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27 Febbraio 2025
Ultima modifica: 27 Febbraio 2025 ore 12:30

Israeliani e palestinesi insieme per la pace

La testimonianza di due attivisti, vincitori del premio Langer. Il dialogo è possibile, ma «serve un intervento internazionale»
Israeliani e palestinesi insieme per la pace
Foto di Operazione Colomba
Guy e Mohammad collaborano insieme alle loro associazioni per proteggere il popolo palestinese e denunciare le violenze dello Stato israeliano. Quest'anno hanno vinto il premio Alexander Langer e hanno viaggiato per l'Italia a portare la loro testimonianza. Li abbiamo incontrati a Vicenza.
I bulldozer israeliani, in alcuni minuti, sradicano un piccolo ulivo in mezzo ad un villaggio palestinese. Perché tutto quell’impegno per distruggere un singolo ulivo? «Perché l’ulivo è il simbolo della Palestina» dice Mohammad.
Guy, israeliano, e Mohammad, palestinese, sono due attivisti di resistenza nonviolenta e da alcuni giorni stanno girando per le città italiane a portare testimonianza e rappresentanza delle due associazioni che hanno vinto il premio Alexander Langer 2024. Guy appartiene all’associazione Ta’ayush e Mohammad all’associazione Youth of Sumud, premiate per il coraggio con cui ogni giorno denunciano e resistono alle violenze dell’occupazione israeliana in Cisgiordania. La premiazione e la serie di eventi è frutto di una collaborazione di diverse realtà: Mediterranea Saving Humans, Operazione Colomba, Amnesty International, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Fondazione Campana dei caduti di Rovereto, Associazione Pace per Gerusalemme, Scuola di Pace di Monte Sole.
Ad aprire l'incontro di lunedì 24 febbraio è l'assessore all’istruzione e all’edilizia scolastica di Vicenza, Giovanni Selmo: «È importante essere qui perché due persone che potrebbero odiarsi stasera sono insieme a dare esempio di nonviolenza. Loro ogni giorno approcciano un problema che sembrava essere senza speranza».

Gli ulivi dei coltivatori palestinesi vengono spesso distrutti dai coloni o dai militari delle forse israeliane, in Cisgiordania.
Foto di Operazione Colomba
«Basta non reggo più» sospira una signora dal pubblico mentre gli attivisti ci mostrano il sesto o settimo video delle violenze che subiscono quotidianamente gli abitanti palestinesi in Cisgiordania, a opera dei coloni e delle milizie israeliane.
Mohammad, una volta finiti i video, dice: «Ho visto molti di voi scioccati qui dentro, eppure è quello che i vostri governi lasciano accadere». Prima del tour, avrebbero dovuto essere ospiti alla Camera dei Deputati, come avveniva solitamente in occasione della premiazione Langer, ma quest’anno - ci dicono - la Camera ha annullato la visita, senza dare spiegazioni precise. Fortunatamente, ci sono molte persone che hanno dimostrato vicinanza per la causa palestinese, riempiendo le sale in cui Guy e Mohammed hanno portato testimonianza. 

Cosa accade in Cisgiordania agli abitanti palestinesi? 

In Cisgiordania i villaggi palestinesi sono costantemente scossi dalla violenza e dall’oppressione dei coloni e autorità israeliane, da molto prima del 7 ottobre. Operazione Colomba ad esempio, opera là da più di vent’anni. «Il 60% del territorio della West Bank è controllato da coloni e milizia israeliana. Un milione di coloni sono stati insediati in quelle terre palestinesi. Il diritto internazionale non lo permetterebbe, ma lo fanno lo stesso» spiega Guy, mostrandoci la cartina geografica delle poche terre rimaste ai palestinesi dopo 70 anni di invasioni. «Per costringere i palestinesi ad andarsene, negano i consensi edilizi per costruire le case. Quindi i palestinesi vivono illegalmente nelle loro stesse terre, senza elettricità o acqua, soggetti a demolizioni ogni giorno. Demoliscono ogni cosa, scuole, cliniche, anche le cose donate dalle organizzazioni internazionali.» Mentre parla scorrono i video delle abitazioni palestinesi che vengono rase al suolo dai bulldozer israeliani.
Dietro la famiglia palestinese, ora senza casa, ripresa nel video, si vede all’orizzonte una colonia israeliana. Case bianche e curate. Lì c’è 
Una casa di una famiglia palestinese, dopo la demolizione a opera delle autorità israeliane.
Foto di Operazione Colomba
 
elettricità, acqua, cibo e benefici fiscali per chi va ad abitarci.
La violenza dei coloni non risparmia nessuno. Arrivano spesso mascherati con mazze di legno in mano, spaventano e avvelenano le greggi, distruggono i possedimenti, picchiano gli abitanti. Anche anziani e bambini. Un video mostra un colono in auto, i suoi figli sul sedile posteriore, che cerca in tutti i modi di bloccare il passaggio ad alcuni bambini palestinesi che si dirigono verso scuola a piedi. Si butta con l’auto davanti a loro, rischiando di investirli e inizia ad urlare: «Fermateli! Fermateli! Sono dei ladri!».
Le associazioni Ta’ayush e Youth of Sumud si impegnano a proteggere questi pastori e bambini accompagnandoli nei campi e a scuola, ma riescono sempre meno a bloccare le violenze dei coloni, che ormai non si fermano nemmeno davanti ai volontari internazionali.

Mohammad: «Sono nato e cresciuto sotto l’occupazione»

«Quando ero un ragazzo mio padre mi disse “Di sicuro pagherai un prezzo molto alto per le tue scelte, cercheranno di silenziarti”.» Mohammad ci racconta che lui il prezzo lo sta già pagando. È un attivista palestinese dell’associazione Youth of Sumud, ha vent’anni, da quando è un attivista è già stato incarcerato otto volte. Loro sanno che un gesto di violenza contro i coloni può costargli caro, anche la vita stessa. Così, un ragazzo costretto a crescere troppo in fretta, ha imparato a controllare la sua rabbia e ogni giorno si impegna per reagire e resistere attraverso la nonviolenza. Mohammad mette a rischio la sua vita ogni giorno e pubblica le news del suo villaggio sul suo profilo instagram. Ci racconta che è nato sotto l’occupazione, è cresciuto con la violenza: «Sono stato spinto ad essere un attivista». Il verbo spingere è emblematico perché questo giovane è spinto da un bisogno profondo di giustizia, di riconoscimento, di pace, di quei diritti universali che gli «sono negati ogni giorno».
Un bambino di fronte ad un militare armato, in Cisgiordania.
Foto di Operazione Colomba

Guy: «Vivevo in una menzogna» poi ha visto la realtà dei palestinesi 

Guy ha scelto un nome di fantasia, l’anonimato è importante per la sua sicurezza. Ci racconta di come è diventato un attivista. «Ho iniziato ad essere un attivista da adulto, ma durante la mia adolescenza covavo già questo bisogno. Mio padre lavorava con persone palestinesi e noi li vedevamo come persone, non come terroristi. Ho iniziato a conoscere le loro storie e notare lo sbilanciamento di potere, poi è arrivata l’Intifada (1987). Così ho iniziato ad informarmi e ho scoperto che vivevo in una menzogna. Ho capito che tutto quello che mi avevano insegnato a scuola era una bugia e che le vere vittime erano le persone palestinesi. Ho iniziato a comparare le storie dei miei nonni sull’Olocausto e ho visto la somiglianza con le storie delle vittime in Palestina. Mi sono detto “no, non posso e non farò parte di tutto questo”».
Poi ci spiega che non è semplice essere un attivista in Israele, perché la maggior parte degli israeliani sono stati convinti che è giusto opprimere i palestinesi, quindi tentano violentemente di bloccare ONG e attivisti. “Vittoria totale” è lo slogan in Israele e ci porta l’esempio del trend “2...3…Launch” (2…3…Lanciare): un militare dell’esercito israeliano DJ fa ballare i propri commilitoni con un ritmo da festa, su cui si ripetono le parole d’ordine per il lancio di missili su Gaza.

Le speranze sull’intervento internazionale 

È stato emanato un mandato d’arresto per Netanyahu, ma la validità della Corte penale internazionale sembra fallire, venendo ignorata da Stati Uniti, Israele e Germania, visto che Merz (probabile prossimo cancelliere tedesco) ha invitato il presidente Netanyahu in Germania. C’è un diritto internazionale che Israele non rispetta, denuncia Guy, perché si crede sopra ogni legge e gli viene permesso di farlo.
Chiedo loro se sperano ancora nell’intervento della comunità internazionale e Guy afferma: «Noi non aspettiamo e non speriamo: noi esigiamo un intervento. Chiediamo che siate anche voi ad esigere un intervento e che nessuno resti nel silenzio».  Continua poi ricordando che senza l’intervento internazionale nemmeno la Germania nazista si sarebbe fermata, quindi è essenziale che si intervenga adesso in Palestina. Mohammad dice: «Se sono qui è perché ho ancora speranza. Arrivare tardi è meglio che non arrivare per niente».  La presenza internazionale e gli aiuti umanitari sono essenziali per i palestinesi. Il ragazzo racconta: «Senza l’accompagnamento internazionale, non avremmo sicurezza, non sarebbero tornate a casa le persone evacuate». È l’esempio dell’impegno di Operazione Colomba, e di altre associazioni e volontari che si mettono a rischio per supportare sul campo la causa palestinese.
Nonostante un dialogo di pace sembri essere difficile e lontano da raggiungere, come ammettono gli stessi attivisti, loro due sono l’esempio che tale prospettiva è ancora possibile. È possibile lavorare e resistere insieme per la pace, israeliani, palestinese e volontari internazionali.