forza di organizzarsi, costruendo dal basso il sogno di una società più degna. Hasta que valga la pena vivir.