Foto di ANSA/FEHIM DEMIR
In occasione del 20 Giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, raccontiamo la storia di Namir, ragazzo pakistano che ha viaggiato a lungo per un futuro migliore in Europa.
Ventiquattro anni fa, in occasione del 50° anniversario della Convenzione di Ginevra del 1951 (relativa allo status dei rifugiati), le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata Mondiale del Rifugiato, ricorrente ogni 20 Giugno. Questa celebrazione è nata con l’obiettivo di ricordare gli obiettivi della Convenzione: promuovere la sicurezza dei rifugiati e risolvere le difficoltà che li minacciano attraverso collaborazione e prevenzione.
Il Gobal Trend del 2023
Spesso si legge di migranti irregolari, richiedenti asilo, rifugiati e profughi, ma queste parole ormai molto note hanno significati che non sempre sono compresi. Il rifugiato è colui o colei che ha ottenuto dallo Stato la protezione internazionale; chi invece attende ancora una risposta è definito richiedente asilo. Il rifugiato è definito tale se è vittima di qualche tipo di persecuzione, sia essa di natura religiosa, raziale, politica, di genere o orientamento sessuale. In tutto il mondo alla fine del 2023 c’erano oltre 117,3 milioni di persone costrette a fuggire dalla propria casa, dette sfollate, di cui 37,6mila hanno ottenuto lo status di rifugiato in un altro stato. Questi dati sono forniti dallo studio annuale dell’UNHCR, Agenzia ONU per i rifugiati, chiamato “Global Trend. Forced Displacement in 2023”, da cui emerge che c’è un continuo aumento di questo problema globale.
In Italia, alla fine del 2023, i rifugiati erano 298.300 (la maggiorparte proveniente dall'Ucraina), appena 2mila in più rispetto all’anno prima. Tuttavia nello stesso periodo i richiedenti sono quasi raddoppiati, passando da 80mila a 147mila (la maggior parte provenienti da Pakistan, Nigeria e Bangladesh).
Ma il rifugiato non è semplicemente una definizione, un numero. Il rifugiato è una persona che porta con sé una storia difficile e che ha bisogno di aiuto, proprio come i richiedenti asilo. Dietro queste etichette ci sono storie di violenza, paura, fuga, ma anche speranza. Oltre alle persecuzioni, le persone che fuggono sono solitamente costrette a farlo a causa di conflitti ed estrema povertà.
La Storia di Namir
Namir e la sua storia ci mostrano proprio questo: un viaggio difficile e doloroso dal Pakistan all’Italia, in cerca di un futuro per la propria famiglia, che si conclude con la richiesta d’asilo, per divenire un rifugiato. Namir, appena ventenne, è costretto dalla povertà a separarsi dalla famiglia per mettersi in viaggio verso l’Europa. «Aspettami, presto torno» disse alla moglie. Ma ciò che aspettava il ragazzo era un viaggio estremamente lungo e logorante. «Da allora in tutti questi anni lei prega e mi aspetta» dice Namir pensando a quella promessa anni dopo, ha 27 anni quando racconta.
Per ogni confine che ha passato, i trafficanti hanno estorto molti soldi a lui e alla sua famiglia, fino ad arrivare ad avere pochi dollari e non poter mangiare. In Iran ha camminato a lungo sulle montagne deserte. «Ci hanno detto che dovevamo camminare in silenzio e ci hanno preso i cellulari. Avevo paura di queste persone». Troppo spesso Namir ripeterà di avere paura. Dormirono nelle grotte e avevano quasi nulla da mangiare. «Ho visto persone che per la fatica e la fame sono morte. Vedevo vestiti con dentro solo le ossa». Quando espresse la volontà di tornare indietro, il trafficante lo minacciò di ucciderlo, così continuò il viaggio. In Turchia lo chiusero in una casa e minacciarono suo padre per avere dei soldi. Solo quelli che pagavano sarebbero stati liberati. Namir, grazie ai soldi del padre uscì e trovò un lavoro. Ma in 8 mesi lo stipendio non arrivò mai, così si spinse verso la Grecia. Aveva 21 anni. Oltre il fiume al confine, la polizia lo legò e lo picchiò insieme ad altri, Namir fu uno dei 3 che fecero passare e ricorda con gratitudine l’unico poliziotto che lo aiutò. Anche in Grecia lo sfruttarono nel lavoro illegale e fu costretto ad andare in Serbia. Insieme ad altri migranti attraversò i boschi, con tanta paura. In Serbia ebbe uno spiraglio di speranza, perché in un campo profughi fu trattato bene e curato. Ma il viaggio non era finito ed il confine con la Bosnia costò altri soldi a Namir. In 15 attraversarono il fiume su un canotto, ma il peso era troppo. «Arrivati sulla riva non eravamo più tutti quelli che eravamo partiti». E poi il difficoltoso cammino verso il campo profughi di Bihac, nella neve. «Quando camminavamo il freddo non si sentiva, ma appena ci fermavamo sembrava di morire. Ho visto molta gente morta lungo la strada. In mezzo alla neve». Gli chiesero 1200€ al confine in Croazia, dove la polizia arrestò lui e gli altri, li spogliò, li caricò in un furgone e li spedì nuovamente in Bosnia lasciandoli nudi. «Eravamo in cinque e abbiamo camminato nudi. Ho visto gente senza cuore. Abbiamo bevuto acqua dai fossi e mangiato le foglie dai rami. È stato molto difficile». Namir voleva tornare indietro, ma la polizia Croata gli disse che se voleva farlo, doveva camminare proprio come all’andata. Arrivato vicino alla Slovenia la polizia gli riservò lo stesso trattamento ricevuto in Croazia, ma quando videro che stava per morire, pesava appena 40 kg, un bravo poliziotto lo portò a casa e lo curò. Il ragazzo allora, decise di fare l’ultimo tentativo e si rimise in cammino. La sua storia finisce così: «Dopo giorni di lungo cammino arrivo sulle montagne in Italia e dall’alto vedo una bella città. Ho dovuto ancora pagare per passare il confine: 1200€ per entrare. La sera sono arrivato in Italia e al mattino mi sono presentato in questura per chiedere l’asilo».
#WithRefugees
Questa storia è una delle tante strazianti storie e riassume solo alcune delle violenze e delle difficoltà affrontate da Namir. È la storia di una persona che è sopravvissuta. Molte altre non ce l’hanno fatta. La triste storia di Namir ci ricorda che nessuno abbandona la propria casa a cuor leggero, per affrontare un viaggio pericoloso ed un futuro incerto. Per queste persone l’Europa, e l’Italia, sono la speranza. La Giornata Mondiale del Rifugiato ci ricorda che non dobbiamo deludere questa speranza e dobbiamo impegnarci per offrire loro sicurezza e conforto.
In occasione di questo giorno commemorativo, è stata lanciata la campagna #WithRefugees (“Con i Rifugiati”) che ha l’obiettivo di sensibilizzare, avvicinando il pubblico alla realtà di queste persone in difficoltà. L’UNHCR vuole ricordare che la risposta ad una vita in pericolo deve essere il soccorso e l’accoglienza, non il rifiuto.