John-Michael Lander sopravvissuto a sfruttamento ed abusi, agli inizi della sua carriera, lancia un appello contro la tratta nel mondo dello sport che colpisce solo in Africa occidentale più di 15mila minorenni ogni anno.
Bianco, maschio, di buona famiglia e ben istruito. Nessuno avrebbe sospettato che potesse essere un bersaglio per sfruttatori del mercato del sesso. Eppure anche a
John-Michael Lander è capitato di cadere nella trappola da adolescente, all’inizio di una brillante carriera nel nuoto.
L’ex atleta di livello internazionale ha raccontato, in occasione del lancio del
Rapporto sulla tratta di sportivi, lo scorso 11 marzo, di aver subìto abusi sessuali da parte di allenatori, membri dello staff medico e sponsor durante la sua carriera sportiva. «Quando avevo 14 anni, i responsabili del mio allenamento mi hanno sfruttato a scopo sessuale durante i miei quattro anni di liceo mentre rappresentavo gli Stati Uniti in competizioni internazionali di tuffi. Non sono stato riconosciuto come vittima di tratta perché mi è stata data l’opportunità di migliorare la mia vita, di partecipare alle Olimpiadi e di ottenere una borsa di studio per il college. Diventare un campione olimpionico è una opportunità che capita ad 1 su 500mila negli Stati Uniti».
Parla l'atleta sopravvissuto agli abusi sessuali
John-Michael Lander era stato notato da un avvocato tra migliaia di ragazzi che si distinguevano nelle attività scolastiche. Circuito con promesse da favola da un team che aveva incontrato anche la madre di John e sostenuto le spese della sorella proprio in un periodo molto critico per lei, a causa di un incidente aveva da pagare costosi interventi chirurgici, il giovanissimo atleta era stato convinto a firmare un contratto in cui era necessariamente impegnato a dare le massime prestazioni solo ed esclusivamente con quel gruppo di professionisti.
Avevano raccolto le informazioni sul suo conto per poterlo adescare al meglio. Ma fu proprio il suo allenatore a renderlo la preda perfetta «Dovevo parlare solo con lui, mi aveva isolato dalla squadra, dai miei compagni, ripetendomi che erano gelosi di me ma solo io avevo la stoffa del campione. Mi aveva fatto credere, tirandomi sempre da parte, che era l’unico di cui fidarmi. Quando iniziò a toccarmi, in alcune occasioni anche davanti a tutti, inizialmente pensavo che fosse normale. E poi organizzavano feste, ci portavano in una villa a Columbus in Ohio. C’erano altri 4 o 5 atleti, ci facevano indossare vestiti inequivocabili e ci mettevano in fila.
Gli ospiti – tutti professionisti del mondo dello sport – potevano toccarci, farci domande e scegliere la preda come in un’asta. In un’altra stanza, proprio le persone a cui ero stato affidato contrattavano le prestazioni sessuali, per un weekend o per la settimana e quali favori e contributi avrebbero dovuto garantire. Ad esempio un medico di alto livello, per avermi come suo giocattolo, aveva promesso di farmi entrare in una delle migliori università».
Questa esperienza traumatica ha gradualmente sconvolto la vita personale e professionale di John tanto da portarlo a ritirarsi dalla competizione agonistica. Le aste avvenivano infatti anche in altri paesi, in altre feste, ma il sistema era lo stesso e molto diffuso a tutte le latitudini. «Accade anche oggi – ripete con coraggio l’ex campione. Ma chi sfrutta i giovani atleti ha tante amicizie che lo proteggono. Nessuno di noi ha il coraggio di denunciare. A chi mi chiede perché non reagivo dato che ero vulnerabile e manipolato, ripeto che non mi sentivo affatto vulnerabile. Una parte di me sapeva che era tutto sbagliato e mi faceva male, ma era tutto ben organizzato nel corso dei miei allenamenti.
Mi sentivo un campione, credevo che fosse un piccolo prezzo da pagare in fondo. Io facevo tutto questo per la mia famiglia, pensavo molto spesso che fosse una grande opportunità per loro avere un figlio campione olimpionico. E se parli, ci sono già altri atleti in lista che ti possono sostituire. Parlare poi di abusi sessuali sui maschi è qualcosa di impossibile, pensi che nessuno ti crederà».
Oggi, dopo anni di silenzio, Lander ha deciso di condividere la sua esperienza per sensibilizzare l'opinione pubblica sugli abusi sessuali nello sport, in particolare quelli subìti da atleti maschi. Ha fondato
“An Athlete's Silence”, una organizzazione dedicata a fornire sostegno concreto alle vittime nel settore sportivo.
Lander spiega soprattutto ai giovani che
le aspettative sociali sulla mascolinità possono impedire agli uomini di denunciare gli abusi subìti. Ma non bisogna avere paura di parlare. E così lo sfruttamento continua nel silenzio. Attraverso conferenze, testimonianze e un numero dedicato per chi vuole chiedere aiuto, oggi l’ex campione delle coppe di Norvegia, Danimarca e Canada, lavora per superare lo stigma associato allo sfruttamento sessuale dei maschi.
La tratta nello sport, una piaga nascosta
Secondo le stime del Dipartimento di Stato americano,
15mila giovani giocatori sono trafficati ogni anno solo dall'Africa occidentale con la speranza di diventare calciatori professionisti in Europa. Basti pensare che già dieci anni fa in nord Europa fu denunciata la tratta di oltre 400 casi di giocatori provenienti dalla Nigeria.
Calcio, baseball, hockey, basket sono gli sport maggiormente segnati dal fenomeno. Lo sfruttamento avviene nella struttura stessa dello sport, trasformando gli atleti in merci. Sono soggetti a contratti di sfruttamento, lavoro forzato, o vincolati a vita dal debito, o costretti ad attività criminali.
D’altronde come spiegato da
Lerina Bright, in occasione del lancio del
Rapporto sulla tratta di sportivi realizzato da Missione 89 - un'organizzazione di Ginevra che combatte lo sfruttamento dei giovani atleti attraverso la ricerca e l’educazione, il cambiamento sociale ed economico -
l’industria dello sport muove miliardi di dollari. Il mercato dello sport solo nel 2023 ha raggiunto i 484 miliardi e si prevede che nel 2028 arrivi a 651 miliardi con un tasso del 6,1%». Per questo è importante capire di cosa si tratta e come prevenirlo. «La tratta nello sport è l'atto di reclutamento, trasporto, trasferimento, ospitalità di un individuo - specificamente un atleta o aspirante atleta - all'interno o attraverso le frontiere, mediante coercizione, inganno, o altro mezzi abusivi ai fini dello sfruttamento nello sport, attraverso o intorno agli sport».
Quando una città si prepara ad accogliere i giochi olimpici ad esempio, una ampia categoria di lavoratori possono essere sfruttati nel settore della pulizia, di facchinaggio, di montaggio, di sorveglianza. La conoscenza delle condizioni di sfruttamento, dei mezzi di reclutamento e delle reti di criminali coinvolti è fondamentale per la prevenzione. Basti pensare alla campagna di sensibilizzazione avviata coraggiosamente a Parigi con Airbnb dalla Missione interministeriale per la protezione delle donne dalla violenza e la lotta contro la tratta, per prevenire il commercio di corpi femminili in occasione dei Giochi olimpici nel luglio scorso.
Il report include anche casi studio di atleti sfruttati in differenti sport e in differenti paesi, dal Portogallo alla Colombia, dall’Etiopia fino addirittura al Qatar.
La stessa FIFA si è attrezzata con strumenti di sensibilizzazione, formazione e prevenzione per far conoscere questa piaga e intervenire al meglio sui casi di tratta di persone. Questo fenomeno d’altronde coinvolge tutti i settori dove ci può essere alto profitto, non solo il settore sportivo. Ma dove nessuno parla il rischio di continuare a mietere vittime aumenta.
Marie Laure Lemineur, capo del Dipartimento di salvaguardia e protezione die minori della Federazione internazionale calcio ha infatti sottolineato che «come attori sportivi dobbiamo accettare che esista questo fenomeno anche nel calcio e capire che
abbiamo una grande responsabilità collettiva nel ridurre i rischi di tratta e di violenza, nel migliorare la nostra capacità di regolamentare e dobbiamo sanzionare i comportamenti criminali quando si verificano. Intendiamo impegnarci nel capire a fondo come sono individuati i talenti migliori, dove si allenano gli atleti, come operano gli agenti dei calciatori, come avviene il loro trasferimento».
Nonostante il divieto di trasferimenti internazionali di minori della Fifa, le scappatoie e le lacune dei regolamenti possono lasciare spazio alle reti di sfruttamento che organizzano velocemente ogni fase della tratta avendo davanti agli occhi solo la cifra da guadagnare per ogni atleta venduto. Solo parlarne a tutti i livelli, denunciare chi compie il reato e sensibilizzare i giovani, dando sempre più voce alle persone sopravvissute, come John Lander insegna da anni, può fare davvero la differenza.