Profughi siriani in Libano. Ecco come si vive nella terra di mezzo
Le loro tende sono poco distanti dalla Siria, paese che hanno dovuto abbandonare a causa della guerra. Luca Cilloni, in un viaggio fotografico, ci racconta come vivono i profughi siriani accampati in Libano.
Per mesi è stato al fianco dei profughi siriani che vivono nei campi profughi a nord del Libano, al confine con la Siria. I sogni e le speranze di chi ha dovuto lasciare la propria terra amata per non morire raccontati in una mostra visibile su Facebook
Il destino di Luca Cilloni, 27 anni, si incrocia con quello di Operazione Colomba in un periodo in cui egli sta rivedendo la sua vita.
È seguendo il Corpo nonviolento di pace che incontra nei campi profughi della regione di Akkar, in Libano, i siriani fuggiti dalla guerra scoppiata dieci anni fa nel loro Paese.
Smettendo per un po’ i panni del fisioterapista, Luca parte da Reggio Emilia con la sua inseparabile Fuji XT20 con obiettivo F18-55mm F2.8, prima per qualche giorno nel 2018 e poi per tre mesi nel 2019.
La stessa dedizione che mette nel curare il corpo delle persone, si percepisce nei suoi scatti realizzati in quel piccolo pezzo di mondo a nord del Libano, al confine con la Siria.
Dall’incontro con quell’umanità prende forma la mostra: Akkar – vita e cronache dal confine siriano.
Una mostra racconta come si vive nei campi profughi in Libano
20 scatti che ci portano tra le stradine di cemento e terra che si inerpicano tra case di fortuna dalle pareti di nylon, in cui migliaia di persone, scampate alla guerra in Siria, vi hanno trovato rifugio. Non solo siriani ma «alle volte – si racconta nelle didascalie che accompagnano la mostra – anche libanesi poveri».
Un racconto fotografico accompagnato da storie e testimonianze, che ci inoltra nella condizione di vita dei profughi siriani in Libano. Vite sospese in attesa di poter tornare nella loro terra. Ospiti in un paese come il Libano che, non avendo firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, non riconosce i diritti garantiti dallo status di rifugiato. Che considera i siriani non rifugiati ma «“sfollati”, invisibili, senza nome e senza storia».
Gli sguardi al campo profughi
Luca Cilloni, soprannominato dai siriani “Abu sura”, “papà fotografia” proprio per quella macchina fotografica che portava sempre con sé, ci offre spaccati di vita quotidiana carichi di dignità, nell’essenzialità dell’esistenza.
«In ogni scatto ho cercato di narrare la quotidianità, il dialogo, l’esperienza antropologica che ho vissuto» - racconta.
Negli occhi delle persone si leggono i ricordi e le attese. Quelli di Fatima ricordano quando il Daesh ha occupato le sue terre. Quando alle donne è stata tolta la libertà obbligandole ad indossare il burqa. E quando, una volta scappata se ne è liberata. Nello sguardo di Zahra, la bambina dai capelli rossi affacciata al muretto, c’è la sfida. La volontà a non piegarsi a quel destino.
«In queste foto qualcosa di triste c’è, si vede la precarietà dell’esistenza ma non c’è mai disperazione – spiega Luca Cilloni – non sono mai lesive della dignità della persona. Ed è lo stesso stile che cerchiamo di avere come volontari di Operazione Colomba: trattare le persone che sono qui come amici».
Cosa insegnano i profughi?
All’interno della mostra, Luca ha scelto anche un’immagine scattata durante il primo viaggio in Libano nel 2018. Se la bambina che scosta il drappo rosso in un atteggiamento di protesta era «l’emblema del sentimento che provavo in quel momento nei confronti delle contraddizioni e delle ingiustizie che avevo visto» – dice. Nella bambina con le ali di farfalla che corre nel campo, ora Luca guarda alle contraddizioni in un’ottica diversa, più matura. «Penso – dice – che l’obiettivo di ogni costruttore di pace è sì denunciare le ingiustizie, le violenze, ma con uno sguardo al futuro.
Vedendo, per dirla alla Calvino: “Ciò che inferno non è”. I profughi ti insegnano, che anche in mezzo a tanta desolazione e tristezza, ciò che fa vivere sono appunto le piccole gioie, i piccoli spiragli di luce come quella bambina che corre con le ali di farfalla. E che sembra dirmi: “Guarda Luca devi guardare al sogno, devi guardare alle cose che fioriscono, le cose che possono crescere e non solo alle cose che non funzionano».
I siriani vogliono la pace
Dignità e bellezza, sono le parole chiave di questa mostra, in un mondo fatto di provvisorietà. Ma anche dialogo, speranza in un futuro che alcuni sognano nella loro Patria, là dove hanno lasciato tutto. Un popolo di “sfollati” siriani con cui i volontari di Operazione Colomba stanno condividendo dal 2013.
È per questo motivo che Luca ha scelto di partire con il Corpo non violento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, «per questa capacità di condividere la quotidianità in una condizione di parità, diventando con i profughi una famiglia».
I siriani in questi anni hanno stilato assieme a Operazione Colomba una Proposta di pace per la Siria, per fare ritorno a casa . Alcuni, invece, attraverso i corridoi umanitari, hanno potuto ricostruirsi un futuro in Italia.
«Dopo questo viaggio – conclude Luca – niente sarà più come prima. È stata un’esperienza che ha lasciato il segno e che mi sprona a non lasciarmi scivolare la vita, ponendo dentro di me un sano tormento».
Ora, queste vite, grazie all’obiettivo di Luca, le conosciamo anche tutti noi, non dimentichiamole.