Era una delle profezie di don Benzi, l'istituzione di un Ministero della Pace. Lo chiedeva a tutti i ministri e capi di governo che gli capitava di incontrare. Oggi la Comunità, insieme a diverse altre associazioni, cerca di farla diventare realtà, attraverso una Campagna. Intervistiamo l'avvocata Laila Simoncelli, che ne è la coordinatrice.
Laila Simoncelli è coordinatrice della campagna per un Ministero della Pace, che porta avanti uno dei più grandi desideri di don Oreste Benzi: l’istituzione di un Ministero della Pace. Così il sacerdote riminese: «L’uomo ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la Pace».
C’è appena stato un duro anniversario, un anno dall’inizio dalla guerra in Ucraina, pochi giorni fa una strage di migranti di fronte alle nostre coste, e ogni giorno un mondo che si barcamena tra guerre, violenze, e innalza muri. In questo contesto, urgente e in cui è più facile dare risposte autoritaritaristiche, come si organizza la Pace?
«Purtroppo con l’oscenità della “guerra tutto è perduto”. Ma dobbiamo tenere sempre fisso che la guerra è, come tanti altri fatti storici, una costruzione umana. La guerra, e anche questa nel cuore dell’Europa, sorge da un groviglio di teorie, di interessi e di pratiche sociali che, nel loro insieme, ne hanno creato il contesto e portato collettività ad approvare la violenza collettiva contro un “nemico”. Organizzare la Pace dentro la Guerra dunque significa innanzitutto riappropriarci con gesti, parole, azioni, di quei sentimenti di empatia, solidarietà e vicinanza che sono propriamente umani a vari livelli, scardinando i meccanismi che hanno generato e generano nelle nostre società i nemici».
Scardinare il nemico… non è semplice. Spesso neppure lo conosciamo davvero e costruiamo un nemico immaginario. Quali azioni concrete un singolo può portare avanti?
«In primo luogo dobbiamo vivere per quanto possibile e con ogni forza accanto alle vittime, con la presenza, l’aiuto concreto e l’accoglienza: nel 92’ ero con Operazione Colomba (il corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni, ndr) nel conflitto dei Balcani, sotto le granate, un profugo mi ha detto “Voi siete angeli, grazie perché siete qui con noi: ci testimoniate che non c’è solo il buio, ma c’è ancora luce. Pensavo che eravate a guardare alla Tv i nostri morti, sul divano mangiando noccioline, ma invece siete qui con noi. L’Amore non è morto in questa guerra!”.
Poi organizzare l’esserci e l’accoglienza di chi ha perso tutto e scappa dalle bombe! Ma è altrettanto fondamentale l’agire politico, perché le guerre rompono drammaticamente i paradigmi della civile convivenza e rivelano inequivocabilmente che ancora oggi la cura, il mantenimento e la pianificazione della Pace sono ostaggi negletti della deterrenza militare. L’aura mortifera della guerra si trasmette come un virus letale ed è capace di inquinare, come il battito di farfalla del Lorenz, le popolazioni attorno a sé, ha ricadute profonde e misurabili sul livello di fiducia interpersonale e collettivo. Siamo tutti interdipendenti e interconnessi, e oggi, che i conflitti sono vicino a noi, stiamo aprendo gli occhi. Dobbiamo agire in fretta e senza più tergiversare. Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi istituzionali, e di una nuova architettura ministeriale per una vera costruzione strutturale di politiche di pace: il Ministero della Pace come luogo e casa di coprogettazione della nonviolenza come stile della Politica, con l’istituzione della Consulta nazionale di tutte le meravigliose esperienze di artigianato di pace di cui il nostro Paese è ricchissimo. Solo l’impegno ed il lavoro costante per la pace positiva rafforzano la resilienza della collettività e la rendono capace di non perdere la Pace interna, curandola e pianificandola nonché in spirito di fratellanza universale di “esportarla” in luce anche nel buio profondo di guerre aperte. Le società pacifiche sono un dono che se non custodito lentamente muore.
Promuoviamo legami e pratiche solidali, focalizzandoci sulle categorie più in difficoltà. Adoperiamoci con le nostre amministrazioni locali a declinare sul territorio l’architettura pensata per il Ministero della Pace, chiedendo l’assessorato alla Pace e l’attuazione di politiche strutturali di pace nei Comuni dove abitiamo».
Il 24 febbraio scorso, primo anniversario dello scoppio della guerra in Ucraina, eri a Trapani all’iniziativa “Disarmare il cuore per fermare ogni guerra”: la diocesi di Trapani ha chiesto la presenza della Comunità proprio per presentare la Campagna per il Ministero della Pace, in particolare ai giovani…
«È stato un percorso meraviglioso, ho un sentimento di forte gratitudine e riconoscenza per la Diocesi di Trapani che ha voluto la Comunità Papa Giovanni XXIII della Sicilia tra i collaboratori e ha fatto propria la Campagna del Ministero della Pace invitandomi a parlare a tanti giovani ed istituzioni. Il Teatro Ariston era pieno di giovanissimi e il loro coinvolgimento è stato fantastico sotto ogni profilo. Gli insegnanti, persone speciali, hanno raccolto le aspirazioni più profonde delle ragazze e ragazzi e stanno lavorando sui bellissimi rimandi che a scuola gli alunni hanno raccolto dall’evento. Il coinvolgimento di tutti i Sindaci del territorio diocesano, che si sono impegnati nella costruzione della pace nei loro comuni, è stato unanime; si sono espressi per adottare al più presto delle risoluzioni per sollecitare il Governo per la messa al bando delle armi nucleari. Col Comune di Paceco “ città della Pace” sono state delineate possibili iniziative finalizzate alla cura, alla pianificazione e alla promozione di attività di pace sul territorio».
Pensi che le istituzioni siano sorde, lontane o “semplicemente” disinteressate all’istituzione di un Ministero per la Pace?
«Credo che le istituzioni non siamo state fino ad oggi pronte a cogliere questa “profezia” ma ora con la tragedia di questa guerra così vicina a noi, si sono aperti gli occhi di molti anche tra i politici e gli amministratori: si è capito che la Pace di cui godiamo nel nostro Paese è un dono fragile e che la trascuratezza che abbiamo avuto di fronte ai potenziali conflitti internazionali può travolgere anche i contesti nazionali. Colgo nonostante tutto che si sta piano piano comprendendo che, se dalle ceneri del secondo conflitto mondiale sono nati il Ministero della Difesa e dell’Interno, (sostituendo così il Ministero della Guerra), questo parto, per dare reale compimento alla promessa di eradicare definitivamente dalla storia il flagello della Guerra, avrebbe dovuto essere quanto meno trigemellare, dando alla luce anche un Ministero della Pace.
Dobbiamo continuare a sollecitare la Politica anche se sorda o disinteressata perché la profezia serve alla politica per garantire un dialogo illuminato e per elevarla a ciò che “deve” essere, e perché sia generativa e tutti gli spazi ancora inesplorati della Carta Costituzionale. (artt.11-52-41-4 2°comma, 2)».
La guerra in Ucraina dimostra ogni giorno di più l’inettitudine della diplomazia, uno dei punti fondamentali dell’architettura del futuro Ministero sono le politiche di disarmo. Eppure c’è chi anche nel “mondo pacifista” legittima l’invio di armi, in quanto difensive, all’Ucraina. Che ne pensi?
«È un dato di fatto oramai scientifico e storico che le armi non sono solamente lo strumento, il mezzo, con cui la guerra viene combattuta ma ne sono anche una delle cause e concause. La deterrenza militare non funziona, anzi, spesso è proprio il convincimento di un Paese di avere un armamento superiore a quello di un altro ad essere il fattore che produce il conflitto. Si aumenta il circolo vizioso della produzione, circolazione e dell’esportazione delle armi e lo scatenarsi dei conflitti. La competizione nel possedere sistemi d’arma più avanzati del contendente è spesso determinante nel protrarsi delle guerre e nel costituire impedimento al dialogo. Non dimentichiamo inoltre che fin dalla sua fondazione, le Nazioni Unite Nazioni Unite hanno perseguito il disarmo ed in particolare l'eliminazione globale delle armi nucleari e di tutte le altre armi di distruzione di massa, affermando a chiare lettere che gli sforzi di disarmo contribuiscono a rafforzare la pace e la sicurezza, a prevenire e porre fine ai conflitti armati e frenare la sofferenza umana causata dalle armi. Eticamente la Giustizia non può mai armarsi, non si può combattere contro l’ingiustizia, che è violenza, usando la violenza».
Però esiste la legittima difesa…
«Il mezzo non può contraddire il fine, il crinale del concetto di legittima difesa è impervio, il passo tra legittimità e abuso ingiustificato dei principi costituzionali, può essere anche molto breve. E in questo contesto come è possibile aprire canali diplomatici se siamo tutti parti in causa del conflitto? Non c’è un terzo “mediatore”… Non dobbiamo rassegnarci a questa guerra e non dobbiamo mai perdere la generatività che viene dalla speranza dei costruttori di pace. Tra i due estremi dell’assuefazione del rimanere passivi e il delirio onnipotente di poter cambiare tutto, ci sono tante cose che si possono fare un’infinita sfumatura di gesti di pace che possono favorire un terreno per il dialogo, se non tra i governi quanto meno tra tutti i popoli vittime di questa tragedia. Dobbiamo credere molto anche nella c.d. multitrack diplomacy, negli interventi dei diversi attori che operano a favore della mitigazione delle ferite e della nonviolenza influenzandosi reciprocamente. Qui tra gli artigiani di pace, non ci sono interessi di parte o politici, con la loro azione riducono l’intensità della sofferenza creando anche inconsapevolmente delle piattaforme di dialogo tra le parti distanti. Si può arrivare a volte anche là dove gli interventi delle istituzioni e degli organismi intergovernativi hanno fallito, con un approccio dal basso verso l’alto. In ogni caso neppure dimentichiamo che le Nazioni Unite, seppur paralizzate al Consiglio di Sicurezza, mantengono una loro forza nell’Assemblea Generale e sono l’unico consesso mondiale multilaterale che seppur con tutti i suoi limiti rappresenta un luogo fondamentale per la fratellanza umana. Se la sua grandezza, la sua portata sono anche un peso, da questa crisi potrà e dovrà rinnovarsi come luogo indispensabile per la governance globale».
I punti fondanti del Ministero sono, oltre alla Pace positiva, la difesa dei diritti, l’educazione nonviolenta, la giustizia riparativa… non è un sogno un po’ troppo grande? Servirebbe una totale inversione di tendenza, siamo pronti?
«Non solo non sono sogni ma sono “solide realtà” patrimonio di chi da anni le pratica, le porta nelle scuole dovendo magari anche mendicare attenzioni progettuali, le genera con azioni sociali e pratiche illuminanti per la collettività, si adopera con impegno indefesso oramai da decenni. La società civile è pronta ed anzi e anni luce avanti. Ahinoi è la politica ad essere vecchia e con tendenze negli ultimi anni addirittura retrive. Tuttavia, come dicevo, tanti eventi drammatici costringono ad aprire gli occhi e credo che il tempo dell’inversione di rotta, pronti o non pronti, avverrà e sta a noi decidere se con o senza di noi».