Perfino quando è morto don Oreste Benzi ha lanciato un messaggio che parla di vita: «La morte non esiste, perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all'infinito di Dio». E sapendo che non saremmo stati in grado di sentire le sue parole, ha voluto affidarle al suo messalino, Pane Quotidiano, che proprio in quel giorno, il 2 novembre 2007, ci diceva: «Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma (…) la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell'abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura.»
Quasi ad avvisarci: «Guardate che io continuerò ancora, attraverso questo libretto, a spezzare con voi la Parola, ad aiutarvi nell’incontro con quel Gesù a cui ho dedicato la mia vita». E continua a farlo, a distanza di 17 anni, per decine di migliaia di persone che ogni giorno si lasciano ispirare dal Vangelo e poi passano al suo commento per scoprire «cosa ci dice oggi don Oreste».
Che l’“infaticabile apostolo della carità” (ma anche della giustizia, aggiunge chi lo conosce bene) non considerasse la morte come l’epilogo della propria esistenza, ma un semplice passaggio, lo si intuisce anche dal ritmo impressionante che ha tenuto negli ultimi giorni, quando il cuore gli aveva già mandato segnali precisi. Il 31 ottobre 2007 al mattino è a Lecce per un convegno sulla malattia mentale, alle 14 a Roma per un altro convegno a Palazzo Chigi, sui minori, quindi via di corsa all’aeroporto, dove si sente male. Avrebbe bisogno di un ricovero, ma lui decide ugualmente di prendere il volo: deve assolutamente tornare a Rimini, la sera ha un appuntamento con i giovani in discoteca. Il giorno dopo, festa di Ognissanti, vorrebbe andare al cimitero a pregare per i bambini non nati, a fatica lo “costringono” a stare in casa per attendere la visita del medico, ma alla Messa della sera non rinuncia, e neppure ad uscire per cena con alcuni collaboratori.
Di solito, quando si sta per arrivare, si rallenta. Lui sembra aver preso la rincorsa per accedere a un livello superiore.
Per don Oreste la vita eterna non era una speranza, ma una certezza. Del resto non ci risulta che abbia mai attraversato momenti di crisi spirituale o dubbi sul piano della fede.
La vocazione al sacerdozio l’ha sentita in seconda elementare. In varie occasioni ha raccontato l’aneddoto della maestra che a scuola presenta tre figure a cui i bambini potessero ispirarsi: il pioniere, lo scienziato e il prete. Tutte lo affascinano, ma lui sceglie la terza, e precisa: «Da quella volta non ho più cambiato idea».
In un’intervista che gli abbiamo fatto nel giugno del 1999, in occasione del 50° anniversario del sacerdozio (oggi contenuta nel libro Don Oreste Benzi. Ribellatevi! Intervista con un rivoluzionario di Dio) gli abbiamo chiesto «Che rapporto hai con Dio?».
Ecco la sua risposta: «Un rapporto che si basa su tre certezze. Primo: la certezza assoluta che lui c’è. Secondo: che io sono un’espressione, come tutti i fratelli, del suo amore. Terzo: che ci sono in me già le linee – che poi Cristo rende esplicite – di un cammino di tutta la persona verso la vita nel senso più bello, più pieno, un cammino di amore, giustizia, verità.»
Lo ricordo durante la celebrazione di una messa per Andrea, uno dei piccoli che lui definiva “angeli crocifissi”, morto tra le braccia di un padre e una madre che lo avevano rigenerato nell’amore in una delle case famiglia da lui fondate. Durante l’omelia ha chiesto ai presenti come immaginassero il momento della morte. Poi ha detto come lo immaginava lui: la madre celeste, Maria, che lo prendeva per mano e lo accompagnava nella nuova vita.
Don Oreste era solito concludere le preghiere con l’invocazione «Madre nostra, fiducia nostra». Ora i suoi discepoli spirituali, sparsi in 42 Paesi del mondo, aggiungono: «Don Oreste, prega per noi».