Non risulta che il cardinal Josè Mario Bergoglio e il sacerdote Oreste Benzi si siano mai incontrati, né che l’uno conoscesse il pensiero dell’altro e tantomeno lo citasse nei propri interventi. Eppure da quando papa Francesco ha iniziato a esprimere le sue posizioni sulla Chiesa e sui poveri, spesso tra i seguaci del sacerdote dalla tonaca lisa circola la battuta che sarebbe don Oreste, nella sua nuova dimensione di vita, a fare da suggeritore.
Che a rilanciare questo parallelismo sia però il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, assume un valore ben diverso.
Intervenendo sabato 14 settembre a Rimini all’evento di apertura del Centenario di don Benzi, moderato dalla giornalista del Corriere della sera Elisabetta Soglio, il cardinal Matteo Maria Zuppi ha detto: «Io penso che qualche volta si potrebbero leggere alcune cose che dice Papa Francesco e pensare “Questo l’ha scritto don Oreste!”». E ancora: «Sentendo alcuni discorsi di papa Francesco uno dice: “Ma questo gliel’ha suggerito don Oreste!”». Percepibili, tra la platea della Sala Manzoni gremita di persone venute ad ascoltare lui e gli altri ospiti dell’evento, mormorii di assenso a questa constatazione. Che però, fuor di battuta, il cardinale spiega così: «Io penso che in realtà sia frutto della carità e dell’amore per il Vangelo» che li accomuna.
Al cardinale deve essere giunta qualche perplessità sul fatto che si celebri già nel 2024 il centenario di una persona nata nel 1925, ma lui fuga ogni dubbio: «Avete fatto bene, anzi benissimo ad iniziare prima, perFché sarà una grande una scoperta e riscoperta!» E sottolinea: «Le celebrazioni non servono per spolverare qualche medaglia. Il centenario ci aiuta a vedere i segni della vita che cambia.»
È questa l’intenzione degli organizzatori dell’evento La forza della tenerezza. Cento anni di don Oreste: non semplicemente ricordare, ma far emergere pienamente la novità e l’attualità della vita e del pensiero di don Benzi, per rilanciare le sue intuizioni profetiche sul piano sociale, educativo, spirituale, e proseguire le sue battaglie in favore degli ultimi.
A ciò contribuiscono anche i due libri presentati all’evento che rivelano aspetti poco conosciuti del sacerdote: Spiritual Trainer. 12 tappe per una vita piena e appagante, curato da Stefano Gasparini, che ne evidenzia il ruolo di grande educatore capace di far emergere da ogni persona il meglio sul piano umano e spirituale, e Alle fonti di un carisma. La biografia culturale di don Oreste Benzi, in cui il giornalista Valerio Lessi indaga sui 2600 libri presenti nell’abitazione di don Benzi, documentando quanto fosse anche uomo di studio capace di attingere alle fonti più disparate, e allo stesso tempo di elaborare concetti assolutamente originali e innovativi.
Un don Oreste miniera (l’espressione è di Zuppi) ancora in gran parte da esplorare, lungo un percorso che durerà per tutto il 2025 e arriverà – spiega il vescovo di Rimini Nicolò Anselmi – a Reggio Calabria, Roma, Ginevra, Bruxelles, Zambia e altri Paesi del mondo, per poi tornare il prossimo anno a Rimini con un grande evento.
«Il papa sa che oggi iniziamo questa avventura, lo abbiamo invitato, speriamo che venga – azzarda un emozionato Anselmi –. Ringrazio il Signore che mi ha condotto in questa diocesi, natale di un personaggio così importante per la Chiesa italiana e universale. Don Oreste è vivo, lo sappiamo e lo sentiamo. È vivo anzitutto nel cuore e nella vita di molte persone. Chi parla di lui ne ha sempre un nitido ricordo».
E, da vescovo, sottolinea un aspetto che lo ha colpito: «Don Oreste è stato un prete diocesano, in comunione con il vescovo, certe volte una comunione dialettica, ma ha dimostrato sempre una grande disponibilità verso il vescovo e questo è un grande insegnamento».
Che il fondatore di una associazione internazionale sia rimasto anche sempre un semplice parroco lo sottolinea pure il cardinal Zuppi.
«Una parrocchia come deve essere? Questa è una delle lezioni che ci dà don Oreste. Noi molte volte vediamo il locale come una identità da difendere rispetto all’universale che ci entra dentro e ci rovina. Lui è sempre rimasto molto legato alla sua parrocchia, e allo stesso tempo il mondo era la sua parrocchia.»
Un don Oreste grande interprete della Chiesa come ospedale da campo tanto cara a papa Francesco è al centro dell'intervento del cardinal Zuppi, che spiega come sia un concetto che non tutti condividono: «Qualcuno dice che la Chiesa è una maestra, non può stare sempre in mezzo ai poveri, che rischia di diventare una ONG. Ma la Chiesa è molto più di una ONG, perché, come ci insegna don Oreste, c’è l’azione e c’è il tabernacolo. Lui credeva nella famiglia, non nell’istituzione. Lui voleva che anche la Chiesa fosse una famiglia, una famiglia dentro l’ospedale da campo.»
E per questo si esponeva con determinazione e coraggio: «Don Oreste era uno che non si dava pace e non dava pace, coinvolgeva, non accettava le distanze, si fermava con tutte le persone più improbabili, rischiava anche le botte, di essere visto male».
Come emerge chiaramente dall'intenso docufilm Il pazzo di Dio, realizzato dal registra Kristian Gianfreda, proiettato in anteprima la sera dell'evento, presso la Corte degli Agostiniani.
In ogni cosa che faceva, don Oreste era uno che curava le relazioni: «Ci ha insegnato – sottolinea ancora Zuppi – come curare il rapporto personale, comunitario (sempre noi, mai solo personale) e affettivo. Questo fa bene a tutta la Chiesa italiana: a volte parliamo dei poveri come utenti e per me è una bestemmia. Mio fratello più piccolo non lo chiamo utente, lo chiamo per nome, mi ci lego, lo amo. E questo lo vediamo bene espresso nelle case famiglia volute da don Oreste.»
Ma con una ulteriore attenzione: «Il suo amore, la sua amicizia, il suo rapporto affettivo non era mai passivo, ci portava e ci porta a combattere le cause dell’emarginazione, a liberarci dalle dipendenze, e su questo abbiamo tanto da imparare».
Una dimensione politica approfondita dell’economista Stefano Zamagni, che invita a non confondere l’attenzione ai poveri promossa da don Oreste con un approccio caritatevole. «Oggi è in voga una certa esterofilia e c’è l’idea che i problemi della società possano essere risolti aumentando il tasso di filantropia. Don Oreste inveirebbe contro questo, perché la filantropia lascia le cose come stanno, invece bisogna aggredire le cause dell’ingiustizia».
La regia proietta sullo schermo l’intervento di don Oreste alla settimana sociale dei cattolici a Pisa, il 19 ottobre 2007, in cui era presente lo stesso Zamagni: «Fu un evento straordinario, io insistetti perché venisse invitato anche lui, anche se c’era chi non era d’accordo».
Appare un don Benzi fisicamente provato (due settimane dopo il suo cuore si fermerà) ma capace di pronunciare un discorso potente, che invita alla mobilitazione: «La gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo parole di speranza ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici, permettetemelo? Hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione non basta. Soprattutto le masse giovanili non le avremo mai più con noi, se non ci mettiamo con loro per rivoluzionare il mondo. Ma il vento è favorevole, perché il cuore dei giovani, ve lo dico – e non badate alle cassandre – oggi batte per Cristo. Però ci vuole chi senta quel battito, chi li organizzi e li porti avanti in una maniera meravigliosa. La conclusione è questa: perché non individuiamo in Italia dei target da raggiungere? I nostri vescovi li dicano, la Chiesa li indichi. E poi tutti insieme portino il resoconto. E alle settimane sociali raccontiamo il cambiamento avvenuto, la trasformazione, e il grido dei poveri che finalmente viene ascoltato.»
Un invito raccolto da Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII.
«La rivoluzione proposta da don Oreste ci invita a cambiare prospettiva. Se davvero i poveri sono i nostri maestri, sono loro, gli esclusi, i primi che dobbiamo andare ad ascoltare». Da questo incontro, dalla vita condivisa con loro, nasce una nuova società, la società del gratuito, che va portata in tutti gli ambiti: scuola, lavoro, impegno politico. «Il fondamento della società del gratuito è il Vangelo e a portarla avanti non siamo solo noi della Papa Giovanni ma tutti coloro che non cercano il proprio interesse ma il bene comune».
Per realizzarla occorre una nuova alleanza, fare rete, perché «andando al passo degli ultimi e mettendo insieme le risorse, le risorse si moltiplicano».
E rispolvera l’editoriale in cui don Oreste dava inizio, nel 1975, ad un ciclostilato chiamato “Sempre”, divenuto poi il magazine della Comunità Papa Giovanni XXIII: «Noi vogliamo che anche altri, come noi, incomincino ad intervenire per combattere le ingiustizie e le situazioni di emarginazione affinché ci si possa unire, comunità cristiana, gruppi politici, sindacati, associazioni, ed handicappati stessi, per fare un serio lavoro politico sia su obiettivi concreti, come la prevenzione, l’inserimento nel lavoro, sia su un progetto ed una strategia di trasformazione della società».
A distanza di 50 anni da quell’editoriale, un bel programma per l’inizio del Centenario di don Oreste Benzi.
Con la benedizione del cardinal Zuppi, che però invita a farlo con lo stile che ci ha mostrato don Oreste, la simpatia.
«Papa Francesco ce l’ha detto in mille modi: “Perché andate in giro con quella faccia da funerale? Cristiani come mummie, quaresima senza Pasqua… poi uno vede don Oreste e quella simpatia disarma, avvicina (e parte l’applauso). Don Oreste ha tantissimo da insegnarci e credo che questo anno del Centenario aiuterà tutta la Chiesa italiana, ci aiuterà ad essere più Chiesa e sentire la bellezza e la grandezza del Vangelo oggi e dell’annunciare con simpatia il Vangelo che il Signore ci ha affidato».