Leopoli. Forti esplosioni in centro. Le foto dei volontari italiani
Sono volontari di Operazione Colomba, corpo nonviolento della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ecco come vivono e cosa stanno facendo, in attesa della delegazione che arriverà il 1° aprile.
Le sirene che avvisano dei possibili bombardamenti. Il pianoforte davanti alla stazione. Le famiglie spezzate di chi scappa e chi è costretto a restare. Da Leopoli il racconto di una guerra che colpisce i più fragili.
«Abbiamo sentito tre forti esplosioni vicino a dove alloggiamo». Il messaggio arrivato poco fa da Leopoli, dove dal 15 marzo si trovano i volontari di Operazione Colomba.
Le immagini postate nella pagina Facebook.
Ecco l'intervista dei volontari italiani a Leopoli raccolta il 23 marzo.
Il popolo ucraino non va lasciato solo in questo momento drammatico. C’è chi questo appello che attraversa l’Europa – la cui forza evocativa è inversamente proporzionale alla capacità di tradurlo in azioni efficaci – lo ha preso alla lettera e ha deciso di andare fisicamente a far parte di quel popolo, condividendo i rischi, gli alloggi di fortuna, le storie di chi scappa e di chi ha scelto di restare, o è costretto a farlo.
Sono i volontari di Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace promosso dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. Sono arrivati in tre nella base operativa di Leopoli.
Alberto Capannini è un veterano di Operazione Colomba, operativo fin dal suo esordio, nel 1991, con la guerra dei Balcani. Con lui ci sono Alessandro Ciquera e Corrado Borghi, entrambi attivi nelle zone di conflitto da una decina d’anni: Palestina, Libano, Siria, Albania, Colombia.
Dopo un primo viaggio esplorativo, compiuto nei primi giorni del conflitto, dal 15 marzo hanno creato una base operativa stabile a Leopoli.
Leopoli: un patrimonio dell’umanità sotto attacco
La guerra russo-ucraina è arrivata ormai anche qui. Una guerra talmente veloce che finora non ha lasciato tracce nel profilo della città contenuto nella libera enciclopedia di Wikipedia: 729 mila abitanti, è uno dei maggiori centri culturali dell’Ucraina, sede di due Università e di varie istituzioni musicali (orchestra filarmonica, teatro dell’Opera, Conservatorio), con una storia importante che ha attraversato otto secoli e un centro storico che dal 1998 è divenuto Patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’UNESCO.
Un patrimonio che da qualche giorno è sotto attacco, come i suoi abitanti, come è già successo e continua a succedere in molte altre città dell’Ucraina.
Scuole e conventi trasformati in rifugi
Leopoli si trova a 70 km dal confine con la Polonia ed è diventata un punto di riferimento per chi fugge dalle zone più colpite dalla guerra. I volontari di Operazione Colomba sono qui da una decina di giorni. Alloggiano in un convento nella periferia della città, divenuto luogo di rifugio per volontari e per chi scappa dalla guerra.
«Nelle ultime due settimane sono arrivate qui circa 300 mila persone in fuga dalle città più colpite, Kiev, Mariupol, Charkiv» ci racconta Alessandro Ciquera al telefono. Molto più di quello che una città pur grande come Leopoli è in grado di ospitare. «Stazione, scuole, palestre, conventi... ogni edificio è stato trasformato in qualche modo in luogo di accoglienza. La gente dorme per terra su dei materassi, cercando di proteggersi con qualche coperta offerta dai volontari.»
Perché quello che hanno potuto constatare qui i volontari di Operazione Colomba è che, nel dramma e nello smarrimento generale, c’è una grande rete di solidarietà da parte degli stessi ucraini.
«C’è un coordinamento di volontari ucraini che fa un lavoro eccezionale – racconta Alessandro –. Si distinguono perché hanno dei gillet gialli o arancioni. Sono un punto di riferimento per le migliaia di persone e famiglie che arrivano quotidianamente con borse e valigie e non sanno dove andare. Loro li accolgono e danno indicazioni per un riparo, dove trovare vestiti e generi alimentari. Fanno da interpreti tra gli ucraini e le organizzazioni umanitarie che possono offrire aiuti di emergenza o indicazioni su come raggiungere altri Paesi.»
Una notifica avverte di possibili bombardamenti
C’è molta collaborazione, ci spiega, anche se la situazione è di piena emergenza, in continua evoluzione, contrassegnata dagli allarmi che si susseguono. «Ieri la sirena ha suonato sei volte per segnalare il pericolo di bombardamenti. Arriva a tutti una notifica sul cellulare quando inizia e finisce l’allarme, che può durare anche diverse ore.»
Cosa fa la gente quando scatta l’allarme? «Ci sono reazioni diverse. C’è chi scende nei sotterranei dei palazzi e chi continua a camminare, a fare quello che stava facendo. I negozi chiudono temporaneamente e riaprono quando cessa l’allarme. Finora i missili hanno colpito l’aeroporto e una base militare ma non il centro della città, anche perché dicono che la contraerea li ha intercettati. Per questo la gente qui si sente per ora un po’ più al sicuro rispetto ad altre città. Ma sui volti si legge l’angoscia e lo smarrimento. Quello delle sirene è un suono che ti entra dentro e crea ferite che ci metteranno molto tempo ad essere rimarginate.»
Beethoven davanti alla stazione
Ma i volontari ci inviano altri suoni, da Leopoli, oltre a quello delle sirene. Come quel commovente “Chiaro di luna” di Beethoveen suonato da un giovane al pianoforte (qualcuno lo ha messo davanti all’ingresso della stazione dei treni, e ogni tanto partono esecuzioni improvvisate) quasi a far da colonna sonora alla coda di persone e intere famiglie dal volto smarrito che partono con bagagli a mano e non sanno se e quando potranno tornare.
O le note e i ritmi di chitarra che aggregano piccoli gruppi qua e là nella piazza e nei rifugi condivisi. Una sorta di resilienza musical popolare capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano, comprensibile a tutti, in grado di armonizzare quelle differenze culturali e linguistiche che altri vorrebbero trasformare con la forza in confini invalicabili.
È l’umanità condivisa che emerge, rendendo ancora più incomprensibile questa guerra.
Una guerra incomprensibile
Lo sottolinea Sasha, 27 anni, scappata da Charkiv e in procinto di partire per l’Italia, in una testimonianza raccolta da Capannini: «Non ha senso nel 21° secolo avere la guerra, gente che muore per la fame o per le armi. Nel 21° secolo la gente vola nello spazio, non dovrebbe combattere. Spero che tutto questo finisca presto.» Tante le storie personali che si intrecciano, e le famiglie che si spezzano. «Mi ha colpito un giovane papà che alloggia con noi – racconta Alessandro –. Ha 30 anni, ha accompagnato la moglie e il figlio piccolo alla frontiera ma lui non ha potuto andare con loro. I maschi tra i 18 e i 60 anni non possono partire. Alcuni si arruolano come volontari. Tanti altri non fanno questa scelta ma devono comunque restare a disposizione come riservisti. Se la guerra proseguirà, anche il nostro amico verrà chiamato. Intanto suona la chitarra ma presto sarà costretto a imbracciare un fucile».
Il supporto a chi vuole scappare
Lo scopo di Operazione Colomba è quello di abitare i conflitti per essere vicini alle persone che li subiscono, cercando di costruire percorsi di protezione e di pace. «Abbiamo incontrato esponenti della Caritas e dell’Opera don Orione e siamo in attesa di un incontro con il sindaco - spiega Alessandro -. Stiamo intessendo rapporti di collaborazione anche se non è facile perché viviamo una situazione in divenire, che si modifica giorno per giorno».
Qualche risultato operativo però è già stato raggiunto. «Ogni giorno aiutiamo chi vuole scappare e li mettiamo in contatto con chi organizza gli autobus verso l’Italia. Gli autobus si fermano subito al di là della frontiera, in Polonia. Un altro autobus li porta da qui al confine e poi fanno il passaggio. Altri li accompagniamo noi stessi in auto fino al confine.»
L’altro obiettivo della missione è creare condizioni favorevoli per la delegazione di pace che l’1 aprile dovrebbe arrivare qui a Leopoli. «La Comunità Papa Giovanni XXIII sta continuando a lavorare per rendere possibile questo progetto, in rete con altre organizzazioni – conclude Alessandro –. So che stanno arrivando adesioni. Intanto noi stiamo realizzando il nostro primo obiettivo che è la vicinanza, non lasciarli soli. E questo sta già avvenendo.»