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5 Luglio 2022

«Ritornerò a vivere fra i profughi di Lesbo»

Si rinnova a luglio, per almeno 6 mesi, la scelta di vita di una donna pugliese
«Ritornerò a vivere fra i profughi di Lesbo»
Gruppi di volontari si alternano sull'isola greca nel condividere la vita con i migranti in transito sulla rotta balcanica. La storia dell'incontro con una signora anziana siriana scritto da una volontaria che ha scelto di vivere insieme ai profughi in fuga.
C’era una casa a Mitilene, sull’isola di Lesbo, dove noi volontari andavamo per incontrare una signora siriana, che viveva lì con sua figlia. La casa era piccola, una sola stanza, dove c’èra un lettino, un fornello a due fuochi, un frigo piccolissimo e un divanetto a due posti. La prima volta che ci sono andata con gli altri volontari che erano nella città da più tempo di me non capivo chi la abitasse; se pur piccola, infatti, l'appartamento era sempre pieno di gente, di ragazzi giovani e signore più grandi che, quando uscivano dal campo di Mavrovouni, andavano da lei perché lì ci si sentiva sempre a casa, in famiglia.

Profughi in un appartamento a Lesbo
Profughi in un appartamento a Lesbo
Foto di Mina Varnasidis


Noi volontari la chiamavamo mamma Gazzella, perché anche noi, quando andavamo da lei, avevamo l’impressione di andare a trovare la nostra mamma. Aveva tante rughe sul viso e sulle mani, le sue labbra erano molto sottili e sembrava che si perdessero tutte le volte che sorrideva. La sua dolcezza mi faceva venire in mente il sapore del miele selvatico, dolce, corposo, che non stufa mai e che disseta nel deserto. Era sempre seduta per terra poggiata su una gamba sola, mentre con l’altra gamba faceva arrivare il ginocchio all’altezza del suo petto, sembrava quasi una posizione orante di chi contempla qualcosa di infinito.

Cosa fanno i volontari a Lesbo

Sono stata a vivere sull'isola greca di Lesbo, ad un passo dalla costa turca, ad agosto 2021. Poi vi sono tornata a marzo, e poi a maggio 2022. Tornerò nuovamente in Grecia, con base ad Atene, a luglio di quest'anno per rimanervi almeno altri 6 mesi, se non un anno. Quattro o cinque volontari di Operazione Colomba e della Comunità Papa Giovanni XXIII si alternano costantemente, su quel tratto di rotta migratoria, a condividere un pezzo di vita con i profughi in transito.

Quando andavamo da lei, avevamo l’impressione di andare a trovare la nostra mamma

Faccio parte della Comunità Papa Giovanni XXIII da 20 anni e in Italia gestisco una casa d'accoglienza. Ora all'età di 44 anni posso avvicinarmi ai ragazzi e alle ragazze rifugiati con tenerezza, e abbracciarli senza che nulla sia frainteso. È la stessa cura che ho per i tanti volontari che arrivano nelle realtà di accoglienza dell'associazione per fare esperienza.

Filo spinato e rete con tende UNHCR attorno al campo profughi
Campo profughi di Lesbo, fotografato dai volontari ad ottobre 2020.
Foto di Archivio Operazione Colomba


A Lesbo l'incontro con i volontari giovani e con i rifugiati mi ha sempre smosso la coscienza, fino a non farmi dormire la notte, per l'ingiustizia che ho visto essere vissuta da quelle persone.

Ma questa volta sull'isola non ritroverò mamma Gazzella: nel frattempo ho saputo che è riuscita a raggiungere la Germania e a ricongiungersi con i suoi 6 figli. Non con il marito, che era morto in Siria.

Continuo a domandarmi: come faceva una donna come lei ad avere sempre la casa così piena di persone e ad essere sempre felice di vederci? Come faceva ad avere sempre qualcosa da dare a chi la andasse a trovare? Nessuno andava mai via dalla sua casa senza aver prima mangiato qualcosa. Lei aveva il profumo del tabacco arrotolato pronto per essere fumato, del té appena versato per essere bevuto, ed era buona come il pane caldo appena sfornato.

Mamma Gazzella era scappata da una guerra di Siria che dura ormai da 11 anni: l’espressione del suo volto diventava seria, nonostante non perdesse mai il suo sorriso, mentre ci raccontava di quanto fosse stato bello il suo Paese.

Nei racconti, ci faceva viaggiare con lei nei vicoli della sua infanzia, ci faceva attraversare strade; sembrava quasi che ci prendesse per mano per farci entrare nella sua bellissima casa ormai distrutta dalle bombe. Ci raccontava di giornate piene di vita, dei campi dove lavoravano suo marito e i suoi figli. Poi si fermava, alzava lo sguardo che poco prima stava fissando il pavimento, ci guardava. Questa volta il suo sorriso si perdeva per un attimo, mentre i suoi occhi che si riempivano di dolore e di nostalgia non potevano ingannare nessuno di noi che la stavamo guardando ed ascoltando.

Rimane una cosa in mamma Gazzella, nei suoi figli, in tutte le persone che come loro continuano ad attraversare le fiamme dell’inferno pur di potersi sentire di nuovo liberi: il coraggio di sognare e di amare ancora.