Simone Ceciliani, missionario in Kenya dal 2011, spiega con quali occhi lo Stato africano guarda all'Europa e alla crisi ucraina. E il 9 agosto in Kenya ci saranno le elezioni: in un momento di emergenza dovuta alla siccità e ai prezzi saliti alle stelle, la popolazione dovrà votare il presidente dello Stato e i membri dell'Assemblea nazionale e del Senato. Chi verrò eletto sarà all'altezza della situazione?
In un fresco pomeriggio di giugno, di ritorno a Nairobi dalla Rift Valley, dalla zona dove si allenano i grandi fondisti kenyoti, mi ritrovo in macchina con un architetto kenyota e un amico indiano. Si parla del più e del meno senza tanti sussulti. Tutto cambia quando dal nulla chiedo loro cosa ne pensano della situazione in Ucraina. Il discorso prende una piega che
mi fa comprendere come l’Occidente sia diventato per certi versi insopportabile agli occhi del resto del mondo. Il messaggio è molto chiaro. Pur riconoscendo il popolo ucraino come vittima innocente di tutta questa situazione, i miei compagni di viaggio indicano gli Stati Uniti e l’Occidente come i veri responsabili della guerra, attraverso le loro politiche provocatorie che hanno suscitato la reazione della Russia. Mi chiedono subito perché la stessa indignata reazione non c’è stata in tutte le guerre in Africa e Medio Oriente dove l’aggressore erano i Paesi Occidentali.
Al di là di quello che pensa la gente, la situazione in Africa e ovviamente anche in Kenya in questo momento è molto delicata.
Il continente africano è infatti altamente dipendente dalle importazioni di generi alimentari, avendo un settore agricolo generalmente non modernizzato e con livelli di produzione per ettaro molto bassi. Il Kenya produce meno grano di quello che consuma. Nel 2020 ha importato grano per l'equivalente di 400 milioni di dollari, di cui il 31,6 % dalla Russia e il 4,2 % dall'Ucraina (
fonte: Wheat in Kenya | OEC - The Observatory of Economic Complexity).
Il problema per ora in Kenya. più che la disponibilità del grano sul mercato che comunque è a rischio se non si sblocca il grano in Ucraina, è il suo prezzo. Tutto in Kenya è aumentato,
conseguenza dell'aumento del costo del petrolio, e della speculazione sui prezzi dei generi alimentari. Trasporti, olio, farina per citare alcune voci, sono tremendamente aumentati e chi più paga questa situazione sono le fasce povere della popolazione. Chi vive di lavoro a giornata, ovvero la maggioranza dei kenyani, è sempre
sulla soglia della sopravvivenza e il perpetrarsi di questa eccezionale situazione di aumento dei prezzi dei generi primari può avere conseguenze disastrose nei prossimi mesi per loro.
A tutto questo si aggiunge il problema dei cambiamenti climatici e della siccità nel corno d’Africa e che in Kenya ha colpito la parte settentrionale e nord-orientale del Paese. Sono zone marginali e da sempre lasciate a se stesse - per non dire abbandonate - dal governo di Nairobi. La fragilità di questi ambienti semi aridi espone continuamente le popolazioni che abitano questi luoghi all’insicurezza alimentare. L'abbiamo visto con i nostri stessi occhi nei vari viaggi che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha fatto nella zona di Loiyangalani (lago Turkana) e dove si spera di poter iniziare alcuni progetti di aiuto in futuro. La malnutrizione in quei luoghi è un problema diffuso anche in tempi normali. Figuriamoci ora.
Nel solo Kenya per la siccità di questo periodo sono morti 1,5 milioni di capi di bestiame, unica fonte di reddito per molte popolazioni nelle zone aride e semi-aride del nord, e se le piogge non dovessero arrivare tutto il corno d’Africa sarebbe esposto a una grave crisi alimentare.
Si parla in questi giorni in Italia di tempesta perfetta. Lo è ancora di più in questa zona del mondo dove contemporaneamente si stanno abbattendo le conseguenze della siccità, della guerra in Ucraina e dell'aumento generale dei prezzi.
Fra pochi giorni in Kenya ci saranno le elezioni. Speriamo che il futuro presidente del Kenya sia all'altezza della situazione e possa dare le giuste risposte in questo momento critico.