L'8 marzo la Comunità fondata da don Benzi aveva scritto una lettera a deputati e senatori per chiedere adesioni ad una missione di pace in Ucraina. Adesioni che stavano arrivando ma la Farnesina esprime preoccupazioni.
La Farnesina, per ragioni di sicurezza, invita i parlamentari italiani a non partecipare alla missione di pace proposta dalla Comunità Papa Giovanni XXIII in Ucraina. Lo riferisce l'agenzia
Adnkronos citando una lettera inviata dal Ministro degli Esteri
Luigi di Maio ai presidenti di Camera e Senato.
«Pur comprendendo le buone intenzioni dell'iniziativa - si legge nel testo riportato dall'agenzia - con una lettera del Capo dell'Unità di Crisi, abbiamo ricordato agli organizzatori l'estrema pericolosità della situazione in tutto il territorio dell'Ucraina, Paese martoriato dalla guerra e verso il quale la Farnesina sconsiglia viaggi a qualsiasi titolo. Lo sconsiglio è a maggior ragione necessario per un gruppo importante e visibile di parlamentari e giornalisti, che possono rappresentare un obiettivo sensibile e al tempo stesso generare un meccanismo di emulazione».
«Tramite l'Unità di Crisi - prosegue Di Maio - abbiamo assicurato alla Comunità Giovanni XXIII la disponibilità a fornire ogni assistenza per sviluppare, in sicurezza, altre iniziative umanitarie e di assistenza».
«Il nostro progetto nasce per garantire una presenza alle persone più fragili che stanno subendo questa guerra, i bambini, le persone con disabilità - replica
Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII - e stiamo organizzando una presenza sul territorio ucraino con i nostri giovani di
Operazioni Colomba come abbiamo fatto già in altre zone di conflitto in vari Paesi del mondo, oltre ad assicurare l'accoglienza dei profughi qui in Italia. Abbiamo coinvolto i parlamentari perché vogliamo che i politici tocchino con mano le sofferenze di questa gente. Saremo molto attenti e prudenti, e terremo conto delle indicazioni della Farnesina con cui da sempre collaboriamo e che ringraziamo per tutto l'impegno che viene messo anche per gestire questa emergenza. Stiamo inoltre collaborando con altre organizzazioni umanitarie per iniziative di azione nonviolenta che possano aiutare a fermare questa guerra.»
Una delegazione di parlamentari in Ucraina: come è partita la proposta
Una «
delegazione europea di politici, società civile e chiese che, con la propria presenza, sia un deterrente all'uso della violenza e apra uno spazio di tregua». È la proposta contenuta in una lettera inviata l'8 marzo dalla Comunità Papa Giovanni XXIII a tutti i deputati e senatori italiani, in cui si chiede loro di aderire all’iniziativa e di farsene portavoce presso i colleghi europei.
La delegazione, prosegue il testo a firma del presidente dell'associazione Giovanni Paolo Ramonda, «sarà accompagnata da una scorta civile nonviolenta ed avrà come obiettivo principale quello di
essere al fianco della popolazione e creare uno spazio di evacuazione dei civili ucraini intrappolati sotto il fuoco dell'esercito russo».
Il progetto nasce da un
intervento sul campo compiuto da una delegazione della Comunità Papa Giovanni XXIII che il 2 marzo è andata conoscere da vicino la situazione. Prima sul confine tra Polonia e Ucraina, poi nella regione di Leopoli e infine più a sud verso il confine con l’Ungheria.
«Tutti gli ucraini che abbiamo incontrato ci chiedevano non tanto aiuti materiali ma di andare a combattere la loro guerra. La nostra guerra, precisavano, dato che loro si sentono europei e chiedono che l’Europa difenda il suo territorio e le sue libertà. Ma noi vogliamo dare un altro tipo di risposta.»
A parlare al telefono (l'intervista è dell'8 marzo, giorno in cui è stata inviata la lettera ai parlamentari) è
Gianpiero Cofano, segretario della Comunità fondata da don Benzi, con un passato di militanza attiva in Operazione Colomba, il corpo nonviolento promosso dall’associazione nel 1991 allo scoppiare del conflitto nei Balcani e da allora operativo in molte guerre in giro per il mondo. Ad accompagnarlo nella missione in Ucraina erano andati altri due membri dell’associazione: Alberto Capannini, giunto direttamente dal Libano dove opera con Operazione Colomba all’interno di un campo profughi siriani, e Kristian Gianfreda, regista e attualmente assessore del Comune di Rimini, che li ha raggiunti a Cracovia.
Che situazione avete trovato durante il vostro viaggio in Ucraina?
«Siamo stati in tante zone di conflitto ma questa è una guerra veloce. Ogni guerra produce persone vittime e profughi ma avviene attraverso un processo lento, qui invece nel giro di pochi giorni abbiamo milioni di persone che scappano e questo mette in crisi i sistemi di accoglienza e aiuto. Ma ci ha colpito anche quello che non abbiamo visto.»
Cioè?
«Nei luoghi di confine dei conflitti si incontrano sempre le pettorine che identificano i volontari delle organizzazioni umanitarie. Invece a Leopoli abbiamo incontrato fiumi di persone in fuga, abbiamo incontrato giornalisti, ma non le agenzie e le organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite, come l’IOM o l’UNHCR e neppure le grandi Organizzazioni Non Governative.»
Per questo state organizzando una missione con rappresentanti delle istituzioni?
«Sì. Come gli ucraini ci chiedono di intervenire, anche tanti cittadini europei si chiedono: cosa stanno facendo i nostri Governi per fermare concretamente questa guerra?»
Sono state applicate sanzioni e si è deciso anche per la prima volta di inviare armi.
«Ma noi sappiamo che le armi ci porteranno solo devastazione. È pericolosissimo perché siamo davvero vicini alla terza guerra mondiale, basterebbe una semplice provocazione, magari anche un errore, perché scoppiasse.»
Allora cosa si può fare?
«Rispondere con una forza non armata entrando nel cuore del conflitto a nome di tutte le istituzioni europee, di tutti i governi europei, e magari delle Chiese, questo è il nostro sogno.»
Dicevi che è una guerra veloce, quante adesioni attenderete prima di partire?
«Contiamo di partire presto, sarebbe già sufficiente per noi che arrivassero una trentina di adesioni. Siamo fiduciosi, noi però partiremo comunque.»
Che risultato vi attendete di conseguire?
«Sappiamo di un gruppo di circa trenta bambini orfani che sono stati evacuati da Mariupol ma sono stati poi bloccati in un’altra zona di conflitto. Se riuscissimo a portarli a casa sarebbe un segnale importante, concreto, che qualcosa può cambiare.»
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